Su questa lista di opere di Menard, Borges si esprime altrove nel “Prologo” a “Finzioni” (1944): “La lista degli scritti che attribuisco a Menard non è divertentissima, ma non è arbitraria, è un diagramma della sua storia mentale…” I puntini sospensivi sono di Borges e stanno appunto a indicare l’intermezzo di una lista non finita. Nella stessa raccolta, vi è un altro racconto, che ha per tema la letteratura e le opere letterarie, oltre altri sulle biblioteche. Il racconto s’intitola “Esame dell’opera di Herbert Quain”, saggio di fantasia su un autore irlandese immaginario, che al pari del “Menard” inizia con la commemorazione del defunto scrittore. Questo riesame di opere mai scritte, di cui si presenta una lista, non può non essere messa a confronto con l’artificio di Cervantes, che nel “Chisciotte” passa in rassegna i libri della sua biblioteca: “Dell’ampio e brillante esame che il curato e il barbiere fecero della biblioteca del nostro fantastico cavaliere” (Volume I, Capitolo VI) E così, seppellito Menard, come dire quanto prodotto dalla mente e la fantasia di Borges, bisognava preservarne la memoria, ovvero accingersi all’impresa del “Chisciotte”. E per farlo, Borges doveva essere già padrone della lingua spagnola del Seicento, il secolo di Cervantes, e infatti dice di Menard: “so che giunse ad una padronanza sufficiente dello spagnolo del secolo XVII”. Ed ora, non potendo scrivere il “Chisciotte” per intero, e riportarlo in un racconto, per quanto lungo, sempre breve per una tale interpolazione, si accontenta di frammenti. Questa disposizione corrisponde al disegno di descrivere e commentare libri non solo realmente scritti, ma anche immaginari e riassumerli, se non soltanto nel titolo, nell’abbozzo di qualche frase. “Delirio faticoso e avvilente quello del compilatore di grossi libri, del dispiegatore in cinquecento pagine d'un concetto la cui perfetta esposizione orale capirebbe in pochi minuti! Meglio fingere che questi libri esistano già e presentarne un riassunto, un commentario.” (“Finzioni”, “Prologo”.) Anche nel “Menard” l’idea è presente, riferita all’ambizione del protagonista, che limita la sua impresa a poche pagine o righe, come riferisce all’io narrante del racconto, del cui profilo di letterato e della conoscenza con Menard si desume dalla narrazione: “ – Il mio proposito è certo sorprendente – mi scrisse il 30 settembre 1934, da Bayonne. – Ma l’oggetto finale d’una dimostrazione teologica o metafisica non è meno dato e comune del divulgato romanzo che mi propongo. La sola differenza è questa: che i filosofi pubblicano in gradevoli volumi le tappe intermedie del proprio lavoro, e io ho risoluto di cancellarle. – Nel testo definitivo, infatti, non v’è alcuna correzione, alcuna aggiunta, che attesti questo lavoro di anni.”
In una successiva raccolta di racconti, “Altre inquisizioni” (1952), Borges torna sul “Chisciotte”: “Magie parziali del Don Chisciotte”, di cui ci sembra di rilievo il finale, quello che esprime l’idea di circoscrivere nella totalità l’infinito, inserendo il tutto nella parte, che a sua volta contiene il tutto, in un rinnovarsi del gioco geometrico della regressio ad infinitum dello spazio nell’infinitamente piccolo. In figura, si può disegnare un pentagramma – una stella a cinque punte, formata da cinque segmenti intersecantisi – inscritto in un pentagono. Nel centro del pentagramma viene in rilievo la figura geometrica di un pentagono, nel quale inscrivere un pentagramma e così via all’infinito. Questa visione geometrica dell’infinito visibile nel punto infinito, l’aleph di Borges, nel racconto si risolve in un’immagine filosofica: “Le invenzioni della filosofia non sono meno fantastiche di quelle dell’arte: Josiah Royce, nel primo volume della sua opera “The World and the Individual” (1899), ha formulato la seguente: “Immaginiamo che una porzione del suolo d’Inghilterra sia stata livellata perfettamente e che in essa un cartografo tracci una mappa d’Inghilterra. L’opera è perfetta; non c’è particolare del suolo d’Inghilterra, per minimo che sia, che non sia registrato nella mappa; tutto ha lì la sua corrispondenza. La mappa, in tal caso, deve contenere una mappa della mappa, che deve contenere una mappa della mappa della mappa, e così all’infinito.” Evocando l’invenzione (inventio) del filosofo statunitense, Borges ha voluto trovare un’immagine di fantasia, consona alla deduzione ultima del suo discorso, nel saggio esteso alle magie della narrazione del don Chisciotte e altri classici. Pone la suggestione di una domanda e dà la risposta. “Perché ci inquieta il fatto che la mappa sia compresa nella mappa e le mille e una notte nel libro delle “Mille e una notte”. Perché ci inquieta che don Chisciotte sia lettore del “don Chisciotte” e Amleto spettatore dell’ “Amleto”? Credo di avere trovato la causa: tali inversioni suggeriscono che se i caratteri di una finzione possono essere lettori o spettatori, noi, loro lettori o spettatori, possiamo essere fittizi.” È la stessa suggestione che troviamo descritta per esteso in un altro racconto di Borges della raccolta “Finzioni”: “Le rovine circolari”. E dobbiamo aggiungere che è tutta la narrativa di Borges ad essere attraversata da immagini di sogno e fantasie, in cui sembrano perdersi e svanire le illusioni della realtà.
Torniamo intanto al “Menard”: stavamo rivivendo il soggiorno di Borges a Nimes 1939, di cui l’autore ci dà indicazione del luogo e la data della sua composizione, comprendendola nel testo, onde ancorare la finzione del racconto alla realtà degli accadimenti. Egli si ritrova ispanico in terra di Francia e sente il bisogno di spiegare perché un simbolista francese debba concepire l’impresa di scrivere il don Chisciotte ovvero il classico della letteratura spagnola. È il fondo innegabile della sua cultura a reclamare una tale decisione: “A dodici tredici anni lo lessi integralmente”, scrive Menard all’autore. Nella lettera da Bayonne del 1934, chiarisce i suoi motivi: “Il Chisciotte – spiega Menard – m’interessa profondamente, ma non mi sembra – come dire? – inevitabile. Qui, Borges sta esprimendo una verità filosofica, quella che Platone con prudenza definiva una opinione giusta: l’essere del “Chisciotte”, di cui nega la necessità, potendo immaginare un Universo, che non lo contenga nelle realtà vissute della Storia, dove tra gli altri accadimenti trovano luogo i prodotti dello spirito. “Sono capace di immaginarlo [l’Universo] senza il Chisciotte. (Parlo, naturalmente, della mia capacità personale, e non della risonanza storica delle opere). Il Chisciotte è un libro contingente, il Chisciotte è innecessario. Posso premeditarne la scrittura, posso scriverlo, senza incorrere in una tautologia.” La cancellazione del Chisciotte dalla Storia delle Lettere non ha altra possibilità di realizzarsi che non sia quella dell’oblio: “Il ricordo d’insieme che ho del Chisciotte, semplificato dall’oblio e dall’indifferenza, può benissimo equivalere all’imprecisa immagine anteriore di un libro non scritto.” Perché questa tabula rasa? È passato del tempo da quando il fanciullo, appena adolescente, ha letto il Chisciotte integralmente, e Menard ci spiega che in seguito ha dato anche una scorsa alle opere minori, ed ora bisogna accingersi all’impresa che si rivela ai limiti del possibile: “Comporre il Chisciotte al principio del secolo XVII fu impresa ragionevole, forse fatale; al principio del XX forse impossibile. Non invano sono passati trecento anni, carichi di fatti quanto mai complessi: tra i quali, per citarne uno solo, lo stesso Chisciotte.”
È lo scenario del tempo, lo scorrere della Storia, che rende impossibile l’impresa, come alla fine dell’esperimento di composizione di alcuni frammenti dell’opera, il confronto impietosamente rivela. A Nimes, il quarantenne Borges rievoca l’immagine di un Chisciotte letto e obliato, immaginato mai scritto, quindi mai esistito, e tenta di comporre alcuni frammenti. Sono quelli lasciati dal defunto Menard: “I capitoli IX e XXXVIII della prima parte del Don Chisciotte, e un frammento del capitolo XXII.” R lascia traccia del travaglio: “Dedicò i suoi scrupoli e le sue veglie a ripetere in un idioma estraneo un libro preesistente.” Per quanto abbia voluto ignorarne l’esistenza in idea, in realtà il libro esiste, in epoca anteriore, e Menard si è esercitato nella lingua spagnola di quel tempo: “So che giunse ad una padronanza sufficiente dello spagnolo del secolo XVII”. Ma i tentativi di comporre i frammenti sono impervi: “Moltiplicò i rifacimenti, corresse e lacerò migliaia di pagine manoscritte. Non permise a nessuno di esaminarle, e curò che non gli sopravvivessero, Invano ho cercato di ricostruirle.” Borges ci tiene anche a raccontarci certe scene notturne immaginarie, che contengono particolarità di ricordi verosimili, venati di critica ironia: “Ricordo i suoi quaderni a quadretti, le sue nere cancellature, i suoi peculiari simboli tipografici e la sua scrittura da insetto. Verso sera, gli piaceva andarsene a camminare per i sobborghi di Nimes; soleva portar seco un quaderno, e farne un allegro falò.” L’ultima immagine è altamente simbolica: roghi di carta che non inceneriscono i prodotti dello spirito, come l’incancellabilità ed in insieme irrepetibilità del Chisciotte. “Il raffronto tra la pagina di Cervantes e quella di Menard è senz’altro rivelatore. Il primo, per esempio, scrisse (Don Chisciotte, parte I, capitolo IX): …la verità, la cui madre è la storia, emula del tempo, deposito delle azioni, testimone del passato, esmpio e notizia del presente, avviso dell’avvenire. Scritta nel secolo XVII dall’«ingenio lego» Cervantes, quest’enumerazione è un mero elogio retorico della storia. Menard, per contro, scrive: …la verità, la cui madre è la storia, emula del tempo, deposito delle azioni, testimone del passato, esempio e notizia del presente, avviso dell’avvenire. La storia, madre della verità; l’idea è meravigliosa, Menard, contemporaneo di William James, non vede nella storia l’indagine della realtà, ma la sua origine. La verità storica, per lui, non è ciò che avvenne, ma ciò che noi giudichiamo che avvenne. Le clausole finali – esempio e notizia del presente, avviso dell’avvenire – sono sfacciatamente pragmatiche.” Il nascosto segreto della doppia e differenziata interpretazione – non essendo un inganno che le stesse parole possono essere interpretate con diversi canoni, rivelando un diverso significato, una differenza di pensiero – è quello del non detto della dottrina ermeneutica, che si costituisce come scienza dello spirito. In Borges, il problema ermeneutico si riveste della fantasia narrativa sulla “recita impossibile”, quella in differita del Chisciotte tentata da Menard. Avremo occasione di parlarne a commento dell’altro scritto di Borges sul capolavoro di Cervantes.
[N. d. B.] Dopo aver letto questo post, bisogna rileggere con attenzione e in successione i post "Pierre Menard" e "Il quarto giorno" (nella parte interessata al Commento del "Pierre Menard") e di nuovo quest'ultimo. Non c'è da meravigliarsi però se dopo questa attenta rilettura che viene suggerita, non si è riusciti a capire più niente. La colpa è da ascriversi al suggerimento, anzi no, al suggeritore. Ciao.
‘Kde domov muj’? ‘Dov’è la mia patria?’ Non è un inno di guerra, non auspica la rovina di nessuno, canta senza retorica il paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, le pianure e le betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i piccoli ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra, è stato bello difendere questa terra, bello amare la nostra patria (Milena Jesenskà)
Copenaghen
Bruxelles Louiza
“Dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una prodigiosa marionetta realizzata dalla divinità, per gioco o per uno scopo serio, questo non lo sappiamo." (Platone, Leggi, 1, 644e)
5 commenti:
LA RECITA IMPOSSIBILE
(Seguito)
Su questa lista di opere di Menard, Borges si esprime altrove nel “Prologo” a “Finzioni” (1944): “La lista degli scritti che attribuisco a Menard non è divertentissima, ma non è arbitraria, è un diagramma della sua storia mentale…” I puntini sospensivi sono di Borges e stanno appunto a indicare l’intermezzo di una lista non finita. Nella stessa raccolta, vi è un altro racconto, che ha per tema la letteratura e le opere letterarie, oltre altri sulle biblioteche. Il racconto s’intitola “Esame dell’opera di Herbert Quain”, saggio di fantasia su un autore irlandese immaginario, che al pari del “Menard” inizia con la commemorazione del defunto scrittore.
Questo riesame di opere mai scritte, di cui si presenta una lista, non può non essere messa a confronto con l’artificio di Cervantes, che nel “Chisciotte” passa in rassegna i libri della sua biblioteca: “Dell’ampio e brillante esame che il curato e il barbiere fecero della biblioteca del nostro fantastico cavaliere” (Volume I, Capitolo VI)
E così, seppellito Menard, come dire quanto prodotto dalla mente e la fantasia di Borges, bisognava preservarne la memoria, ovvero accingersi all’impresa del “Chisciotte”. E per farlo, Borges doveva essere già padrone della lingua spagnola del Seicento, il secolo di Cervantes, e infatti dice di Menard: “so che giunse ad una padronanza sufficiente dello spagnolo del secolo XVII”. Ed ora, non potendo scrivere il “Chisciotte” per intero, e riportarlo in un racconto, per quanto lungo, sempre breve per una tale interpolazione, si accontenta di frammenti. Questa disposizione corrisponde al disegno di descrivere e commentare libri non solo realmente scritti, ma anche immaginari e riassumerli, se non soltanto nel titolo, nell’abbozzo di qualche frase. “Delirio faticoso e avvilente quello del compilatore di grossi libri, del dispiegatore in cinquecento pagine d'un concetto la cui perfetta esposizione orale capirebbe in pochi minuti! Meglio fingere che questi libri esistano già e presentarne un riassunto, un commentario.” (“Finzioni”, “Prologo”.)
Anche nel “Menard” l’idea è presente, riferita all’ambizione del protagonista, che limita la sua impresa a poche pagine o righe, come riferisce all’io narrante del racconto, del cui profilo di letterato e della conoscenza con Menard si desume dalla narrazione: “ – Il mio proposito è certo sorprendente – mi scrisse il 30 settembre 1934, da Bayonne. – Ma l’oggetto finale d’una dimostrazione teologica o metafisica non è meno dato e comune del divulgato romanzo che mi propongo. La sola differenza è questa: che i filosofi pubblicano in gradevoli volumi le tappe intermedie del proprio lavoro, e io ho risoluto di cancellarle. – Nel testo definitivo, infatti, non v’è alcuna correzione, alcuna aggiunta, che attesti questo lavoro di anni.”
In una successiva raccolta di racconti, “Altre inquisizioni” (1952), Borges torna sul “Chisciotte”: “Magie parziali del Don Chisciotte”, di cui ci sembra di rilievo il finale, quello che esprime l’idea di circoscrivere nella totalità l’infinito, inserendo il tutto nella parte, che a sua volta contiene il tutto, in un rinnovarsi del gioco geometrico della regressio ad infinitum dello spazio nell’infinitamente piccolo. In figura, si può disegnare un pentagramma – una stella a cinque punte, formata da cinque segmenti intersecantisi – inscritto in un pentagono. Nel centro del pentagramma viene in rilievo la figura geometrica di un pentagono, nel quale inscrivere un pentagramma e così via all’infinito. Questa visione geometrica dell’infinito visibile nel punto infinito, l’aleph di Borges, nel racconto si risolve in un’immagine filosofica: “Le invenzioni della filosofia non sono meno fantastiche di quelle dell’arte: Josiah Royce, nel primo volume della sua opera “The World and the Individual” (1899), ha formulato la seguente: “Immaginiamo che una porzione del suolo d’Inghilterra sia stata livellata perfettamente e che in essa un cartografo tracci una mappa d’Inghilterra. L’opera è perfetta; non c’è particolare del suolo d’Inghilterra, per minimo che sia, che non sia registrato nella mappa; tutto ha lì la sua corrispondenza. La mappa, in tal caso, deve contenere una mappa della mappa, che deve contenere una mappa della mappa della mappa, e così all’infinito.” Evocando l’invenzione (inventio) del filosofo statunitense, Borges ha voluto trovare un’immagine di fantasia, consona alla deduzione ultima del suo discorso, nel saggio esteso alle magie della narrazione del don Chisciotte e altri classici. Pone la suggestione di una domanda e dà la risposta.
“Perché ci inquieta il fatto che la mappa sia compresa nella mappa e le mille e una notte nel libro delle “Mille e una notte”. Perché ci inquieta che don Chisciotte sia lettore del “don Chisciotte” e Amleto spettatore dell’ “Amleto”? Credo di avere trovato la causa: tali inversioni suggeriscono che se i caratteri di una finzione possono essere lettori o spettatori, noi, loro lettori o spettatori, possiamo essere fittizi.”
È la stessa suggestione che troviamo descritta per esteso in un altro racconto di Borges della raccolta “Finzioni”: “Le rovine circolari”. E dobbiamo aggiungere che è tutta la narrativa di Borges ad essere attraversata da immagini di sogno e fantasie, in cui sembrano perdersi e svanire le illusioni della realtà.
Torniamo intanto al “Menard”: stavamo rivivendo il soggiorno di Borges a Nimes 1939, di cui l’autore ci dà indicazione del luogo e la data della sua composizione, comprendendola nel testo, onde ancorare la finzione del racconto alla realtà degli accadimenti. Egli si ritrova ispanico in terra di Francia e sente il bisogno di spiegare perché un simbolista francese debba concepire l’impresa di scrivere il don Chisciotte ovvero il classico della letteratura spagnola. È il fondo innegabile della sua cultura a reclamare una tale decisione: “A dodici tredici anni lo lessi integralmente”, scrive Menard all’autore. Nella lettera da Bayonne del 1934, chiarisce i suoi motivi: “Il Chisciotte – spiega Menard – m’interessa profondamente, ma non mi sembra – come dire? – inevitabile. Qui, Borges sta esprimendo una verità filosofica, quella che Platone con prudenza definiva una opinione giusta: l’essere del “Chisciotte”, di cui nega la necessità, potendo immaginare un Universo, che non lo contenga nelle realtà vissute della Storia, dove tra gli altri accadimenti trovano luogo i prodotti dello spirito. “Sono capace di immaginarlo [l’Universo] senza il Chisciotte. (Parlo, naturalmente, della mia capacità personale, e non della risonanza storica delle opere). Il Chisciotte è un libro contingente, il Chisciotte è innecessario. Posso premeditarne la scrittura, posso scriverlo, senza incorrere in una tautologia.” La cancellazione del Chisciotte dalla Storia delle Lettere non ha altra possibilità di realizzarsi che non sia quella dell’oblio: “Il ricordo d’insieme che ho del Chisciotte, semplificato dall’oblio e dall’indifferenza, può benissimo equivalere all’imprecisa immagine anteriore di un libro non scritto.”
Perché questa tabula rasa? È passato del tempo da quando il fanciullo, appena adolescente, ha letto il Chisciotte integralmente, e Menard ci spiega che in seguito ha dato anche una scorsa alle opere minori, ed ora bisogna accingersi all’impresa che si rivela ai limiti del possibile: “Comporre il Chisciotte al principio del secolo XVII fu impresa ragionevole, forse fatale; al principio del XX forse impossibile. Non invano sono passati trecento anni, carichi di fatti quanto mai complessi: tra i quali, per citarne uno solo, lo stesso Chisciotte.”
È lo scenario del tempo, lo scorrere della Storia, che rende impossibile l’impresa, come alla fine dell’esperimento di composizione di alcuni frammenti dell’opera, il confronto impietosamente rivela. A Nimes, il quarantenne Borges rievoca l’immagine di un Chisciotte letto e obliato, immaginato mai scritto, quindi mai esistito, e tenta di comporre alcuni frammenti. Sono quelli lasciati dal defunto Menard: “I capitoli IX e XXXVIII della prima parte del Don Chisciotte, e un frammento del capitolo XXII.” R lascia traccia del travaglio: “Dedicò i suoi scrupoli e le sue veglie a ripetere in un idioma estraneo un libro preesistente.” Per quanto abbia voluto ignorarne l’esistenza in idea, in realtà il libro esiste, in epoca anteriore, e Menard si è esercitato nella lingua spagnola di quel tempo: “So che giunse ad una padronanza sufficiente dello spagnolo del secolo XVII”. Ma i tentativi di comporre i frammenti sono impervi: “Moltiplicò i rifacimenti, corresse e lacerò migliaia di pagine manoscritte. Non permise a nessuno di esaminarle, e curò che non gli sopravvivessero, Invano ho cercato di ricostruirle.” Borges ci tiene anche a raccontarci certe scene notturne immaginarie, che contengono particolarità di ricordi verosimili, venati di critica ironia: “Ricordo i suoi quaderni a quadretti, le sue nere cancellature, i suoi peculiari simboli tipografici e la sua scrittura da insetto. Verso sera, gli piaceva andarsene a camminare per i sobborghi di Nimes; soleva portar seco un quaderno, e farne un allegro falò.” L’ultima immagine è altamente simbolica: roghi di carta che non inceneriscono i prodotti dello spirito, come l’incancellabilità ed in insieme irrepetibilità del Chisciotte.
“Il raffronto tra la pagina di Cervantes e quella di Menard è senz’altro rivelatore. Il primo, per esempio, scrisse (Don Chisciotte, parte I, capitolo IX):
…la verità, la cui madre è la storia, emula del tempo, deposito delle azioni, testimone del passato, esmpio e notizia del presente, avviso dell’avvenire.
Scritta nel secolo XVII dall’«ingenio lego» Cervantes, quest’enumerazione è un mero elogio retorico della storia. Menard, per contro, scrive:
…la verità, la cui madre è la storia, emula del tempo, deposito delle azioni, testimone del passato, esempio e notizia del presente, avviso dell’avvenire.
La storia, madre della verità; l’idea è meravigliosa, Menard, contemporaneo di William James, non vede nella storia l’indagine della realtà, ma la sua origine. La verità storica, per lui, non è ciò che avvenne, ma ciò che noi giudichiamo che avvenne. Le clausole finali – esempio e notizia del presente, avviso dell’avvenire – sono sfacciatamente pragmatiche.”
Il nascosto segreto della doppia e differenziata interpretazione – non essendo un inganno che le stesse parole possono essere interpretate con diversi canoni, rivelando un diverso significato, una differenza di pensiero – è quello del non detto della dottrina ermeneutica, che si costituisce come scienza dello spirito.
In Borges, il problema ermeneutico si riveste della fantasia narrativa sulla “recita impossibile”, quella in differita del Chisciotte tentata da Menard. Avremo occasione di parlarne a commento dell’altro scritto di Borges sul capolavoro di Cervantes.
[N. d. B.]
Dopo aver letto questo post, bisogna rileggere con attenzione e in successione i post "Pierre Menard" e "Il quarto giorno" (nella parte interessata al Commento del "Pierre Menard") e di nuovo quest'ultimo. Non c'è da meravigliarsi però se dopo questa attenta rilettura che viene suggerita, non si è riusciti a capire più niente. La colpa è da ascriversi al suggerimento, anzi no, al suggeritore. Ciao.
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