sabato 2 ottobre 2021

Filosofia

 

        

           Le sorgenti del pensiero  


   

8 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

LE FONTI DELLA SPIRITUALITÀ GRECA

1. La poesia omerica e la teogonia esiodea
Prima della nascita della filosofia, la fonte spirituale e culturale dei Greci fu la poesia, in particolare Omero, e si può vedere come i poemi omerici già si strutturano secondo quei caratteri di armonia, proporzione e ricerca del limite e della misura, che si riveleranno poi come una costante della filosofia greca. Nella narrazione poetica non si ha soltanto uno svolgersi descrittivo dei fatti, ma nella fantasia delle immagini, si può già intuire una ricerca delle ragioni, che muovono l’agire umano. E se la poesia parla per immagini, la filosofia parla per concetti, il linguaggio concettuale, inaugurato
da Platone, che costituisce il fondamento della storia del pensiero e della civiltà occidentale. Nell’epos omerico, si possono cogliere inoltre i segni distintivi della filosofia, quando il pensiero si configura come disegno razionale della realtà umana, esibita nella sua totalità, la posizione dell’uomo mortale nell’Universo perfetto, in cui si rispecchiano gli dèi e il divino. E quando i primi pensatori, i naturalisti, cominciarono a indagare sulla natura, per trovare la spiegazione dell’origine (arché) di tutte le cose, ognuno di essi indicò un elemento come quello primigenio, a cominciare dalla “acqua” o “umido” di Talete. La loro ricerca, che oggi denominiamo scientifica, aveva però, a loro insaputa, i caratteri propri della filosofia, il desiderio di conoscere come è strutturatala realtà della natura (physis). Questa primitiva cosmologia filosofica si radicava in un’antecedente cultura, costituita dalle teogonie e cosmogonie mitico-poetiche, prima fra tutte quella paradigmatica di Esiodo, che traccia una sintesi generale dell’imponente patrimonio mitologico precedente.
Nella “Teogonia”, Esiodo narra la nascita di tutti gli dèi, molti dei quali si identificano negli astri o in altre componenti dell’Universo, e in questo senso la teogonia viene a configurarsi come cosmogonia. La rivelazione ricevuta dalle Muse gli ha raccontato del Caos primordiale, da cui è stata generata Gea (la Terra), nel cui grembo sono custodite tutte le cose, e nella sua profondità il Tartaro buio. Dal Caos nacquero Erebo (mondo dei defunti) e Notte, da cui vennero Etere (il Cielo) ed Emera (il Giorno). Esiodo narra inoltre l’origine di altri dèi e numi, tra cui la generazione di Zeus, figlio di Crono e Rea, a loro volta generati dalla Terra e Urano. Quella di Zeus e degli altri dèi dell’Olimpo è l’ultima generazione, la stessa a cui si riferiscono i poemi omerici.
Il linguaggio mitico di Esiodo, se costituisce l’antecedente della cosmologia filosofica di Talete e dei Fisici, si distingue nettamente da quest’ultima: il primo è il linguaggio immaginativo poetico, il secondo quello filosofico scientifico.
Deve aggiungersi che se alle teogonie bisogna riconoscere due caratteri fondamentali della filosofia, la vocazione per l’universale e l’aspetto conoscitivo di pura teoria, manca quello specifico di quest’ultima, il logos ovvero l’aspetto razionale del pensiero. Rispetto al mito, che pure condivide con la filosofia il desiderio di trovare spiegazione della meraviglia sorgente dalla contemplazione della natura e della realtà, la filosofia presenta un atteggiamento del tutto nuovo, il superamento delle forme sensibili attraverso l’attività del logos, il pensiero razionale. È una nuova forma di comunicazione, non più immaginazione e fantasia, ma una nuova terminologia che traduce in concetti e parole le figure e le rappresentazioni del mito.

Silvio Minieri ha detto...

L’ORFISMO
Il nome di Orfeo è attestato a partire dal VI secolo a.C., ma secondo alcuni studiosi il personaggio è vissuto in epoca anteriore a quella di Omero (VIII sec.), e quindi anche di Esiodo. Ma se le tradizioni cantate nella poesia omerica sono antecedenti al loro leggendario autore e le narrazioni del Mito precedono le teogonie, i seguaci del movimento spirituale, che si ispirava alle dottrine dell’orfismo, riconoscevano nella figura di Orfeo il loro patrono e la loro guida. Secondo la testimonianza di Aristotele, il poeta Onomacrito, nel VI secolo, aveva trascritto in versi le dottrine attribuite a Orfeo, quindi è certo che in quell’epoca già si componevano canti lirici sotto il nome del mitico poeta. Euripide e Platone riferiscono di scritti del loro tempo, relativi a riti misterici e atti purificatori, circolanti sotto il nome di Orfeo.
Nella letteratura greca, per la prima volta in Pindaro (V sec.), appare una concezione della natura e dei destini dell’uomo, sconosciuta alla cultura delle epoche precedenti, ed espressione di fede nella dottrina spirituale dell’orfismo. Si comincia a parlare della presenza di elementi divini nell’uomo, mettendone in dubbio la condizione mortale. L’anima proviene dagli dèi ed è imprigionata nel corpo, e quando l’uomo muore, il corpo decade e si corrompe, mentre l’anima liberata dai vincoli continua a vivere immortale. Una testimonianza di questa nuova interpretazione dell’esistenza umana ci viene dalle c.d. “laminette auree”, poste come iscrizioni ad alcune tombe, come ad esempio quella del IV-III sec. di Thurii, località calabra della Magna Grecia:
“Vengo dai puri, o pura regina dei sepolti,
o Eucle, o Eubeo e voi altri dèi immortali,
anch’io mi vanto di appartenere alla vostra stirpe beata.
Mi sconfisse la Moira e il fulmine sfolgorante tra gli astri,
volai via dalla ruota dolorosa e grave di patimenti,
e alla corona desiderata giunsi con i piedi veloci
e riparai in grembo alla regina degli inferi.
O felice e beato, sarai dio invece che mortale!”
Questa fede nell’aldilà, non come ombra dell’Ade, ma come vita immortale di un dio è il nuovo schema che viene a sconvolgere l’antica concezione della vita e della morte, introducendo il nuovo mito dell’immortalità dell’anima, la sopravvivenza al disfacimento del corpo, e la dottrina della rinascita e reincarnazione delle anime, la metempsicosi, a cui farà riferimento Platone in diversi suoi dialoghi, quali il “Fedone”, “Fedro”, “Timeo”, “Repubblica”.

Silvio Minieri ha detto...

Quando il culto di Dioniso dalla Tracia venne ad affermarsi in Grecia, Orfeo, sacerdote di Apollo, citarista e cantore, grande trascinatore con il suo canto di uomini e fiere, divenne il nemico del dio, venuto da fuori. Allora, come ci raccontano il Mito e la tragedia di Eschilo, le “Bassaridi” andata perduta, Dioniso ingelosito ordinò alle sue seguaci di uccidere Orfeo. Il suo corpo venne smembrato e la leggenda vuole che la testa del poeta, staccata dal corpo, continuasse a cantare. Altri racconti mitici narrano della partecipazione di Orfeo alla spedizione degli Argonauti e del suo struggente amore per la consorte Euridice, che non riuscì a portare via dall’Ade. Tutte queste tradizioni presentano Orfeo non come il fondatore dell’orfismo, ma come un suo interprete, che con le pratiche rituali e il contatto con il mondo dei defunti raggiunge una misteriosa dimensione ultramondana.
La “Suida”, Enciclopedia bizantina del X secolo, che sotto le sue svariate voci, raccoglie anche preziose notizie sulla storia letteraria greca più antica, traccia uno schizzo della biografia del poeta, indicandone alcuni scritti: “Orfeo di Lebetra in Tracia, città che si trova sotto la Pieria, figlio di Eagro e di Calliope […] nacque undici generazioni prima della guerra troiana. Dicono che fu discepolo di Lino e che visse nove o, secondo altri, undici generazioni.” Gli vengono attribuiti diverse composizioni di carattere misterico, come “Triagmi”, “Sulle sacre vesti”, “Discorsi sacri” , “Oracoli”, “Iniziazioni”, “Lapidari” “Bacchiche”, “Discesa nell’Ade” ed altre rapsodie, tutte opere di cui vengono indicati come autori anche altri poeti. In queste notizie di “Suida” sulla figura di Orfeo, si avverte l’eco di tradizioni diverse e contrastanti: alcune lo vogliono di provenienza tracia, quindi di origine non omerica e non olimpica, un nume di carattere ctonio e infero; per altri, invece, sarebbe figlio di Apollo e Calliope, per i mitografi antichi la nutrice di Omero, e quindi la sua cronologia sarebbe anteriore a quella omerica.

Silvio Minieri ha detto...

LE TESTIMONIANZE PLATONICHE
Sul principio della dottrina orfica del corpo come prigione dell’anima, abbiamo una fondamentale testimonianza in Platone: “E dicono alcuni che esso (il corpo, soma, σῶμα) è la tomba (sema, σῆμα) dell'anima, in quanto l'anima vi sta riposta in questa vita presente. E siccome l'anima segnala attraverso il corpo quel che vuole significare ( καὶ διότι αὖ τούτῳ σημαίνει ἃ ἂν σημαίνῃ ἡ ψυχή) anche per questa ragione è giusto chiamarlo sema. E mi pare che questo nome gliel'abbiano posto quelli del seguito di Orfeo, poiché l'anima sconta la pena di quelle colpe che deve pagare e che abbia questo involucro, ad immagine d'un carcere, per essere salvata (σῴζηται). E dunque il corpo è come lo stesso nome esprime, soma (σῶμα, custodia) dell’anima, finché questa non abbia pagato il dovuto, e non c’è da cambiare neppure una lettera.”
In questo passo del “Cratilo” (400 b-c), dialogo dedicato all’etimologia dei nomi, in cui si dibatte la tesi tra la scelta delle parole come convenzione o come accordo con il loro significato, Platone coglie l’accordo (“non c’è da cambiare neppure una lettera”)
tra le parole e quello che esse stanno a significare: il “soma” (corpo, custodia) come “sema” (tomba, segno) dell’anima. In questo modo, trova un accordo tra il significato “letterale” delle parole e il principio religioso orfico, il corpo come prigione dell’anima, da cui trae salvezza, uscendone dopo aver pagato il dovuto, la fine della vita.
Gli elementi centrali dell’idea misteriosofica dell’orfismo della caduta dell’anima nel corpo, dove rimane prigioniera, e dell’aspirazione alla liberazione dal ciclo delle rinascite e delle reincarnazioni, attraverso rituali di purificazione e stili di vita, al fine di ricongiungersi con il divino, di cui si afferma la parentela, vengono espressi con chiarezza da Platone in diversi passaggi dei suoi dialoghi. Vi ritroviamo l’indicazione di una condotta di vita etica, soprattutto d’ispirazione socratica, con il giudizio delle anime dopo la morte, e la coltivazione della virtù per una vita secondo giustizia.
“Museo e suo figlio attribuiscono ai giusti doni divini ancora più copiosi di questi [Esiodo ed Omero]: nei loro versi li conducono nell'Ade e li mettono a sdraiare, poi apparecchiano il banchetto degli uomini pii e li fanno stare tutto il tempo cinti di corone ed ebbri, ritenendo che un'eterna ebbrezza sia la più bella mercede della virtù. Altri poi assegnano ricompense divine ancora più grandi, dicendo che l'uomo pio e rispettoso dei giuramenti lascia dopo di sé i figli dei figli e un'intera stirpe. Questi per l'appunto, e altri consimili, sono gli elogi che tributano alla giustizia; invece gli empi e gli ingiusti li seppelliscono nel fango dell'Ade e li costringono a portar acqua con un setaccio, ricoprendoli d'infamia quando sono ancora in vita.” (“Repubblica”, II, 363c)
Museo era un mitico cantore, seguace di Orfeo, autore di poemi d’ispirazione orfica. Il figlio deve essere Eumolpo, capostipite degli Eumolpidi, una famiglia i cui membri erano per tradizione sacerdoti dei misteri eleusini. Nella scena di quelli costretti come pena a portare il setaccio, si può scorgere un’allusione al castigo delle Danaidi, le cinquanta figlie di Danao che uccisero i mariti, loro cugini, la prima notte di nozze, e per questo furono condannate a versare acqua in una botte bucata.

Silvio Minieri ha detto...

Il desiderio e la fede in una giustizia divina ricompensatrice delle ingiustizie umane, peraltro impersonata da Nemesi, la dea della giustizia punitrice nelle vicende della Storia, che in termini di moderna psicologia viene inscritta come archetipo nella psiche collettiva, trova riferimento in Platone, secondo una tradizione spirituale omerica ed esiodea, ma soprattutto di derivazione orfica.
“Girovaghi e indovini battono alle porte dei ricchi per convincerli che grazie a sacrifici e incantesimi hanno ottenuto dagli dèi la facoltà di riparare con divertimenti e feste a qualche colpa commessa dal padrone di casa o dai suoi antenati; e se questi vorrà fare del male a un nemico, gli assicurano che con poca spesa potrà danneggiare ugualmente il giusto e l'ingiusto mediante certi incantesimi e nodi magici, poiché, a quanto dicono, essi persuadono gli dèi a mettersi al loro servizio. A tutti questi discorsi adducono le testimonianze di poeti, alcuni dei quali concedono alla malvagità una facile realizzazione: "anche in folla è agevole attingere al male: piana è la strada, e abita molto vicino; ma davanti a virtù posero gli dèi il sudore" [Esiodo] e una via lunga, aspra e scoscesa. Altri chiamano Omero a testimone della possibilità che gli uomini traggano a sé gli dèi, poiché anch'egli ha detto: "si piegano anche gli dèi, con sacrifici e con blande preghiere, con libagioni e grasso di vittime gli umani pregando li placano, se alcun trasgredisca o un fallo commetta" [Iliade]. Inoltre presentano una folla di libri di Museo e di Orfeo, discendenti, a loro dire, della Luna e delle Muse; e sulla base di questi libri compiono i loro riti, convincendo non solo i singoli, ma anche le città, che esistono sia per chi è ancora in vita sia per chi è morto assoluzioni e purificazioni dalle colpe per mezzo di sacrifici e piacevoli giochi, a cui danno il nome di iniziazioni capaci di liberarci dai mali di laggiù, mentre pene terribili attendono chi non compie tali sacrifici.” (“Repubblica”, II, 364 b-e)

Silvio Minieri ha detto...

IL PITAGORISMO
La dottrina platonica dell’immortalità dell’anima, con le relative reincarnazioni, per cui alla fine del ciclo di diecimila anni, (“A quel luogo, poi, donde è mossa, ciascuna anima non giunge prima di diecimila anni”, “Fedro” 249a), ritorna alla sua patria di origine, la divinità, conserva quei tratti propri della spiritualità orientale, l’induismo, l’antica religione dell’India, dove la metempsicosi in sanscrito ha il nome di samsara. Questi elementi di religiosità orientale erano penetrati in Occidente, attraverso la mistica orfica e l’insegnamento di Pitagora, e furono conosciuti da Platone, che aveva viaggiato in Italia, intrattenendosi presso i circoli pitagorici di Filolao ed Eurito, e da un suo viaggio in Egitto, come riferito da Diogene Laerzio, anche se la notizia non è confermata, come non confermata è la notizia di una sua volontà di voler incontrare i Magi, rimasta senza risultato. Di viaggi di Pitagora in Egitto abbiamo invece diverse testimonianze, in Erodoto (II, 123) leggiamo: “ Anche in questo gli Egiziani furono i primi, nel dire che l’anima dell’uomo è immortale, e quando il corpo perisce, entra nel corpo di un altro animale nascente, e quando è passata per tutti gli animali della terra e del mare e dell’aria, entra ancora nel corpo di un uomo nascente: il giro completo, dicono, lo compie in tremila anni. Questa dottrina fu accolta da alcuni Greci, quali prima e quali dopo, ma costoro la presentarono come loro propria, io conosco i loro nomi, ma non li scrivo.” Il chiaro riferimento è a Pitagora e ai pitagorici, come si desume da un altro frammento delle sue “Storie” (Ἱστορίαι), dove viene descritto il comportamento e l’abbigliamento degli Egiziani, anche in relazione ai riti funebri: “Vestono tuniche di lino chiamate “calasiri”, ornate di frange intorno alle gambe; sopra le tuniche indossano mantelli di lana bianca, ma non possono portarli dentro un tempio e usarli nel corredo funebre, non essendo consentito. In questo vanno d'accordo con i precetti denominati orfici e bacchici, che sono in realtà egiziani e pitagorici, e chi è iniziato a tali misteri commette empietà, se si fa seppellire con vesti di lana. In proposito esiste un racconto sacro.” (II, 81)
Dei contatti di Pitagora con l’Egitto e dell’apprendimento di dottrine e riti religiosi orientali, abbiamo diverse testimonianze. Ricordiamo quella di Isocrate, 11, 27-28: “Se non avessi fretta, direi molte meravigliose cose della loro pietà [degli Egiziani]. Né io sono il primo o il primo che la scorga; ma molti l’hanno conosciuta, sia uomini d’oggi, sia uomini del passato. Tra questi è anche Pitagora di Samo, il quale andato in Egitto e fattosi loro discepolo, portò per primo in Grecia lo studio di ogni genere di filosofia, e più degli altri si prese cura dei sacrifici e delle cerimonie religiose.”

Silvio Minieri ha detto...

Il discorso su Pitagora, la sua vita e il suo pensiero, come riportato dagli autori classici, non manca di particolari fantastici e inverosimili, che alla luce della ragione, risultano quanto meno irrazionali, come per esempio i miracoli, di cui ci riferisce Apollonio (Ἱστορίαι θαυμάσιαι, Mirabilia, 6): “Pitagora di Mnesarco prima si dedicò alla matematica e ai numeri, poi si dette a far miracoli come aveva fatto Ferecide. Così un giorno, in Metaponto, mentre una nave stava per entrare nel porto con carico, e i presenti, preoccupati per il carico, pregavano che entrasse salva, Pitagora apparve e disse: “Questa nave vi porterà un morto.” Un’altra volta, a Caulonia, racconta Aristotele, preannunciò l’arrivo dell’orsa bianca. E il medesimo Aristotele scrive di lui molte altre cose: tra le altre questa, che, rispondendo con un morso al morso d’un serpente mortale, lo uccise. E che predisse la sedizione contro i Pitagorici. Fu appunto per questo che passò a Metaponto, senza esser visto da nessuno: e, mentre passava vicino al fiume Casa con altri, fu salutato da una gran voce che gli diceva: «Salve, o Pitagora»: e i presenti si spaventarono. Una volta anche apparve, nello stesso giorno e nella stessa ora, in Crotone e in Metaponto. Aristotele racconta anche che una volta, in un teatro, si alzò e mostrò agli spettatori che la sua coscia era d’oro.”
Altri eventi miracolistici e aspetti mistici della sua persona li ritroviamo in fonti diverse. Eliano (Variae Historiae IV, 17): “Pitagora insegnava agli uomini ch’era nato da semi migliori di quelli dai quali nascono quanti hanno natura mortale; raccontano infatti che fu visto in Metaponto e in Crotone nello stesso giorno e nella stessa ora. E in Olimpia mostrò che aveva una coscia d’oro. E ricordò che Millia di Crotone era un tempo Mida di Gordia, frigio; e accarezzò l’aquila bianca che non fuggì davanti a lui.”
Giamblico (Phytagoras 31). “Aristotele racconta anche che tra i maggiori segreti custoditi dai Pitagorici è questa distinzione: gli esseri viventi dotati di ragione si distinguono in dèi, uomini, ed esseri come Pitagora.”
Sulla reincarnazione abbiamo una testimonianza di Porfirio (Vita Pythagorae, 18): “Quello ch'egli diceva ai suoi compagni, nessuno può dire con certezza, perché serbavano su questo un grande segreto. Ma le sue opinioni più conosciute sono queste. Diceva che l'anima è immortale; poi che essa passa in esseri animati d'altra specie; poi che quello che è stato si ripete a intervalli regolari e che nulla c'è che sia veramente nuovo; infine che bisogna considerare come appartenenti allo stesso genere tutti gli esseri animati. Fu infatti Pitagora colui che per primo portò queste opinioni in Grecia.” Infine sul suo insegnamento, Diogene Laerzio (VIII, 15) scrive: “Fino a Filolao non fu possibile conoscere il pensiero di Pitagora; fu Filolao il solo che divulgò i tre famosi libri, che Platone si fece comperare al prezzo di cento mine.”

Silvio Minieri ha detto...

IMMAGINE – Figlia di Zeus e Mnemosine, Calliope è tradizionalmente considerata la Musa della Poesia Epica. Nella mitologia classica aveva il compito, insieme le altre Muse, di rallegrare i banchetti divini con inni e cori. La sua figura è infatti legata al mito di Apollo, di Dioniso e del figlio Orfeo. È l’ispiratrice di grandi opere poetiche, prime fra tutte l’Iliade e l’Odissea.