IL NODO ALLA GOLA Libertà e Necessità nella logica dei contrari
“L’autooriginazione divina è stato un atto di libertà piena e assoluta e quindi un evento indeducibile e imprevedibile: non se ne può fare un sistema, con principii, deduzioni, dimostrazioni, ma soltanto un racconto, qual è appunto il mito. Un “sistema”, cioè una costruzione logico-metafisica dominata dalla necessità, sopprimerebbe la libertà di quell’atto alterandone la natura.” Così Luigi Pareyson, filosofo cattolico, nel suo “discorso temerario” sul male in Dio, testo compreso nella raccolta dal titolo: “Ontologia della libertà.” Queste parole non potevano esprimere in maniera più chiara la contrapposizione tra i due termini, “Libertà” e “Necessità”, propria di una logica dei contrari propedeutica ad ogni discorso dialettico, vale a dire il luogo del pensiero, dove si confrontano due tesi opposte. In tale ottica, alla Necessità che indica l’essere che non può non essere (“stare”, “nec-cēdĕre”) logicamente si contrappone la Libertà, indicatrice di un essere che può anche non essere. Chi della “Necessità” ha fatto il pilastro fondante del suo sistema di pensiero è stato il filosofo Emanuele Severino, il quale nel suo testo fondamentale, “Destino della Necessità”, ha indicato con queste due parole lo “stare” (“de-stinare”) dell’essere che non cede (“nec-cēdĕre”). Nel suo “Ritornare a Parmenide”, egli osserva come il verso del poema, “l’essere è, il non essere non è”, stabilisce non soltanto la proprietà fondamentale, ma anche il senso stesso dell’essere, che è quello di opporsi al nulla. Nominando l’Essere, la filosofia greca ha evocato il Nulla, l’ombra che da quell’inizio ha accompagnato ed accompagna ancora tutto il cammino della civiltà occidentale. A questa filosofia dell’essere, Pareyson contrappone la sua filosofia della libertà, andando oltre la sorgente del pensiero, la ragione (logos), per risalire fino all’atto divino originario, un evento indeducibile e imprevedibile, di cui non si può fare un discorso filosofico, ma soltanto racconto, il mito. E aggiunge: “Una narrazione capace di riferire adeguatamente quell’atto di assoluta libertà è a nostra disposizione, ed è il racconto del Genesi, che una penetrante ermeneutica può rendere parlante al nostro orecchio d’oggi.” Le due tesi non potevano essere più irriducibili: da una parte il mito della creazione ex nihilo, ed una filosofia della libertà, dall’altro l’inammissibilità di ogni atto creativo, generato dal nulla, inconciliabile con la filosofia dell’essere.
Su un’affermazione, o meglio su una negazione, le due tesi vanno d’accordo: una costruzione logico-metafisica dominata dalla Necessità non può fondarsi sulla Libertà divina. E infatti, nella cultura greca, anche gli dèi non possono sfuggire alla forza superiore della Necessità, l’Ananke, figurativamente una “stretta a gomito”, che strozza e rende impossibile qualsiasi libertà di movimento. È il “nodo alla gola”, che sperimentiamo emotivamente nell’angoscia, una pena straziante, che i versi di Montale hanno saputo tradurre in immagini poetiche di rara potenza espressiva: “Spesso il male di vivere ho incontrato / era il rivo strozzato che gorgoglia / era l'incartocciarsi della foglia /riarsa, era il cavallo stramazzato.” Soltanto la fuga dal mondo, nell’indifferenza divina, quella predicata dalla filosofia di Plotino, può sciogliere il nodo di angoscia: “Bene non seppi, fuori del prodigio / che schiude la divina Indifferenza: / era la statua nella sonnolenza / del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.” Intanto, domandiamoci qual è il significato della “libertà” in un discorso di carattere filosofico. Il “discorso temerario” di Pareyson riprende l’espressione di Plotino (Enneadi, VI, 8, 7), quando il filosofo neoplatonico s’interroga su una possibile obiezione sulla libertà dell’Uno: “A meno che qualche discorso temerario, venuto da un’altra scuola, affermi che solo per caso l’Uno sia quello che è, e che non sia padrone di essere quello che è, e che sia ciò che è non per sé stesso, e che non possegga la libertà né il libero arbitrio, e che non dipenda da Lui il creare o il non creare ciò che è costretto a creare o non creare. Questo discorso, rude e imbarazzante, distrugge completamente la natura dell’atto volontario e libero e persino il concetto di libero arbitrio, come se le nostre parole siano state dette invano e siano puri suoni di cose che non esistono.” Indubbiamente il discorso temerario di Pareyson si muove nella direzione opposta a quella prospettata da Plotino, ricavando dall’espressione soltanto il carattere della temerarietà ossia del rischio di sicuro fallimento, cui va incontro la sua tesi, contraria alla dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, donde egli prende le mosse. Come l’Uno che “occupa il trono eccelso”, così anche il Dio di Pareyson è libertà assoluta e sovrana, quella libertà che ponendosi all’inizio come scelta del Bene, sconfigge ed esclude il Male, che pure evoca come possibilità eliminata da sempre nel divino, ma che si ripropone nella sfera dell’azione umana.
‘Kde domov muj’? ‘Dov’è la mia patria?’ Non è un inno di guerra, non auspica la rovina di nessuno, canta senza retorica il paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, le pianure e le betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i piccoli ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra, è stato bello difendere questa terra, bello amare la nostra patria (Milena Jesenskà)
Copenaghen
Bruxelles Louiza
“Dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una prodigiosa marionetta realizzata dalla divinità, per gioco o per uno scopo serio, questo non lo sappiamo." (Platone, Leggi, 1, 644e)
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IL NODO ALLA GOLA
Libertà e Necessità nella logica dei contrari
“L’autooriginazione divina è stato un atto di libertà piena e assoluta e quindi un evento indeducibile e imprevedibile: non se ne può fare un sistema, con principii, deduzioni, dimostrazioni, ma soltanto un racconto, qual è appunto il mito. Un “sistema”, cioè una costruzione logico-metafisica dominata dalla necessità, sopprimerebbe la libertà di quell’atto alterandone la natura.”
Così Luigi Pareyson, filosofo cattolico, nel suo “discorso temerario” sul male in Dio, testo compreso nella raccolta dal titolo: “Ontologia della libertà.”
Queste parole non potevano esprimere in maniera più chiara la contrapposizione tra i due termini, “Libertà” e “Necessità”, propria di una logica dei contrari propedeutica ad ogni discorso dialettico, vale a dire il luogo del pensiero, dove si confrontano due tesi opposte. In tale ottica, alla Necessità che indica l’essere che non può non essere (“stare”, “nec-cēdĕre”) logicamente si contrappone la Libertà, indicatrice di un essere che può anche non essere.
Chi della “Necessità” ha fatto il pilastro fondante del suo sistema di pensiero è stato il filosofo Emanuele Severino, il quale nel suo testo fondamentale, “Destino della Necessità”, ha indicato con queste due parole lo “stare” (“de-stinare”) dell’essere che non cede (“nec-cēdĕre”). Nel suo “Ritornare a Parmenide”, egli osserva come il verso del poema, “l’essere è, il non essere non è”, stabilisce non soltanto la proprietà fondamentale, ma anche il senso stesso dell’essere, che è quello di opporsi al nulla. Nominando l’Essere, la filosofia greca ha evocato il Nulla, l’ombra che da quell’inizio ha accompagnato ed accompagna ancora tutto il cammino della civiltà occidentale.
A questa filosofia dell’essere, Pareyson contrappone la sua filosofia della libertà, andando oltre la sorgente del pensiero, la ragione (logos), per risalire fino all’atto divino originario, un evento indeducibile e imprevedibile, di cui non si può fare un discorso filosofico, ma soltanto racconto, il mito. E aggiunge: “Una narrazione capace di riferire adeguatamente quell’atto di assoluta libertà è a nostra disposizione, ed è il racconto del Genesi, che una penetrante ermeneutica può rendere parlante al nostro orecchio d’oggi.” Le due tesi non potevano essere più irriducibili: da una parte il mito della creazione ex nihilo, ed una filosofia della libertà, dall’altro l’inammissibilità di ogni atto creativo, generato dal nulla, inconciliabile con la filosofia dell’essere.
Su un’affermazione, o meglio su una negazione, le due tesi vanno d’accordo: una costruzione logico-metafisica dominata dalla Necessità non può fondarsi sulla Libertà divina. E infatti, nella cultura greca, anche gli dèi non possono sfuggire alla forza superiore della Necessità, l’Ananke, figurativamente una “stretta a gomito”, che strozza e rende impossibile qualsiasi libertà di movimento. È il “nodo alla gola”, che sperimentiamo emotivamente nell’angoscia, una pena straziante, che i versi di Montale hanno saputo tradurre in immagini poetiche di rara potenza espressiva: “Spesso il male di vivere ho incontrato / era il rivo strozzato che gorgoglia / era l'incartocciarsi della foglia /riarsa, era il cavallo stramazzato.” Soltanto la fuga dal mondo, nell’indifferenza divina, quella predicata dalla filosofia di Plotino, può sciogliere il nodo di angoscia: “Bene non seppi, fuori del prodigio / che schiude la divina Indifferenza: / era la statua nella sonnolenza / del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.”
Intanto, domandiamoci qual è il significato della “libertà” in un discorso di carattere filosofico. Il “discorso temerario” di Pareyson riprende l’espressione di Plotino (Enneadi, VI, 8, 7), quando il filosofo neoplatonico s’interroga su una possibile obiezione sulla libertà dell’Uno: “A meno che qualche discorso temerario, venuto da un’altra scuola, affermi che solo per caso l’Uno sia quello che è, e che non sia padrone di essere quello che è, e che sia ciò che è non per sé stesso, e che non possegga la libertà né il libero arbitrio, e che non dipenda da Lui il creare o il non creare ciò che è costretto a creare o non creare. Questo discorso, rude e imbarazzante, distrugge completamente la natura dell’atto volontario e libero e persino il concetto di libero arbitrio, come se le nostre parole siano state dette invano e siano puri suoni di cose che non esistono.”
Indubbiamente il discorso temerario di Pareyson si muove nella direzione opposta a quella prospettata da Plotino, ricavando dall’espressione soltanto il carattere della temerarietà ossia del rischio di sicuro fallimento, cui va incontro la sua tesi, contraria alla dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, donde egli prende le mosse. Come l’Uno che “occupa il trono eccelso”, così anche il Dio di Pareyson è libertà assoluta e sovrana, quella libertà che ponendosi all’inizio come scelta del Bene, sconfigge ed esclude il Male, che pure evoca come possibilità eliminata da sempre nel divino, ma che si ripropone nella sfera dell’azione umana.
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