L’araldo e il canto del gallo (Seminari sullo “Zarathustra”, Quarta Conferenza, 8 febbraio 1939)
Nel capitolo “Antiche e nuove tavole”, parte terza dello “Zarathustra”, Nietzsche segna l’avvenire, un presagio: “Guai a noi! Fortunati noi! Soffia il vento del disgelo.” Di che cosa sta parlando? Si domanda Jung. “Ecco qui Wotan, il vento del disgelo. Quando non accade nulla, quando nel complesso le cose sono a un punto morto e si trovano in uno stato di sospensione, allora è certo che qualcuno vedrà Wotan fare i propri preparativi. Svariate leggende raccontano che, quando lo si incontra nei panni di un vagabondo, in tempi brevissimi scoppia una guerra. Quando appare, Wotan è come il vento del disgelo, in primavera scioglie i ghiacci e la neve.” Così commenta Jung e passa oltre ad esaminare il testo. “Potrebbe venire un grande despota, un demonio maligno abile ad interpretare tutto il passato a modo suo, e a violentarlo finché il passato non diventi per lui e ponte e profezia e araldo e canto del gallo.” – Che cosa profetizza qui? – L’avvento di un grande dittatore. […] Si tratta di una visione davvero stupefacente dell’avvenire. “Ma questo è l’altro pericolo e l’altra mia compassione: chi è della plebe, il suo pensiero giunge al padre del padre.” Che cosa significa questo? Si domanda Jung. Interloquisce la signorina Hannah: – Tutti i dittatori vengono dalla plebe. Riprende la parola il professor Jung: – Per come li conosciamo ora, sì, vengono dalla plebe, e le loro idee risalgono effettivamente al nonno – e questa è la cosa buffa. Dovrebbe trattarsi del XIX secolo o dintorni. Prima del nonno il tempo finisce, non vi è alcun tempo. Trai primitivi le cose stanno così. Il così detto tempo alcheringa o altjiranga è quello che precede la nascita del nonno. Vedete, i primitivi non conoscono nulla che risalga a prima del nonno, perciò l’età eroica in cui avvennero i grandi miracoli, il tempo della creazione, è l’epoca anteriore a quella in cui visse il nonno. Per noi sarebbe questione di poche generazioni, ma per il primitivo è qualcosa di totalmente remoto: la sua conoscenza del passato non giunge oltre. Prima del nonno c’era l’Urzeit, l’alcheringa, il tempo in cui ebbero luogo quei fatti straordinari. È esattamente quanto afferma qui Nietzsche. […] Signor Bash: “Non vi è qui un parallelo con la mitologia greca, in cui vi erano solo tre generazioni di dèi – Saturno, Crono e Zeus – e prima di loro il nulla?” Professor Jung: “Sì, il fatto del tutto primitivo. Il nonno costituisce il limite ultimo, prima di lui il tempo è abolito. In Grecia l’epoca omerica rappresenta un perfetto parallelo dell’altjiranga sono gli eroi di quel tempo, in cui non vi era un tempo, proprio come in Grecia le famiglie nobili venivano fatte risalire ad Agamennone o Odisseo, o a un altro qualsiasi degli eroi omerici. Inoltre questi eroi dell’epoca omerica erano per metà uomo e metà bestia, il che dà conto del fatto che il primo fondatore di Atene, Cecrope, fosse per metà uomo e per metà serpente, ed Eretteo fosse venerato in forma di serpente nei sotterranei dell’Eretteo sull’Acropoli. Vi era l’idea che dopo la morte gli eroi si trasformassero in serpenti. La concezione secondo cui essi erano esseri semi-animali è anche correlata al fatto che tutti gli dèi avevano attributi animali. Del resto gli emblemi degli stessi evangelisti sono animali.”
Qui Jung insiste su una sua idea consolidata, infatti nelle sue riflessioni sull’uomo e i suoi simboli, così scrive: “Prendiamo il caso di quell’indiano, che dopo aver visitato l’Inghilterra, tornato in patria, raccontò ai suoi amici che gli inglesi venerano gli animali, dal momento che egli aveva trovato aquile, leoni e buoi nelle vecchie chiese che aveva visitato. Egli non sapeva, né lo sanno molti cristiani, che questi animali simboleggiano gli Evangelisti e derivano dalla visione di Ezechiele e che questa, a sua volta, ha un’analogia con la divinità egizia del sole, Horus, e i suoi quattro figli.” Quindi, nei “Seminari”, così parla: “E gli antenati animali sono stati rappresentati in forma simbolica dagli animali totemici araldici, come il leone e l’unicorno britannici, oppure l’aquila, o il galletto francese. I popoli orientali prediligono le aquile, perché hanno più a che fare con il vento: i loro animali totemici sono gli uccelli. Quindi queste antiche concezioni hanno lasciato delle tracce.” Jung parla di animali totemici araldici, come intendere queste sue parole? Qui bisogna rifarsi agli interessi della psicanalisi ai suoi inizi, in cui si realizzò una collaborazione poi interrotta tra Freud e Jung, e su questo tema, quello della psicologia dei popoli, entrambi soffermarono la loro attenzione. Nella sua opera del 1913, “Totem e Tabù”, composta da quattro saggi di antropologia, riferendosi a questi, nella Prefazione, Freud scrive: “Dal punto di vista del metodo, esse [le premesse e i risultati della psicanalisi] si collocano in antitesi […] con la scuola psicanalitica di Zurigo, la quale, usando un procedimento inverso al mio, tenta di risolvere i problemi della psicologia individuale, servendosi del materiale tratto dalla psicologia dei popoli.” E aggiunge come uno stimolo alla stesura dei suoi saggi gli sia venuta da questa fonte. Quindi, passando ad esaminare il problema dell’incesto presso i primitivi, gli aborigeni dell’Australia, subito afferma: “Certamente non possiamo attenderci da questi miserabili cannibali una moralità sessuale nel senso che noi le diamo, e che si siano imposti grandi limitazioni nello sfogo degli istinti sessuali. Veniamo tuttavia a sapere che con cura minuziosissima e inesorabile rigore essi hanno prestabilito di evitare i rapporti sessuali incestuosi, al punto che tutta la loro organizzazione sociale sembra tendere a questo fine ed essere legata alla sua realizzazione.” Dove trovare la fonte di queste loro regole? “In luogo delle istituzioni religiose e sociali, noi troviamo presso gli Australiani il “totemismo”. Le tribù si dividono in piccoli gruppi, ognuno dei quali prende il nome del suo totem. Ma che cos’è questo totem?” Ecco la domanda clou. Freud si è documentato e così risponde: “La maggior parte delle volte è un animale, a volte commestibile, inoffensivo, a volte pericoloso e temuto; meno spesso una pianta o una forza naturale… Tra il totem e la famiglia che ne ha preso il nome esiste un rapporto speciale. Il totem è il progenitore della famiglia, ma ne è anche il genio tutelare, quello che nel bisogno dà, aiuta ed invia i suoi oracoli.”
Qui Freud sta tratteggiando una figura sacra, che comporta un obbligo sacro, la cui trasgressione è severamente punita, come l’uccisione e il cibarsi delle sue carni, e non solo l’animale singolo ma l’intera sua specie. Il totem è ereditario, e la subordinazione al totem costituisce la base di tutti gli obblighi sociali degli Australiani, i primitivi di cui parla Freud, ricavando queste sue cognizioni dall’opera dell’antropologo e storico delle religioni, lo scozzese James Frazer: “Totemism and Exogamy”. Il termine totem trova la sua origine, nella forma di “totam” dai pellirosse dell’America del Nord. Gli studi sul totemismo da parte degli scienziati hanno portato alla conclusione che questo fenomeno, oltre che tra gli indiani d’America e gli australiani, era diffuso anche tra le popolazioni oceaniche, nell’India Orientale ed in una gran parte dell’Africa. “Tracce d’esso e vestigia […] ci permettono di dedurre che il totemismo è anticamente esistito anche fra gli aborigeni ariani e semiti dell’Europa e dell’Asia. Alcuni scienziati inclinano perciò a vedere in esso una fase che lo sviluppo umano ha dovuto necessariamente attraversare in ogni luogo.” Dopo questo breve schizzo sul totemismo, Freud si domanda: “In che modo gli uomini preistorici sono giunti ad attribuirsi un totem? Come sono cioè giunti a porre alla base dei loro obblighi sociali e perfino delle loro restrizioni sessuali la propria discendenza da questo o quell’animale?” Poi osserva che vi sono diverse teorie e annuncia di studiare la soluzione del problema attraverso la psicanalisi. Noi, ora, abbandoniamo il discorso di Freud sul totemismo e riprendiamo il nostro percorso sulle tracce delle riflessioni di Jung, nell’esame dello “Zarathustra”. “Nietzsche intuisce il pericolo che quel grande dittatore possa provenire dalla plebe, e che i suoi pensieri risalgano al “padre del padre”, il che implica che avrebbe idee in qualche modo antiquate.” Quindi espone le sue osservazioni sul momento storico che sta vivendo: “E ciò è la verità, per quanto riguarda gli attuali dittatori che contano, per esempio per lo stesso Hitler. Nel suo Mein Kampf si nota che una parte delle sue concezioni ha origine nel socialismo […] mentre un’altra parte deriva dalla Chiesa cattolica.” La madre di Adolf Hitler, Klara Pölzl, era una cattolica praticante, fece battezzare e cresimare il figlio, che poi da adolescente smise di essere soggetto alla pratica religiosa. Osserva Jung, a cui interessa la psicologia di Hitler: “Il socialismo è un singolo aspetto del cristianesimo che si è realizzato, l’amore fraterno, con il disordine che ne scaturisce, l’altro versante è la Chiesa cattolica – disciplina, organizzazione, con il carcere che ne consegue. Questi sono i due pilastri del suo pensiero, le idee del nonno.”
In tale situazione di pericolo, quale l’annuncio dell’araldo, il canto del gallo, che precorre l’avvenire? – Perciò, fratelli miei, occorre una nobiltà nuova, che si opponga a tutto quanto è plebe e dispotismo e scriva su tavole nuove la parola “nobile”. “Il rimedio per tutti i vizi e i pericoli dei dittatori consisterebbe dunque in una sorta di oligarchia – una ristretta cerchia di governanti di nobile indole e nobili natali. Ma si tratta ovviamente dell’idea di ogni dittatore. In Russia il partito comunista costituisce la nobiltà; i suoi membri sono pagati parecchie dozzine di volte più di qualsiasi altra persona, dispongono di automobili e altro, e comandano a bacchetta l’operaio, il quale non ha alcuna voce in capitolo. Non è che uno schiavo, è peggio che ai tempi del feudalesimo. Anche in Germania stanno imitando quest’idea di nobiltà. Nelle scuole delle Ordensburgen [letteralmente “Castelli dell’Ordine”] i giovani delle SS ricevono un’educazione tesa a trasformarli in un nuovo ordine di cavalieri – i cavalieri del nuovo Stato. Tutto ciò viene previsto, proprio come Nietzsche afferma qui.” La disanima di Jung tende a dimostrare il valore profetico di certe affermazioni di Nietzsche, la profondità psicologica, che gli riconosce. E quindi ne segue i passi, per capire dove portano queste sue asserzioni: la deificazione degli uomini. Infatti, la nobiltà a cui Nietzsche allude non è quella creata ad arte, ma una nobiltà che crea sé stessa: “Ci vogliono molti nobili e di varia specie perché ci sia nobiltà.” Che cosa intende dire? È lo stesso Nietzsche a spiegarlo: “O come dissi una volta in metafora: – Questo appunto è la divinità: che esistano dèi, ma non esista un dio!” Nella “Gaia Scienza”, che precede lo “Zarathustra”, Nietzsche aveva annunciato la morte di Dio, ma qui, osserva Jung, Dio non sembra così defunto. È l’elemento della divinità, che sfuggito alla dogmatica del cristianesimo di un Dio Persona, s’incarna negli uomini, per cui non ci sarà più Dio, ma soltanto dèi. “Si tratta di qualcosa come l’intuizione di un processo d’individuazione nell’uomo, un processo che alla fine condurrà alla deificazione dell’uomo o alla nascita di Dio nell’uomo. A questo punto ci troviamo di fronte a un dilemma: deificazione dell’uomo o nascita di Dio nell’uomo?” Con questo interrogativo di Jung si chiude la Conferenza dell’8 febbraio 1939 del Seminario, ma il dilemma rimarrà irrisolto.
[N. d. B.] Per me, che l’altra volta non avevo capito (non avevo voluto capire) la storia del cuoco e del nonno, il riferimento ellittico era al nonno paterno, Spiridon Ivanovič Putin (1879-1965), che lavorò come cuoco in una dacia al servizio di Lenin e Stalin. E l’altro cuoco, morto in un incidente aereo? Amen. Come quell’altro recentemente? No, quest’altro, si trattava di un elicottero, e poi non era un cuoco. Era ben altro! Ma che cosa sono questi discorsi? Su, andiamo via! Jetzt, sofort. Via, via! In aereo? No. In elicottero? No. E come? L’autobus di San Francesco, a cavallo delle scarpe.
‘Kde domov muj’? ‘Dov’è la mia patria?’ Non è un inno di guerra, non auspica la rovina di nessuno, canta senza retorica il paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, le pianure e le betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i piccoli ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra, è stato bello difendere questa terra, bello amare la nostra patria (Milena Jesenskà)
Copenaghen
Bruxelles Louiza
“Dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una prodigiosa marionetta realizzata dalla divinità, per gioco o per uno scopo serio, questo non lo sappiamo." (Platone, Leggi, 1, 644e)
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IL GRANDE DESPOTA
L’araldo e il canto del gallo
(Seminari sullo “Zarathustra”, Quarta Conferenza, 8 febbraio 1939)
Nel capitolo “Antiche e nuove tavole”, parte terza dello “Zarathustra”, Nietzsche segna l’avvenire, un presagio: “Guai a noi! Fortunati noi! Soffia il vento del disgelo.” Di che cosa sta parlando? Si domanda Jung.
“Ecco qui Wotan, il vento del disgelo. Quando non accade nulla, quando nel complesso le cose sono a un punto morto e si trovano in uno stato di sospensione, allora è certo che qualcuno vedrà Wotan fare i propri preparativi. Svariate leggende raccontano che, quando lo si incontra nei panni di un vagabondo, in tempi brevissimi scoppia una guerra. Quando appare, Wotan è come il vento del disgelo, in primavera scioglie i ghiacci e la neve.” Così commenta Jung e passa oltre ad esaminare il testo.
“Potrebbe venire un grande despota, un demonio maligno abile ad interpretare tutto il passato a modo suo, e a violentarlo finché il passato non diventi per lui e ponte e profezia e araldo e canto del gallo.” – Che cosa profetizza qui? – L’avvento di un grande dittatore. […] Si tratta di una visione davvero stupefacente dell’avvenire.
“Ma questo è l’altro pericolo e l’altra mia compassione: chi è della plebe, il suo pensiero giunge al padre del padre.” Che cosa significa questo? Si domanda Jung.
Interloquisce la signorina Hannah: – Tutti i dittatori vengono dalla plebe. Riprende la parola il professor Jung: – Per come li conosciamo ora, sì, vengono dalla plebe, e le loro idee risalgono effettivamente al nonno – e questa è la cosa buffa. Dovrebbe trattarsi del XIX secolo o dintorni. Prima del nonno il tempo finisce, non vi è alcun tempo. Trai primitivi le cose stanno così. Il così detto tempo alcheringa o altjiranga è quello che precede la nascita del nonno. Vedete, i primitivi non conoscono nulla che risalga a prima del nonno, perciò l’età eroica in cui avvennero i grandi miracoli, il tempo della creazione, è l’epoca anteriore a quella in cui visse il nonno. Per noi sarebbe questione di poche generazioni, ma per il primitivo è qualcosa di totalmente remoto: la sua conoscenza del passato non giunge oltre. Prima del nonno c’era l’Urzeit, l’alcheringa, il tempo in cui ebbero luogo quei fatti straordinari. È esattamente quanto afferma qui Nietzsche. […]
Signor Bash: “Non vi è qui un parallelo con la mitologia greca, in cui vi erano solo tre generazioni di dèi – Saturno, Crono e Zeus – e prima di loro il nulla?”
Professor Jung: “Sì, il fatto del tutto primitivo. Il nonno costituisce il limite ultimo, prima di lui il tempo è abolito. In Grecia l’epoca omerica rappresenta un perfetto parallelo dell’altjiranga sono gli eroi di quel tempo, in cui non vi era un tempo, proprio come in Grecia le famiglie nobili venivano fatte risalire ad Agamennone o Odisseo, o a un altro qualsiasi degli eroi omerici. Inoltre questi eroi dell’epoca omerica erano per metà uomo e metà bestia, il che dà conto del fatto che il primo fondatore di Atene, Cecrope, fosse per metà uomo e per metà serpente, ed Eretteo fosse venerato in forma di serpente nei sotterranei dell’Eretteo sull’Acropoli. Vi era l’idea che dopo la morte gli eroi si trasformassero in serpenti. La concezione secondo cui essi erano esseri semi-animali è anche correlata al fatto che tutti gli dèi avevano attributi animali. Del resto gli emblemi degli stessi evangelisti sono animali.”
Qui Jung insiste su una sua idea consolidata, infatti nelle sue riflessioni sull’uomo e i suoi simboli, così scrive: “Prendiamo il caso di quell’indiano, che dopo aver visitato l’Inghilterra, tornato in patria, raccontò ai suoi amici che gli inglesi venerano gli animali, dal momento che egli aveva trovato aquile, leoni e buoi nelle vecchie chiese che aveva visitato. Egli non sapeva, né lo sanno molti cristiani, che questi animali simboleggiano gli Evangelisti e derivano dalla visione di Ezechiele e che questa, a sua volta, ha un’analogia con la divinità egizia del sole, Horus, e i suoi quattro figli.”
Quindi, nei “Seminari”, così parla: “E gli antenati animali sono stati rappresentati in forma simbolica dagli animali totemici araldici, come il leone e l’unicorno britannici, oppure l’aquila, o il galletto francese. I popoli orientali prediligono le aquile, perché hanno più a che fare con il vento: i loro animali totemici sono gli uccelli. Quindi queste antiche concezioni hanno lasciato delle tracce.”
Jung parla di animali totemici araldici, come intendere queste sue parole? Qui bisogna rifarsi agli interessi della psicanalisi ai suoi inizi, in cui si realizzò una collaborazione poi interrotta tra Freud e Jung, e su questo tema, quello della psicologia dei popoli, entrambi soffermarono la loro attenzione.
Nella sua opera del 1913, “Totem e Tabù”, composta da quattro saggi di antropologia, riferendosi a questi, nella Prefazione, Freud scrive: “Dal punto di vista del metodo, esse [le premesse e i risultati della psicanalisi] si collocano in antitesi […] con la scuola psicanalitica di Zurigo, la quale, usando un procedimento inverso al mio, tenta di risolvere i problemi della psicologia individuale, servendosi del materiale tratto dalla psicologia dei popoli.” E aggiunge come uno stimolo alla stesura dei suoi saggi gli sia venuta da questa fonte. Quindi, passando ad esaminare il problema dell’incesto presso i primitivi, gli aborigeni dell’Australia, subito afferma: “Certamente non possiamo attenderci da questi miserabili cannibali una moralità sessuale nel senso che noi le diamo, e che si siano imposti grandi limitazioni nello sfogo degli istinti sessuali. Veniamo tuttavia a sapere che con cura minuziosissima e inesorabile rigore essi hanno prestabilito di evitare i rapporti sessuali incestuosi, al punto che tutta la loro organizzazione sociale sembra tendere a questo fine ed essere legata alla sua realizzazione.” Dove trovare la fonte di queste loro regole?
“In luogo delle istituzioni religiose e sociali, noi troviamo presso gli Australiani il “totemismo”. Le tribù si dividono in piccoli gruppi, ognuno dei quali prende il nome del suo totem. Ma che cos’è questo totem?” Ecco la domanda clou.
Freud si è documentato e così risponde: “La maggior parte delle volte è un animale, a volte commestibile, inoffensivo, a volte pericoloso e temuto; meno spesso una pianta o una forza naturale… Tra il totem e la famiglia che ne ha preso il nome esiste un rapporto speciale. Il totem è il progenitore della famiglia, ma ne è anche il genio tutelare, quello che nel bisogno dà, aiuta ed invia i suoi oracoli.”
Qui Freud sta tratteggiando una figura sacra, che comporta un obbligo sacro, la cui trasgressione è severamente punita, come l’uccisione e il cibarsi delle sue carni, e non solo l’animale singolo ma l’intera sua specie. Il totem è ereditario, e la subordinazione al totem costituisce la base di tutti gli obblighi sociali degli Australiani, i primitivi di cui parla Freud, ricavando queste sue cognizioni dall’opera dell’antropologo e storico delle religioni, lo scozzese James Frazer: “Totemism and Exogamy”. Il termine totem trova la sua origine, nella forma di “totam” dai pellirosse dell’America del Nord. Gli studi sul totemismo da parte degli scienziati hanno portato alla conclusione che questo fenomeno, oltre che tra gli indiani d’America e gli australiani, era diffuso anche tra le popolazioni oceaniche, nell’India Orientale ed in una gran parte dell’Africa. “Tracce d’esso e vestigia […] ci permettono di dedurre che il totemismo è anticamente esistito anche fra gli aborigeni ariani e semiti dell’Europa e dell’Asia. Alcuni scienziati inclinano perciò a vedere in esso una fase che lo sviluppo umano ha dovuto necessariamente attraversare in ogni luogo.”
Dopo questo breve schizzo sul totemismo, Freud si domanda: “In che modo gli uomini preistorici sono giunti ad attribuirsi un totem? Come sono cioè giunti a porre alla base dei loro obblighi sociali e perfino delle loro restrizioni sessuali la propria discendenza da questo o quell’animale?” Poi osserva che vi sono diverse teorie e annuncia di studiare la soluzione del problema attraverso la psicanalisi.
Noi, ora, abbandoniamo il discorso di Freud sul totemismo e riprendiamo il nostro percorso sulle tracce delle riflessioni di Jung, nell’esame dello “Zarathustra”.
“Nietzsche intuisce il pericolo che quel grande dittatore possa provenire dalla plebe, e che i suoi pensieri risalgano al “padre del padre”, il che implica che avrebbe idee in qualche modo antiquate.” Quindi espone le sue osservazioni sul momento storico che sta vivendo: “E ciò è la verità, per quanto riguarda gli attuali dittatori che contano, per esempio per lo stesso Hitler. Nel suo Mein Kampf si nota che una parte delle sue concezioni ha origine nel socialismo […] mentre un’altra parte deriva dalla Chiesa cattolica.” La madre di Adolf Hitler, Klara Pölzl, era una cattolica praticante, fece battezzare e cresimare il figlio, che poi da adolescente smise di essere soggetto alla pratica religiosa. Osserva Jung, a cui interessa la psicologia di Hitler: “Il socialismo è un singolo aspetto del cristianesimo che si è realizzato, l’amore fraterno, con il disordine che ne scaturisce, l’altro versante è la Chiesa cattolica – disciplina, organizzazione, con il carcere che ne consegue. Questi sono i due pilastri del suo pensiero, le idee del nonno.”
In tale situazione di pericolo, quale l’annuncio dell’araldo, il canto del gallo, che precorre l’avvenire? – Perciò, fratelli miei, occorre una nobiltà nuova, che si opponga a tutto quanto è plebe e dispotismo e scriva su tavole nuove la parola “nobile”.
“Il rimedio per tutti i vizi e i pericoli dei dittatori consisterebbe dunque in una sorta di oligarchia – una ristretta cerchia di governanti di nobile indole e nobili natali. Ma si tratta ovviamente dell’idea di ogni dittatore. In Russia il partito comunista costituisce la nobiltà; i suoi membri sono pagati parecchie dozzine di volte più di qualsiasi altra persona, dispongono di automobili e altro, e comandano a bacchetta l’operaio, il quale non ha alcuna voce in capitolo. Non è che uno schiavo, è peggio che ai tempi del feudalesimo. Anche in Germania stanno imitando quest’idea di nobiltà. Nelle scuole delle Ordensburgen [letteralmente “Castelli dell’Ordine”] i giovani delle SS ricevono un’educazione tesa a trasformarli in un nuovo ordine di cavalieri – i cavalieri del nuovo Stato. Tutto ciò viene previsto, proprio come Nietzsche afferma qui.”
La disanima di Jung tende a dimostrare il valore profetico di certe affermazioni di Nietzsche, la profondità psicologica, che gli riconosce. E quindi ne segue i passi, per capire dove portano queste sue asserzioni: la deificazione degli uomini.
Infatti, la nobiltà a cui Nietzsche allude non è quella creata ad arte, ma una nobiltà che crea sé stessa: “Ci vogliono molti nobili e di varia specie perché ci sia nobiltà.” Che cosa intende dire? È lo stesso Nietzsche a spiegarlo: “O come dissi una volta in metafora: – Questo appunto è la divinità: che esistano dèi, ma non esista un dio!”
Nella “Gaia Scienza”, che precede lo “Zarathustra”, Nietzsche aveva annunciato la morte di Dio, ma qui, osserva Jung, Dio non sembra così defunto. È l’elemento della divinità, che sfuggito alla dogmatica del cristianesimo di un Dio Persona, s’incarna negli uomini, per cui non ci sarà più Dio, ma soltanto dèi.
“Si tratta di qualcosa come l’intuizione di un processo d’individuazione nell’uomo, un processo che alla fine condurrà alla deificazione dell’uomo o alla nascita di Dio nell’uomo. A questo punto ci troviamo di fronte a un dilemma: deificazione dell’uomo o nascita di Dio nell’uomo?” Con questo interrogativo di Jung si chiude la Conferenza dell’8 febbraio 1939 del Seminario, ma il dilemma rimarrà irrisolto.
[N. d. B.]
Per me, che l’altra volta non avevo capito (non avevo voluto capire) la storia del cuoco e del nonno, il riferimento ellittico era al nonno paterno, Spiridon Ivanovič Putin (1879-1965), che lavorò come cuoco in una dacia al servizio di Lenin e Stalin. E l’altro cuoco, morto in un incidente aereo? Amen. Come quell’altro recentemente? No, quest’altro, si trattava di un elicottero, e poi non era un cuoco. Era ben altro! Ma che cosa sono questi discorsi? Su, andiamo via! Jetzt, sofort. Via, via! In aereo? No. In elicottero? No. E come? L’autobus di San Francesco, a cavallo delle scarpe.
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