domenica 13 ottobre 2024

Narrativa

 

         

      Una passeggiata novembrina




7 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

UNA PASSEGGIATA NOVEMBRINA
L’altro giorno ho incontrato Mauro, l’ornitologo che abita nel palazzo di fronte al mio, e mi ha detto che era tornato da una vacanza al mare. Io gli ho chiesto se avesse avuto notizie di Vittorio, un giovane che avevo conosciuto tempo addietro al Kapalıçarşı, il Bazar Grande di Istanbul, dove era stato inviato dalla sua ditta di Novara per negoziare acquisti di tappeti. Ultimamente l’avevo messo in contatto con Mauro, che sapevo interessato all’acquisto di alcuni arazzi copti d’Egitto, ma non avevo avuto più sue notizie. Mauro mi ha detto che Vittorio era stato gravemente ferito in un attentato terroristico nella capitale turca ed era stato trasportato all’Ospedale del Celio con un volo speciale dell’Aeronautica Militare. Gli ho chiesto se fosse vivo o morto, e Mauro mi ha risposto che era moribondo. L’ultima volta che avevo visto Vittorio era stato qui a Roma, e l’avevo incontrato mentre stava in compagnia di un suo amico italiano di origine greca Adimanto Colajanni. In quell’occasione, Adimanto ci parlò del suo ultimo colloquio con il Maestro Takehiro Nagatomo, uno studioso venuto dal Giappone in Europa a studiare la filosofia occidentale. Ero abbastanza incuriosito da questo colloquio, di cui ci parlava Adimanto, quando mi raggiunse una telefonata di Tiziana, la mia compagna: “Sei ancora con quei tuoi amici?” Dovevo tornare a casa, mi congedai pregando Vittorio di riferirmi del discorso di Adimanto, poi salutai e in fretta andai via. Tempo dopo, seppi da Vittorio, da me interpellato per telefono, che aveva registrato per iscritto quanto detto quel giorno da Adimanto nel suo ultimo colloquio con il Maestro Takehiro Nagatomo, e mi avrebbe mandato una e-mail. Poi concluse: “Ciao, Tiziano, adesso sto partendo per Istanbul, poi ti faccio sapere.” Ma in seguito non avevo avuto più notizie di lui fino al mio incontro con Mauro. Allora gli ho parlato del colloquio tra Adimanto e il Maestro Takehiro Nagatomo e di come ero interessato a quel colloquio registrato per iscritto. Con mia grande sorpresa seppi da Mauro che aveva ricevuto lui lo scritto da Vittorio, quando il nostro amico era partito l’ultima volta per Istanbul, perché aveva perduto il mio indirizzo e-mail e l’aveva mandato a lui Mauro, con preghiera di inviarmelo, ma se n’era dimenticato. Mauro si scusò del contrattempo, anche lui era sempre troppo impegnato con la sua compagna, ma avrebbe subito riparato. Dissi che appena libero sarei corso al Celio, per andare a visitare Vittorio: “Vorrei correre al suo capezzale” dissi. Mauro mi precisò che forse lo avrebbero trasportato a Novara, com’era desiderio suo e della famiglia. “In fin di vita?” osservai. Mauro accennò mestamente di sì con il capo.

Silvio Minieri ha detto...

Stamattina ho ricevuto un sms: “Tiziano, Vittorio non ce l’ha fatta. È morto stanotte al Celio. La salma sarà traslata in giornata a Novara. Ti ho inviato per e-mail lo scritto del colloquio tra il Maestro Takehiro Nagatomo e il suo discepolo Adimanto. Mauro.” E questo è il testo dello scritto del colloquio, che ho ricevuto e riporto qui di seguito. “Vieni, usciamo, Adimanto, andiamo a fare una passeggiata nel parco dei pappagalli verdi, in questa mite giornata novembrina. – Richiudo l’uscio di casa, maestro, e vengo. – Certo, Adimanto, quindi cominciamo a scendere le scale. – Eccomi qua, maestro. – In questo nostro andare, mio caro giovane amico, ti vorrei spiegare il perché dei miei interessi ultimi di fiabistica e narratologia, in brevi passaggi. Poi potremo sederci su una panchina e meditare, godendo del tepore dei raggi del sole e del coro di garriti degli uccelli, che svolazzano tra i rami degli alberi. – Siamo in strada, maestro, andiamo ad aprire il cancello del parco, ed entriamo nel viale. – Con calma, Adimanto, noi andremo a passo lento nel viale, ed io ti parlerò di questa mia recente ed ultima vocazione filosofica. – Rimango in ascolto delle tue parole, maestro. – Noi, sappiamo, Adimanto, che dopo la Bibbia, il libro oggi più letto nel mondo, fu il “Timeo” di Platone il libro più letto nell’antichità. In esso il filosofo faceva un racconto verosimile (εἰκότα μῦθον ) della formazione dell’Universo da parte del Demiurgo. Su questo problema dell’origine di tutte le cose, aveva ragionato per primo Talete, lo scienziato che aveva conosciuto Pitagora di Samo e la sua dottrina. Ponendosi il problema della archè, Talete credeva di essere un cosmologo – mentre camminava scrutando il cielo, cadde per disavventura in un pozzo, suscitando il riso della donnetta tracia – non sapeva invece di essere un filosofo. Prima di Talete, che inaugura il pensiero filosofico, secondo la tradizione occidentale, i racconti dell’origine dell’Universo erano affidati alle parole del Mito, racconti fantastici, quasi uno specchio notturno della luce della ragione. Noi sceglieremo, Adimanto, il mito di Fanete, l’ermafrodito dalle ali d’oro, per la sua caratteristica di creatura derivata dal misticismo di Oriente, la dottrina orfica, da cui fu influenzato Pitagora e sulla sua scia Platone. Dall’uovo cosmico ha origine Fanete (Φάνης, “splendente”), l’ermafrodito dalle ali d’oro, che genera da sé la Notte, e poi unendosi ad essa, procrea varie altre creature. Infine si ritira in cielo, donde emana splendore, e il suo ritirarsi coincide con l'apparire del dominio di Zeus. Il mito di Fanete, probabilmente di origine asiatica, è stato poi assorbito e trasformato secondo lo spirito greco.

Silvio Minieri ha detto...

Di questo mito, Adimanto, abbiamo menzione anche in un moderno testo di letteratura, conservato nella Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, di cui mi sono segnato il suggestivo brano della preghiera alla Luna: “Divina Selene, discendente di Eurimone, la Dea del Tutto, che all'inizio si avvolse nuda col Vento del Nord e depose nel grembo dell'Oscurità l'Uovo d'argento, da cui schiudendosi nacque Fanete, l'ermafrodito dalle ali d'oro, che diede origine all'Universo e a Tutte le Cose, orfica Luna, io Ti prego dalla mia condizione mortale, abbracciato all'umida Terra, di sollevarmi fino a Te, alla tua uranica bellezza. Tu, gelida Luna, che nel corso del Tuo cammino perenne governi dall'alto della Tua suprema indifferenza tutte le cose mortali, specchiate nella imperturbabilità del Tuo volto misterioso, ascolta il sospiro del mio essere nudo avvinghiato alle viscere della Grande Madre. Non allontanare il Tuo olimpico sguardo, nella notte profonda, dal battito del mio cuore mortale, che invoca il Tuo divino conforto ed implora, Luna splendente, la consolazione della Tua inaccostabile giovinezza. Affondato nel ventre molle della Terra Madre, su cui inorridito giaccio madaròs, madido, inzuppato d'umore materno nel lordo connubio con la materia, che insudicia l'umana bassezza della mia condizione, io Ti prego di sollevarmi fino alle irraggiungibili altezze del Tuo intatto splendore. Il silenzio della Luna, che passa tra le nuvole, rivelando l'indifferenza del volto imperscrutabile, chiude la mia preghiera. Mi sono alzato e nella notte raggiungo, come in sogno, il luogo del mio riposo notturno, scivolando in un sonno profondo.”
Questo, Adimanto, ci raccontano il mito e la poesia moderna, un esempio di tutte quelle narrazioni sull’Origine, che si fanno racconto e per tradizione giungono fino a noi. Ma come interpretare la tradizione dei testi e delle narrazioni antiche, di cui noi moderni dobbiamo cogliere lo spirito? È questo il compito dell’Ermeneutica.”
Seguiva una Nota: “Compiere una breve rassegna sul tema, consultando le pagine dell’Enciclopedia”. Io non so come interpretare questa Nota, se originaria di Adimanto o interpolata da Vittorio, comunque ho fatto un copia e incolla e poi ho così aggiustato e integrato il testo, in una breve sintesi.
“Le radici classiche dell’ermeneutica riportano alla necessità di stabilire l’esatto senso e linguaggio dei testi letterari antichi, a cominciare dai poemi omerici, in modo da ricostruire l’autenticità della scrittura, espungendo le parti non riconducibili al testo originario, riportato alla sua struttura organica. E infatti l’attribuzione di “Iliade” e “Odissea” ad uno stesso autore è più un’ipotesi di scuola, per riunire sotto un solo nome testi recitati e cantati dai rapsodi, che una verità ermeneutica. L’avvento del cristianesimo pose il problema di come interpretare la Bibbia, un testo formulato in linguaggio umano, ma considerato di ispirazione divina, accettandone il testo letterale oppure secondo il principio dell’allegoria, al fine di rintracciare un più profondo significato oltre la sua superficie. Con l’arrivo della Riforma e la traduzione in lingua tedesca della Bibbia da parte di Lutero, venne contestata l’autorità della Chiesa e della tradizione come unico criterio ermeneutico del testo sacro, dando così spazio alla libera interpretazione delle Scritture da parte delle singole coscienze. In epoca romantica, il filosofo e teologo tedesco Schleiermacher affermò l’esigenza di un’ermeneutica universale, dotata di esplicita e intrinseca rilevanza filosofica, in quanto condizione indispensabile per la comprensione del testo e della mente del suo autore. Lo storicismo di Dilthey portò a considerare l’ermeneutica come metodo specifico delle scienze storiche rispetto a quelle naturali. Gli spunti di Schleiermacher relativi all’ermeneutica sono stato ripresi in seguito oltre che da Dilthey, da Heidegger e soprattutto da Gadamer.”

Silvio Minieri ha detto...

Qui, mi sono fermato, perché sul nome di Gadamer, lo scritto di Adimanto così continuava: “ – Tu sai bene, mio grande e giovane amico che Gadamer è considerato il padre dell’ermeneutica moderna, onde io lascio a te il compito di illustrarne la dottrina, soprattutto soffermandoti sul circolo ermeneutico, un compito che io avrei voluto portare a termine, caro Adimanto, ma non so se questo ultimo scorcio di autunno diventerà per me mai inverno. – Ti sono grato maestro per questa eredità che mi lasci, ed io farò tesoro del tuo lascito spirituale. – Ecco, caro Adimanto, siamo arrivati alla nostra panchina, ricordi, quella dove sostammo il terzo giorno del nostro incontro. – Certo, maestro, il terzo giorno, il giorno luminoso di un tramonto che non svanisce mai nelle luci della sera. – Ed ora riposiamoci ed ascoltiamo in quest’ora meridiana di tepore autunnale il garrito degli uccelli, i pappagalli verdi del parco, che svolazzano tra i rami degli alberi.”
Lo scritto finiva qui, ma c’era un post scriptum: “Questo, mio caro amico, fu l’epilogo della nostra passeggiata novembrina. Io e il maestro Takehiro Nagatomo ci sedemmo sulla panchina del parco e restammo a lungo in quiete e silenzio, come si conviene nell’esercizio della meditazione. Infine, io mi riscossi, e toccai leggermente il gomito del maestro Takehiro Nagatomo, che riposava in quiete con gli occhi chiusi, la testa leggermente reclinata. “Maestro” dissi e di nuovo lo toccai per svegliarlo, ma il maestro restava ancora immobile, allora con più vigore agitai il suo gomito e dissi: “Maestro!” Un nodo cominciò a stringermi la gola: “Maestro” dissi con voce più smorzata, reclinò ancora il capo, ed io gli tenni il gomito per sostenerlo. Il maestro meditava la sua ultima eterna meditazione, io credo fosse entrato nel Nirvana del nulla cosciente. Tra i rami degli alberi, in un lieve ondeggiare delle fronde, le gazzarre degli uccelli sembravano smarrirsi nel volo verso il cielo.”
Quella fine del maestro Takehiro Nagatomo, che aveva lasciato in eredità al giovane Adimanto Colajanni lo studio del circolo ermeneutico, pur in quest’ultimo compito affidato come lascito spirituale, mi sembrò incompleta. Meritava senz’altro un deciso ulteriore passo di conoscenza nell’interpretazione narrativa, che i moderni studi di fiabistica e narratologia ritengono di attestarci. Ora, per cogliere la trasparenza veritativa di una narrazione, non ci resta che confrontarci con il motto di Lutero, rilevato da Gadamer: “Qui non intelligit res, non potest ex verbis sensum elicere.”
[Chi non ha intelligenza (conoscenza) della cosa, non può ricavarne il senso dalle parole.]

Silvio Minieri ha detto...

LA SCELTA DI ADIMANTO
Avevo pensato di inserire ex post il presente racconto: “Una passeggiata novembrina” nella raccolta in atto dei “Racconti anodini”, ma leggendolo mi accorgo che ha, o ha avuto al momento della concezione, elaborazione e stesura, un significato apparente, una proprietà invero di ogni narrazione di finzione, se considerata in relazione agli accadimenti reali. E in questo senso tutti i racconti di finzione sono anodini, perdendo questo carattere di insignificanza nella generalità di tale carattere loro comune.
Riservandoci di spiegare perché abbiamo allora definito anodino solo in apparenza il presente racconto, quasi avesse una sua sostanziale solidità di significato reale, che rimane velata dalla finzione, investighiamone intanto gli aspetti più significativi. E cominciamo dal nome di Adimanto Colajanni, personaggio di cui viene dichiarata l’origine greca, e diciamo che Colajanni, un chiaro derivato di Cola (Nicola) e Ianni (Giovanni), è nome con radici nella Magna Grecia. Nell’economia del racconto, il personaggio serve come anello di collegamento tra la tradizione occidentale, la filosofia, e la saggezza d’oriente, l’Estremo Oriente del sole nascente, appunto il Maestro Takehiro Nagatomo proveniente dal Giappone. In tale contesto Adimanto fa da richiamo non solo alla filosofia platonica, ma anche alla biografia familiare del divino filosofo, come celebrato alla sua morte. Infatti, nell’orazione funebre tenuta il 7 novembre 347 a.C., il nipote Speusippo, succedutogli alla guida dell’Accademia, durante il convito per celebrarne la memoria, rivelò senza mezzi termini le origini divine dello zio. Infatti, la madre Perittione, si sarebbe congiunta con Apollo, e dalla loro unione sarebbe nato il grande maestro di saggezza, che meritava quindi di essere ricordato come “il divino Platone”, venendo collocato in tal modo accanto a Pitagora, nel Pantheon dei sapienti divinizzati. Pare che, nell’occasione, il migliore alunno dell’Accademia, Aristotele, scandalizzato da questa messa in scena dei familiari, abbia deciso di lasciare Atene, maturando il progetto di fondare una sua propria Scuola, il Peripato di cui sappiamo. In proposito, deve osservarsi come nell’antichità non era infrequente che un illustre personaggio venisse innalzato su un piano divino. E basta ricordare Talete, incluso fra i Sette Saggi, o Pitagora, celebrato come un essere divino. Nella storia, poi, i biografi ricordano che Alessandro Magno veniva presentato come figlio di Amone Zeus, e il console romano Scipione l’Africano, stando ai racconti di Tito Livio, lasciava circolare la voce che fosse stato partorito da Giunone. D’altronde, anche nella nostra epoca, si è tentato di rendere immortale la memoria di un uomo, conservando le spoglie imbalsamate in una teca di vetro, esposta alla venerazione del delle generazioni future, che ancora si recano in religiosa processione al mausoleo.
Ora, quest’aspirazione al divino dell’uomo, la sua disposizione a volersi ritenere un semidio, possiamo rintracciarla anche e direi soprattutto nelle stesse fonti platoniche:
“Tutti dunque sono nati o da un dio innamorato di una mortale, o da un mortale innamorato di una dea.” (“Cratilo”, 398e)
Ritornando, quindi, ad Adimanto, che assieme a Glaucone e Potone – madre di Speusippo – era uno dei fratelli di Platone, ne evochiamo la figura per circoscriverne il destino personale, nella delineata cerchia familiare del filosofo.

Silvio Minieri ha detto...

Le fonti ci riferiscono che Adimanto e Glaucone muoiono nella battaglia di Megara del 407 a. C., durante la guerra del Peloponneso. Entrambi compaiono come personaggi e interlocutori di Socrate nella “Repubblica”, il dialogo composto da Platone negli anni tra il 387 e 367 a.C. In questo senso, egli sembra quasi volerne celebrare la memoria non come eroi, ma come filosofi, che per lui era la condizione più elevata dell’anima. Come detto, avremo modo di parlare meglio di quest’argomento di stretta natura filosofica, limitiamoci qui alla nostra traccia di narratologia, investigando meglio la composizione del nostro racconto apparentemente anodino.
“La scelta di Adimanto”, oggi (e non “ieri”) posso dire, è la mia scelta di autore sui destini personali dei tre fratelli: Adimanto e Glaucone, che muoiono da eroi, e Platone, che invece vive da filosofo. È questo il destino della sua anima, secondo la legge di Adrastea, letteralmente “l’Inevitabile”, una personificazione del destino. L’assegnazione della vita futura è strettamente determinata dalla misura in cui le anime, volando nel cielo al seguito del dio, hanno contemplato la pianura della verità, prima di tornare sulla terra, poiché ad essa corrisponde il grado di verità connesso alla vita in cui si reincarnano. “L'anima che, divenuta seguace del dio, abbia visto qualcuna delle verità [oltre il cielo, Iperuranio], non subisce danno fino al giro successivo, e se riesce a fare ciò ogni volta, resta intatta per sempre; qualora invece, non riuscendo a tenere dietro al dio, non abbia visto, e per qualche accidente, riempitasi di oblio e di ignavia, sia appesantita e a causa del suo peso perda le ali e cada sulla terra, allora è legge che essa non si trapianti in alcuna natura animale nella prima generazione. Invece l'anima che ha visto il maggior numero di esseri si trapianterà nel seme di un uomo destinato a diventare filosofo o amante del bello o seguace delle Muse o incline all'amore.” (Platone, “Fedro, 248cd)

[N. d. B.]
Non essendo riuscito ad esprimere bene il mio pensiero (ognuno ha i suoi limiti), rimando alla Nota di “Tra i rami degli alberi” il senso di quella mia frase: “Riservandoci di spiegare perché abbiamo allora definito anodino solo in apparenza il presente racconto, quasi avesse una sua sostanziale solidità di significato reale, che rimane velata dalla finzione.”

Silvio Minieri ha detto...

TRA I RAMI DEGLI ALBERI monologo
Commento a “Passeggiata novembrina”

“Tra i rami degli alberi, in un lieve ondeggiare delle fronde, le gazzarre degli uccelli sembravano smarrirsi nel volo verso il cielo.”

Perché quest’ultimo racconto si è salvato dalla “apocatastasi” del Blog, che comunque anche come metafora è impropria? E diciamo metafora impropria in riferimento a quella che dovrebbe essere la restaurazione dei post, che nel tempo non possono ritornare alla loro posizione originaria, provocando una “ecpirosi”, in quanto nel Blog vige il principio entropico, tanto per rimanere nella metafora cosmica. In tal senso il rinnovamento dovrebbe portare a una nuova formulazione dei post in termini di contenuti, non più giochi né flussi di una coscienza contaminata dal quotidiano, con andamento umoristico, ma più letteratura e filosofia, almeno nelle intenzioni, come traspare dal sottotitolo della rubrica: “Rivista on-line”.
(Segue)