sabato 1 febbraio 2025

Antologia

    

           Viaggio in Italia




22 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

VIAGGIO IN ITALIA
Si riporta qui un’antologia di alcuni passi del “Viaggio in Italia”, l’opera letteraria che Goethe pubblicò in tre parti, tra il 1816 e il 1829, basandosi sugli appunti presi e le lettere inviate ai suoi amici in Germania, nel corso del viaggio e il soggiorno compiuto nella penisola italiana nel biennio 1786-88. L’opera riflette la grande sensibilità e capacità artistica del poeta tedesco, e in essa viene data forma letteraria compiuta a sensazioni e ricordi, con particolare riferimento alla visita di quei monumenti e luoghi dell’antichità classica, che costituiscono il patrimonio dell’arte e della cultura italiana.

Silvio Minieri ha detto...

DA CARLSBAD AL BRENNERO

Monaco di Baviera, 6 settembre
Sono partito da Ratisbona il cinque settembre, poco dopo mezzogiorno. Presso Abach, dove il Danubio si frange contro la roccia calcarea fin verso Saal, la regione si presenta bene, Il calcare è affine a quello di Osteroda nello Harz: compatto, ma nel complesso poroso. Alle sei del mattino sono arrivato qui a Monaco, dove ho girellato per ben dodici ore; per cui non farò che poche osservazioni. Nella pinacoteca, mi son trovato un po' spostato: devo ancora assuefare i miei occhi a guardare quadri. Vi son però delle cose eccellenti. Gli schizzi del Rubens, della Galleria di Lussemburgo, mi han procurato un diletto vivo. C'è anche quel famoso gingillo, ch'è il modello della Colonna Traiana. Il fondo è di lapislazzuli, Je figure dorate. Tutto sommato, un gran bel lavoro, che non si ammira senza piacere. Nella sala delle antichità, ho potuto anche constatare che i mici occhi non hanno familiarità con quegli oggetti; perciò non mi sono trattenuto a sciupare il mio tempo. Parecchie cose poi non mi sono andate troppo a genio, né saprei dire il perché. Mi ha interessato un Druso; anche due Antonini mi han lasciato soddisfatto, e così altre sculture. Fatto è che i varî oggetti non si trovano nemmeno sempre al loro posto, per quanto sia evidente la buona intenzione di metterli in mostra. La sala, o a dir meglio la volta, piacerebbe di più se fosse più pulita e tenuta con maggior cura. Nel gabinetto di Storia naturale ho visto dei bei minerali del Tirolo che già conoscevo e che anche posseggo in piccoli esemplari. Ho incontrato una donna con dei fichi, che per essere una primizia, mi sono piaciuti assai. Ma la frutta in generale, per il quarantottesimo grado, non sono una gran cosa. Tutti si lagnano del freddo e dell’umido. Già questa mattina, a buon’ora, prima di arrivare a Monaco, mi aveva sorpreso un nebbione, che poteva passare anche per pioggia; e per tutta la giornata, dal Tirolo ha soffiato una brezza da intirizzire. Guardando da un campanile a quei monti, li ho visti coperti, sotto un cielo
Tutto imbronciato. Ma in questo momento, il sole al tramonto illumina ancora l'antico campanile dirimpetto alla mia finestra. Chiedo scusa se mi occupo tanto del vento e del tempo; ma anche colui che viaggia per terra, se non quanto un navigante, deve pagare il suo tributo all'uno e all'altro. Sarebbe un vero disastro se il mio autunno in terra straniera dovesse avere il tempo meno propizio che l'estate nel mio paese. Ed ora senz'altro alla volta di Innsbruck. Ma quante cose non mi tocca trascurare a destra e a sinistra del mio cammino, per realizzare quel sogno, che ha dormito forse fin troppo in fondo al mio spirito.”

Silvio Minieri ha detto...

Passo del Brennero, 8 settembre, sera.
Eccomi qui, quasi contro voglia, ma finalmente in un luogo di riposo, in un cantuccio tranquillo come non avrei nemmeno osato di sperare. É stata una giornata di cui mi rammenterò con piacere per un pezzo. Stamane alle sei ho lasciato Mittenwald con un vento frizzante che spazzava completamente Je nubi nel cielo sereno. Pareva proprio un freddo di febbraio. Intanto, nel fulgore del sole nascente Je montagne opache rivestite di pini, e fra queste le rocce grigiastre, e nello sfondo le cime bianche di neve, che spiccavano nel profondo azzurro del cielo, tutto era un avvicendarsi di quadri deliziosi. Presso Scharnitz si entra in Tirolo. Il confine è tracciato come da un baluardo che sbarra la valle e si addossa ai monti. Bel colpo d'occhio: da un lato la roccia è fortificata, dall'altro s'innalza a picco. […] Innsbruck è splendidamente situata in un’ampia e fertile vallata fra monti e rocce. In sulle prime volevo fermarmi qui un po', ma non riuscivo a darmi tregua. […] Da Innsbruck in poi il paesaggio è sempre più pittoresco. Per vie molto comode si guadagna un vallone, che immette le sue acque nell’Inn ed offre agli occhi una varietà di scene infinita. Mentre la via procede proprio sotto la roccia da sembrarvi scavata in quella, la pendice di fronte scende più dolcemente al basso, e trovasi benissimo coltivata. Si vedono sorgere sulle rupi fra i boschi, o posare su piccoli altipiani villaggi, case, casipole, capanne, il tutto colorito accurata mente di bianco. Ad una certa altezza lo spettacolo cangia; si scorgono pascoli, i quali salgono fino cangia; si scorgono pascoli, i quali salgono fino alla sommità dei monti. Imparai molte cose per il mio sistema della creazione del mondo; nulla però di veramente nuovo, d’inaspettato. Pensai molto al modello di cui vi ho parlato le tante volte, per mezzo del quale vorrei rendere accessibile ad ognuno quanto mi preoccupa nel mio interno, e che non è possibile presentare allo sguardo, nella natura stessa. Poco per volta l’oscurità venne crescendo; i particolari si perdevano; non si scorgeva più che la vista in complesso, ma sempre più grandiosa, più splendida. Questa pure a sua volta disparve, senonché, non tardò a ricomparire ai raggi della luna sorta sulle vette nevose, ed aspettai che il giorno venisse a rendere la luce a questa gola alpestre, nella quale io mi trovavo, stretto ai confini fra il mezzodì ed il settentrione.

Silvio Minieri ha detto...

Voglio poi ancora dedicare due righe al tempo, il quale probabilmente mi si dimostra cotanto propizio, perché io molto mi occupo di lui. Nella pianura si riceve il tempo buono o cattivo, allorquando è già formato; nei monti invece, si assiste per così dire, alla sua formazione. Ne fui testimonio spesse volte di giorno, di notte, sempre quando mi trovai in viaggio, od a passeggio, od a caccia nelle contrade montuose, nelle foreste alpestri; ed in allora mi nacque un capriccio, del quale non fo maggior caso che si debba fare di un capriccio, ma al quale non posso rinunciare, come per lo più appunto avviene dei capricci. Lo scorgo dovunque, quasi fosse una verità, e per tanto ve lo voglio comunicare, riposando sull’indulgenza provata già in tanti casi, de’ miei amici. Ogni volta che noi contempliamo le montagne, o da vicino od in distanza, e che scorgiamo le loro vette, ora risplendere ai raggi del sole, ora perdute nella nebbia, ora cariche di nubi, ora flagellate dalla bufera, ora ricoperte dalla neve, attribuiamo tutti questi fenomeni all’atmosfera, della quale scorgiamo benissimo le agitazioni, e le mutazioni. I monti per contro, appaiono ai nostri sensi esteriori, immobili nella loro forma originaria. Li riteniamo morti, perché sono irrigiditi; inoperosi, perché non si muovono. Io però da gran tempo non posso a meno di attribuire in gran parte ad una forza interiore, silenziosa dei monti, le variazioni appunto dell’atmosfera. Penso cioè, che la massa della terra specialmente, e per conseguenza le parti di questa più salienti, più importanti, non esercitino già una forza di attrazione uguale, costante; ma che questa forza di attrazione vari, si riveli in certe pulsazioni, ora accresciute, ora impedite da principi interni, e talora, pure da accidenti esteriori. [1]

[1] Viene espressa qui l’idea del moto di sistole e diastole, che presiede a tutta la concezione goethiana del mondo. È come parlare del cuore della terra, i cui battiti ne registrano la vita e lo scorrere del tempo. A tale proposito, vorrei qui modestamente segnalare il mio saggio “Il cuore della terra”, di cui proporrò una nuova pubblicazione, non appena possibile.

Silvio Minieri ha detto...

E per quanto possa essere tornato vano ogni tentativo per riconoscere, per misurare la forza di quelle pulsazioni, l’atmosfera è abbastanza sensibile, abbastanza ampiamente diffusa per rivelarle. Viene a diminuire quella forza di attrazione, tosto ce lo manifestano il maggior peso, la minore elasticità dell’aria. L’atmosfera non può più sopportare l’umidità che fisicamente, chimicamente possiede; le nubi si addensano, cadono le piogge, si gonfiano sul suolo i corsi d’acqua. Cresce per contro la gravitazione dei monti, l’atmosfera riacquista tosto la sua elasticità, e ne sorgono due fenomeni importanti. Ora i monti radunano attorno a sé ingente quantità di nuvole; le tengono ferme e fisse sopra di sé, quasi nuova catena di monti, in fino a tanto per lotta interna delle forze elettriche si sciolgono in uragani, in pioggia, in nebbie, e tosto agisce su quanto rimane di quelli l’aria elastica, la quale è capace di concentrare di bel nuovo le acque, di scioglierle, di consumarle. Ho visto nel modo il più evidente la dispersione, la consumazione dovrei dire, in quella foggia di una nuvola, la quale stava in cima ad una delle vette le più alte, illuminata dalla luce del tramonto. Si andò spezzando lentamente, un po' alla volta; i suoi frantumi si sparsero per il cielo, si sollevarono in alto lentamente; questi pure alla loro volta disparvero, siccome era pure scomparsa alla mia vista la nuvola stessa, quasi lino di una conocchia, il quale venisse filato da mano invisibile. Quando i miei amici avranno riso dell’osservatore ambulante, e delle sue strane teorie, sarà probabile che questi darà loro altre occasioni ancora di ridere; perché devo per forza ammettere che il mio viaggio fu una vera fuga, motivata da tutte le ingiustizie alle quali mi ero trovato esposto sotto il cinquantesimo grado di latitudine, nella speranza di trovare la terra promessa addirittura, sotto il grado quarantesimo. Se non che, mi trovai disilluso, come del resto avrei dovuto prevedere; perché non è sola la distanza dal polo, che dà norma al clima, alla temperatura; vi contribuiscono pure le catene dei monti, quelle specialmente le quali corrono in direzione da levante a ponente. In questo caso sono frequenti le variazioni di temperatura, e vi sono sottoposte più delle altre le contrade, le quali si trovano a settentrione; ed anche in questa state, per le contrade settentrionali pare sia stato il tempo regolato dalla grande catena delle alpi, sulla quale ora vi sto scrivendo. Negli ultimi mesi è sempre caduta qui la pioggia, ed i venti di mezzogiorno-levante, e di mezzogiorno-ponente, la spinsero al nord. In Italia per contro, debbono aver avuto tempo bello, ed anzi asciutto.

Silvio Minieri ha detto...

DAL BRENNERO A VERONA

Trento, 11 settembre, mattina.
Dopo essere stato cinquant’ore continuamente in moto ed occupato, sono arrivato qui ieri sera verso le otto; sono andato tosto a riposare, ed ora mi trovo in condizione di potere continuare la mia narrazione. Il 9 a sera, dopo avere chiusa la prima parte del mio giornale, volli ancora disegnare la locanda, o la casa della posta sul Brennero, ma non sono riuscito ad essere soddisfatto del mio schizzo, e me ne tornai a casa piuttosto di mal umore. L’albergatore mi domandò se per avventura io non volessi partire; mi disse che splendeva la luna, che la strada era buona, e benché io sapessi benissimo che abbisognava al mattino per tempo dei cavalli per altra corsa, che desiderava riaverli nella notte, e che pertanto il suo suggerimento non era punto disinteressato, siccome però corrispondeva questo al mio desiderio interno, lo accettai per buono. Il sole era ricomparso sull’orizzonte, il vento era tollerabile; posi in ordine il mio bagaglio, ed alle sette salii in vettura. L’atmosfera era limpida, e la sera bellissima. Il postiglione sonnecchiava, ma la strada era buona, ed i cavalli, assuefatti a percorrerla, correvano rapidamente nella discesa; giunti ad un tratto piano, rallentarono il loro corso. Il postiglione, svegliatosi, ridestò il loro ardore, e camminando a traverso alle rupi, non tardai ad arrivare all’Adige. La luna splendeva; tutti gli oggetti che mi circondavano assumevano proporzioni grandiose. Alcuni molini, i quali sorgevano fra mezzo a vecchie piante di pini sul fiume spumeggiante, erano veri quadri di Everdingen. […] Arrivai a Bolzano con un sole splendente; tutti i merciaioli ambulanti si affollavano intorno a me; il loro aspetto rivelava la contentezza, il ben essere. Sulla piazza stavano venditrici di frutta, le quali avevano ceste piatte rotonde, del diametro di quattro piedi all’incirca, ripiene di pesche, disposte a poca altezza, in guisa che non avessero a pesare le une sopra le altre. […] Alla fiera di Bolzano si fa grande commercio di seterie; vi si vendono pure panni, e cuoiami che scendono dai monti. I mercatanti però, vi vengono principalmente per incassare il loro danaro, per ricevere nuove commissioni, ed aprire nuovi crediti. Avrei pure avuto desiderio di osservare tutti i prodotti che qui si recano, ma l’irrequietudine che si è impossessata di me, oramai non mi dà tregua, e mi affrettai a partire di bel nuovo, consolandomi col pensiero, che in un epoca, nella quale la statistica gode di tanto favore, tutto ciò si trova stampato, e se ne può prendere conoscenza ricorrendo ai libri.* L’essenziale si è, che io prendo di bel nuovo interessamento alle cose di questo mondo; che io cerco di bel nuovo di esercitare il mio spirito di osservazione, per quanto i miei lumi e le mie cognizioni lo consentono; che la mia vista è pronta ad afferrare rapidamente quanto si offre allo sguardo; e che il mio animo può di bel nuovo esercitare le sue facoltà, le quali erano rimaste oppresse ed irrigidite.

* Se vogliamo tradurre il linguaggio di questo pensiero in termini moderni, potremmo scrivere: “tutto ciò si trova sul web, e se ne può prendere conoscenza ricorrendo a internet.” In questo senso risulta più chiara la distinzione tra conoscenza sensibile (esperienza immediata) e conoscenza intellettiva (esperienza mediata).

Silvio Minieri ha detto...

Trento, il 10 Settembre a sera.
Ho percorsa la città la quale è molto antica, ma che però possiede in alcune strade case nuove, di buona costruzione. Nella chiesa vi è un dipinto, il quale rappresenta il concilio ecumenico, intento ad ascoltare un discorso del generale dei gesuiti. Avrei pure voluto sapere quanto avesse detto quegli all’assemblea. La chiesa di quei padri porge bello aspetto, con le sue colonne di marmo rossiccio nella facciata, e l’ingresso è preceduto da una tenda pesante per impedire l’accesso alla polvere; la chiesa stessa poi è chiusa da una cancellata in ferro, la quale consente spingere lo sguardo all’interno. Tutto era silenzioso, tranquillo, perché non si celebrano più in quella chiesa le funzioni del culto, e la porta era aperta, unicamente perché così si suole praticare in tutte le chiese, all’ora del vespro. […] Avrei potuto arrivare a Verona fin di questa sera, ma avrei dovuto per questo lasciare in disparte uno stupendo punto di vista, quello del lago di Garda di cui non mi volevo privare, e fui ampiamente ricompensato di avere allungata d’alcun poco la strada. Partito di Roveredo dopo le cinque, presi una valle laterale, la quale versa tuttora le sue acque nell’Adige. Dopo aver salito alquanto, s’incontra un colle abbastanza elevato, che si deve valicare per scendere al lago. Si potrebbero trovare in quelle colline motivi di bellissimi paesaggi. Terminata la discesa, s’incontra un piccolo villaggio, all’estremità settentrionale del lago, con un piccolo porto naturale, o piuttosto punto di approdo, il quale ha nome Torbole. Avevo trovata già lungo la strada piante di fico, e sceso ora in quell’anfiteatro naturale di colline, trovai i primi alberi di olivo, carichi di frutti.

Il 14 Settembre
Il vento contrario che mi spinse ieri nel porto di Malcesine mi procurò una spiacevole avventura, che sostenni di buon animo, e che, in ultima analisi, mi lasciò ricordo per nulla ingrato. A norma di quanto avevo divisato, mi portai stamane di buonissima ora nel vecchio castello, il quale non ha né porte, né guardie, ne custodi, e dove è libero ad ognuno l’accesso. Mi collocai nella corte, di fronte all’antica torre costrutta di grossi macigni, dove avevo trovata località adattissima a potervi disegnare, stando sopra un sedile di pietra, che sorgeva nell’interno di una porta elevata di tre o quattro gradini, quali se ne scorgono frequentemente presso di noi pure, negli antichi edifici.
Ero seduto da poco tempo, quando entrarono parecchie persone nella corte, le quali osservarono quanto io stava facendo, poi di bel nuovo si allontanarono. Vennero altre persone, le quali si fermarono, e non tardai ad essere circondato dalla gente. Mi avvidi benissimo che il mio disegno aveva eccitata la loro attenzione, ma non me ne diedi per inteso, e continuai a lavorare. Finalmente mi si avvicinò un tale, il quale non aveva neppure aspetto troppo rassicurante, e mi domandò «che cosa io stessi facendo?» Risposi che stavo prendendo la vista della vecchia torre, per portar meco un ricordo di Malcesine. Mi replicò che la cosa non era permessa, e che avrei dovuto desistere dal mio lavoro. […] Allorquando poi feci menzione dell’anfiteatro di Verona al quale si dà nome in queste contrade di Arena, l’attuario, il quale intanto si era rinfrancato, disse, che le mie osservazioni calzavano bensì a pennello per quell’antico monumento conosciuto in tutto il mondo, ma che nulla avevano a fare con queste rovine, le quali nulla offerivano di pregevole, se non che, segnavano la linea di confine fra la repubblica veneta, e l’impero di Austria, motivo appunto per il quale non era lecito eseguirne la ricognizione. Dichiarai non essere soltanto le rovine greche e romane che meritano essere studiate, ma quelle ancora del medio evo; non potersi del resto far loro rimprovero, se assuefatti fin dall’infanzia a vedere quelle vecchie mura, nulla vi scorgessero di particolare, non ne rilevassero l’aspetto eminentemente pittorico.

Silvio Minieri ha detto...

DA VERONA A VENEZIA

Verona, il 16 Settembre.
Questo anfiteatro si è pertanto il primo monumento ragguardevole dell’antichità che io abbia visto, ed in quale stato di conservazione! Allorquando vi entrai, e più ancora quando giravo in alto sulla sommità, mi faceva l’effetto singolare di parermi ad un tempo grandioso, senza che comparisse propriamente tale. E vero altresì che non lo si vuole vedere vuoto, ma bensì pieno zeppo di persone, quale si presentò non ha guari ad onore di Giuseppe I. e di Pio VI. L’imperatore, il quale era però assuefatto alle grande riunioni di persone, dovette tuttavia provarne stupore. Se non che, nel tempo antico unicamente, doveva produrre tutto il suo effetto, imperocché in allora il popolo era ben più popolo, di quanto non sia oggidì. Difatti, vero scopo di un anfiteatro, si è che il popolo vi serva di spettacolo a sé stesso, procuri a sé stesso soddisfazione.
Allorquando in una pianura succede qualcosa di straordinario, e tutti corrono a volerlo contemplare, gli ultimi arrivati cercano sollevarsi in ogni modo più in alto di quelli che vennero primi; si sale sui banchi, si conducono sul luogo carri, vi si fanno rotolare botti, che quindi si rizzano in piedi, vi si allogano sopra tavole, si sale sulle colline in vicinanza, e presto si forma uno spazio circolare, vuoto, a foggia di cratere di un volcano. Se lo spettacolo si deve riprodurre frequentemente nello stesso luogo, non si frappone indugio a costrurre palchi leggieri per quelli i quali possono pagare; gli altri si aggiustano in quel modo che possono migliore, e sorge allora il compito dell’architetto, trovare mezzo cioè di dare soddisfazione a quel bisogno generale. Egli forma con l’arte un tale cratère quanto può più semplice perché il popolo stesso ne debba formare l’ornamento. E quando lo vide pieno di popolo dovette provare egli stesso stupore, scorgendo a vece della confusione, del disordine al quale era avvezzo, a vece di tutti quelle teste vaganti qua e là, oscillanti; un tutto ordinato, riunito, che forma un complesso unico, ed il quale si sarebbe potuto dire animato da un solo spirito, ed avente vita propria. La semplicità dell’elisse è facilmente accessibile a qualunque occhio; ogni testa serve in quello al complesso, giova a formare un tutto, una cosa sola. Ora nel vedere un anfiteatro vuoto, non si ha misura per giudicarne la capacità, si ignora se sia vasto o ristretto. I Veronesi meritano encomio per la buona conservazione di questo loro monumento. È costrutto di una specie di marmo rossiccio, il quale si degrada sotto l’influenza del tempo, e perciò è mestieri ristaurare qua e là di tempo in tempo i gradini, e poco per volta pare siano stati rinnovati tutti. Un iscrizione fa menzione di un Hyeronimus Maurigenus e della diligenza somma da esso impiegata nella conservazione di questo monumento. Non si scorge più che una parte delle mura esteriori, ed io dubito sieno mai state ultimate. Le volte sotteranee, le quali sono aderenti alla grande piazza denominata il Brà vennero date in affitto ad artieri, ed è curioso vederli uscire fuori da quegli antri, ora popolati di bel nuovo.

Silvio Minieri ha detto...

Verona, il 17 Settembre.
Voglio far parola in breve dei quadri che ho visti, ed aggiungere alcune osservazioni. Ho intrapreso questo viaggio meraviglioso, non già per illudermi, ma bensì per la mia istruzione, e confesso sinceramente che poco conosco dell’arte, dello stile, della maniera dei pittori. La mia attenzione, la mia contemplazione, non possono essere dirette altro, che alla parte pratica, al soggetto in generale delle opere d’arte, ed al modo col quale furono quelli trattati. La galleria di S. Giorgio contiene buoni quadri, quasi tutti pale d’altare, non già di uguale merito, però tutte pregevoli. Se non che, poveri artisti! Quali argomenti dovevano dessi trattare, e per chi! Una pioggia della manna, della lunghezza forse di trenta piedi e dell’altezza di venti. Il miracolo della moltiplicazione dei pani. Che cosa potevano dessi fare con tali argomenti? Uomini affamati, i quali piombano sopra piccoli mucchi di grano; una turba sterminata, alla quale si porgono i pani. Gli artisti dovevano porre il loro ingegno alla tortura per rappresentare tali argomenti compassionevoli. Eppure il loro genio, spronato dalla necessità, riuscì a produrre opere pregevoli. Un artista il quale dovette rappresentare S. Orsola con le undici mille vergini, seppe cavarsi con molta abilità dalla difficoltà di quell’argomento. Si vede la santa sul davanti, in atto di trionfo, quasi si fosse impossessata di quella contrada. Essa è di aspetto nobile, più di amazzone, che fregiato di grazia giovanile di donna; in lontananza si vedono dipinte in piccole proporzioni le schiere delle vergini, le quali sbarcano dalle navi, e si avviano quasi processionalmente. L’Assunta del Tiziano nel duomo, è molto annerita dal tempo, però il pensiero è molto lodevole, visto che la Vergine non volge già lo sguardo al cielo, ma bensì verso la terra, sopra suoi divoti. […] È consentaneo alla mia indole ammirare tutto quanto è grandioso, bello; il provarne soddisfazione; ed il potere godere di questa nella contemplazione di oggetti pregevoli in ogni giorno, in ogni ora, costituisce a mio avviso il migliore di tutti i piaceri. In una contrada dove si gode lungo la giornata, e specialmente durante le ore di del pomeriggio, diventa momento di grande importanza quello in cui scende la notte.

Silvio Minieri ha detto...

Vicenza, il 19 Settembre.
Sono qui giunto da quattro ore, ed ho percorso di già la città, e visti il teatro olimpico, e gli edifici del Palladio. Si è pubblicata ad uso e per comodo dei forestieri una piccola guida con incisioni, e con un testo scritto con gusto in materia d’arte. Nel contemplare quegli edifici si riconosce tosto il loro pregio, imperocché traggono a sé l’attenzione per la loro grandezza e per la loro imponenza, e soddisfano ad un tempo lo sguardo, per la perfetta armonia delle loro dimensioni, nonché per la prospettiva delle sporgenze, e delle parti rientranti. Intendo parlare degli edifici del Palladio, che qui si scorge ad evidenza essere stato propriamente uomo distinto. La più grande difficoltà con la quale egli ebbe a lottare, al pari di tutti gli architetti moderni, si fu il retto impiego degli ordini di colonne nell’architettura civile, imperocché riunire mura e colonne, sarà pur sempre una contraddizione. Con quanta abilità non seppe egli superare cotale difficoltà! quanto non impone l’aspetto delle sue opere, e come si dimentica, ch’egli non ebbe altro in mira se non il farvi illusione! Si scorge veramente un non so che di divino nelle sue linee, armoniche quanto i versi di un gran poeta, il quale dalla verità e dalla menzogna sa trarre un terzo elemento affatto nuovo, il quale incanta, rapisce! Il teatro olimpico è il teatro degli antichi, ridotto a minime proporzioni, ma pur sempre d’inarrivabile bellezza; paragonato ai teatri moderni, direi fare quello la figura di un giovane di buona famiglia, ricco, stupendamente educato, a fronte d’uomo maturo d’anni, di origine meno distinta, meno ricco, meno colto, ma che sa meglio del primo quanto possa ottenere con i suoi mezzi.

Silvio Minieri ha detto...

Padova, il 27 Settembre.
La piazza maggiore della città, denominata Prato della Valle, è ampissima, ed ivi nel mese di giugno si tiene la fiera. Vi sono per dir vero nel centro baracche in legno, di tutt’altro che bello aspetto; se non che mi si assicurò, che fra poco verrà ivi costrutta una fiera in muratura come quella di Verona, e già si scorgono attorno alla piazza le fondazioni di portici, i quali promettono far buonissima figura. Si scorge in quella uno spazio di forma ellittica, circondato da statue d’uomini illustri, i quali, o nacquero a Padova o coprirono una cattedra nell’università di questa. È permesso a qualunque cittadino padovano o straniero, innalzare in quella località una statua di una certa altezza prestabilita, ad un congiunto o connazionale; basta che sia provato il merito della persona, non che lo avere dessa appartenuta all’università locale. Quello spazio ellittico è circondato da un fossato ripieno d’acqua, e sui quattro ponti sovrapposti a questo sorgono statue colossali di Papi o di dogi; le altre di proporzioni minori, furono eretti da corporazioni, da stranieri, e da privati. Il re di Svezia vi fece allogare la statua di Gustavo Adolfo, a motivo dell’avere questi, a quanto si assicura, ascoltata una volta una lezione nell’università di Padova. Il gran duca Leopoldo vi eresse le due statue di Petrarca e di Galileo. Tutte quelle statue sono opere pregevoli di scultori moderni, alcune forse alquanto manierate, improntate però di molta naturalezza, tutte poi nel costume del tempo a cui appartengono, non che con le insegne delle dignità sostenute dalle persone che rappresentano. Anche le inscrizioni sono in generale degne d’encomio; nulla vi si rinviene di esagerato, o di puerile. […] Nella chiesa degli Eremitani vidi alcuni quadri del Mantegna, uno dei più antichi pittori, i quali mi recarono propriamente meraviglia. Non si può dire quanta evidenza, quanta verità vi sia in quei dipinti! Da questa verità, la quale nulla ha di apparente, di convenzionale, ma che parla soltanto all’imaginazione tuttoché sotto forme alquanto dure, stecchite, le quali hanno per avventura un non so che di stentato, trassero le loro origini i pittori che vennero dopo, quali io li avevo veduti già nelle opere del Tiziano, ed allora la forza del loro genio, l’energia della loro natura, illuminate dal genio dei loro predecessori, sostenute dalle loro proprie forze, valsero a sollevarli a grado a grado dalla terra, ed a renderli capaci di produrre figure propriamente celestiali. […] Ed ora convien pensare a disporre la mia partenza, domattina, di buonora, mi devo imbarcare sulla Brenta. Ha piovuto, ma il tempo si è rasserenato, ed io spero di potere contemplare le lagune, la signora e sposa del mare alla luce di uno splendido sole, e mandare d’in grembo a quella, un saluto di cuore a miei amici.

Silvio Minieri ha detto...

Venezia, 28 Settembre 1786
Dunque nel libro del destino, e sulla pagina mia, stava scritto ch’io, nel 1780, il giorno 28 Settembre alla sera, alle ore 5, secondo il nostro orologio, dovessi vedere per la prima volta Venezia passando dai Brenta nelle Lagune; stava scritto che subito dopo dovessi mettere piede, e visitare questa meravigliosa città-isola, questa repubblica di castori. Dunque, grazie a Dio, Venezia per me non è più una semplice parola, non è più un puro nome che così di spesso ha tormentato me, che son tanto nemico delle vuote chiacchiere. Quando la prima gondola si avvicinò al bastimento (ciò avviene per trasportare più sollecitamente a Venezia i passeggieri che han fretta; mi ricordai, d’un giocattolo dei tempi della mia infanzia, a cui forse da 20 anni non avevo più pensato. Mio padre possedeva una bella gondola in miniatura, che aveva portata seco dal suo viaggio. Egli se l’aveva molto cara, ed era per me una vera festa se, qualche volta, mi si concedeva, per grazia di trastullarmi con essa. Ora, quelle gondole, coi loro rostri lucidi di latta, con le lor nere cabine, e con tutte le altre parti, pareva che, come vecchie conoscenze, mi mandassero incontro un saluto; e così con questi ricordi giovanili, sentii una gioia che da gran tempo non avevo più provata. Sono bene alloggiato nella “Regina d’Inghilterra”: l’albergo è poco lontano dalla piazza di San Marco; ed è questo il- più grande vantaggio del quartiere dove sto; le mie finestre d'inno su un angusto canale, serrato tra case alte, al di sotto un ponte a un sol arco, e dirimpetto un vicolo stretto e animato. Tale il sito dove abito; e qui resterò per un pezzo; finché, cioè, il mio pacco per la Germania non sarà pronto, e finché non sarò sazio di contemplare il quadro che presenta questa città. Ora posso davvero deliziarmi di quella solitudine che ho per tante volte desiderata; poiché un uomo in nessun luogo si sente mai così solo e così abbandonato, come quando si aggira sconosciuto in mezzo a una folla di gente sconosciuta. A Venezia un uomo solo mi conosce; e anche costui non mi incontrerà così presto. [1]

[1] Si tratta verosimilmente di J. P. Siebenkees di Norimberga, dal 1782 precettore a Venezia e studioso della storia e della vita veneziane.

Silvio Minieri ha detto...

Venezia, 30 Settembre.
Verso sera, sempre senza guida, mi inoltrai di nuovo nei più remoti quartieri della città. I ponti di qui sono tutti costruiti a gradinate, affinché non solo le gondole, ma anche le navi maggiori possano passarvi comodamente sotto gli archi. Cercai di orientarmi in questo labirinto senza domandare niente a nessuno, dirigendomi anche questa volta con la sola guida dei punti cardinali. Ci si riesce, certo, a trarsi d’impaccio; ma la matassa è sempre intricata maledettamente: e la miglior cosa, credo, si è quella di affidarsi, come io ho fatto, alla guida del senso. Durante questo giro ho potuto studiare, in ogni sito abitato, gli usi, i costumi e la natura dei cittadini; e questi usi e costumi variano da quartiere a quartiere. Oli mio Dio! che creatura povera e buona è mai l’uomo! Moltissime casine sorgono lì in riva ai canali; qua e là vi sono argini ben lastricati di pietra, sui quali si m va su e giù assai volentieri, tra l’acqua, le chiese e i palazzi. Bello e piacevole a vedersi è il lungo argine di pietra che si stende dal lato settentrionale; di là si dominano le isole, in particolare Murano detto « Venezia in piccolo ». Le lagune che si trovano tra mezzo, sono animate per le numerose gondole.

Sera
Oggi ho esteso di nuovo le mie cognizioni su Venezia, essendomi munito d’ una pianta della città. Dopo un po’ di studio di questa pianta, salii sulla torre di San Marco, da dove si offre all’occhio uno spettacolo unico. Era mezzogiorno, e il sole così limpido che io, senza cannocchiale, potei discernere distintamente tanto le cose vicine quanto quelle lontane. l flusso copriva le lagune, e quando volsi lo sguardo verso il così detto Lido — una stretta striscia di terra, che chiude le lagune — vidi per la prima volta il mare, e su di esso alcune vele. Nelle lagune stesse vi giacciono galee e fregate, che dovrebbero raggiungere il cavaliere Emo, che fa la guerra agli algerini ; ma queste navi e queste fregate a cagione di venti contrari sono trattenute qui. I monti padovani e vicentini, e le montagne del Tirolo, chiudono, tra ponente e tramontana, questo quadro stupendamente bello.

Silvio Minieri ha detto...

Venezia , 1 Ottobre.
Andai ad esaminare la città sotto vari aspetti, ed essendo appunto di domenica, fui sorpreso delia grande sporcizia delle strade, e quindi mi sentii trascinato a fare le mie osservazioni. Vi dovrà ben essere qualche regolamento di polizia in proposito; si buttano le immondizie nei canti; vedo delle grosse navi andare su e giù, e fermarsi ogni tanto, e caricare le immondezze: sarà gente delle isole circostanti che han bisogno di concime. Però in queste faccende non vi è né metodo ne ordine; e tanto più non si può perdonare una tale sporcizia in quanto che questa città fu costrutta in modo da essere pulita come ogni città olandese. Tutte le strade, sin quelle dei quartieri più lontani, son lastricate. se non altro di mattoni, almeno i marciapiedi; nel mezzo il suolo è alquanto elevato; mentre ai lati vi sono delle cunette che raccolgono le acque e le conducono nei canali coperti. Altri lavori architettonici delia pianta primitiva tanto bene ideata, dimostrano che l’intenzione de’ bravi architetti era quella di fare di Venezia, una delle città più pulite, come è la città più singolare. E lì per lì, mentre ero ancora a passeggio, non potei a meno d’abbozzare, con la mente, un regolamento di polizia urbana; e m’immaginai anche di dare le istruzioni ad un ispettore (Polizeivorsteher) che volesse prendere le cose sul serio. Così si ha sempre la tendenza e la voglia di occuparsi delle faccende altrui.

Silvio Minieri ha detto...

MENZOGNA E FINZIONE
Commento alla traduzione di alcune frasi di Goethe sull’arte del Palladio e brevi note di filosofia estetica.

La pubblicazione sul Blog di frammenti del “Viaggio in Italia” di Goethe è più che altro un invito alla lettura dell’opera, e inoltre per me, un lavoro di lettura rapida, in questo senso distratta. Questo non toglie che si possa estrapolare qualche osservazione di rilievo, rispetto alle altre, tra le tante del poeta tedesco. Nel post dell’1 febbraio 2025, “Viaggio in Italia”, consultando il paragrafo “Vicenza, 19 settembre”, viene in rilievo la riflessione di Goethe sull’arte del Palladio: “Con quanta abilità non seppe egli superare cotale difficoltà! quanto non impone l’aspetto delle sue opere, e come si dimentica, ch’egli non ebbe altro in mira se non il farvi illusione! Si scorge veramente un non so che di divino nelle sue linee, armoniche quanto i versi di un gran poeta, il quale dalla verità e dalla menzogna sa trarre un terzo elemento affatto nuovo, il quale incanta, rapisce!” (Traduzione di Augusto Nomis di Cossilla, 1875).Questa traduzione non appare soddisfacente. Che cosa significa: “dalla verità e dalla menzogna sa trarre un terzo elemento”? Di quale verità e menzogna dell’arte del Palladio, parla Goethe?
Consultiamo il testo originale: “Aber wie er das unter einander gearbeitet hat, wie er durch die Gegenwart seiner Werke imponirt und vergessen macht, dass er nur überredet ! Es ist wirklich etwas Gottliches in seinen Anlagen , vollig wie die Form des grossen Dichters , der aus Wahrheit und Lüge ein drittes bildet, dessen erborgtes Dasein uns bezaubert.” La frase “incriminata” è la seguente: “der aus Wahrheit und Luge ein drittes bildet”. La traduzione letterale è perfetta: “il quale (der) aus (dalla) Wahrheit (verità) und (e) Lüge (menzogna) ein (un) drittes (terzo [elemento]) bildet (forma, sa trarre). Se consultiamo il vocabolario, apprendiamo che “Lüge” significa “menzogna”, “bugia”, quella appunto che si contrappone alla “verità” (Wahrheit).
E allora? È chiaro che io non mi sarei mai accorto della rilevata incongruenza, se non avessi letto un’altra traduzione della stessa frase, quella del testo stampato in mio possesso: “Viaggio in Italia” (Italienische Reise), Mondadori 1983, ristampa 2017.
«Ma come ha saputo collegare bene i due elementi! come ci s’impone con la realtà delle sue costruzioni e ci fa dimenticare che vuol fare solo opera di persuasione! Vi è davvero alcunché di divino nei suoi progetti, né più né meno della forza del grande poeta, che dalla verità e dalla finzione trae una terza realtà, affascinante nella sua fittizia esistenza.» (Traduzione di Emilio Castellani)
Questa traduzione rende conto di quello che vuol dire Goethe, almeno per quello che ho capito io, anche in relazione alla teoria dei tre mondi di Popper, come meglio vedremo: la verità è il mondo della natura, la finzione è il mondo dell’arte, la terza realtà è l’opera d’arte. È ovvio che questa semplificazione va approfondita, ma prima vorrei intrattenermi ancora sulla traduzione, avendone consultate altre due, per chiarire ulteriormente il pensiero espresso da Goethe.

Silvio Minieri ha detto...

“Eppure, come egli ha saputo abilmente associare le une e gli altri, e come imporsi con la realtà delle sue opere, riuscendo a farci dimenticare che il suo scopo è semplicemente di affascinarci! C'è qualche cosa di veramente divino nei suoi disegni: perfettamente come è la forma per un grande poeta, che dalla verità e dalla finzione plasma una terza cosa, la cui esistenza fittizia ci rapisce.” (Eugenio Zaniboni, 1924)
“E pure, come ha saputo combinar per bene l’una cosa con l’altra! Come impone con le opere sue, e come sa farci dimenticare che egli ad altro non mira, che a produrre su di noi un’illusione! C’è veramente qualche cosa di divino nei suoi disegni; e si può dire di questi ciò che si dice della forma di un gran poeta ; questo, dalla verità e dalla finzione, fa scaturire una terza cosa, la cui fittizia esistenza ci seduce e ci incanta.” (Prof. G. Schwarz, 1895) Quest’ultima traduzione merita un discorso a parte, per ora comunque approfondiamo il pensiero di Goethe.
Parlando dell’opera d’arte, il Teatro Olimpico di Vicenza del Palladio, egli ammira la mirabile capacità artistica dell’architetto veneto nel conciliare i due elementi dei muri e delle colonne, il primo soltanto edile, il secondo strettamente artistico: “La massima difficoltà con cui quest’uomo, come tutti i moderni architetti, ebbe a lottare, è quella d’una conveniente applicazione degli ordini di colonne nell’architettura civile; perché l’unione dei muri e delle colonne sarà sempre una vera contraddizione.” (Schwarz)
In quest’opera complicata di conciliazione architettonica, Goethe riconosce lo stile poetico, che ispira l’opera del Palladio: l’atto creativo, “qualche cosa di divino nei suoi disegni”, che dalla “verità” (mondo reale) alla “finzione” (mondo fittizio dell’arte), trae “la terza cosa”, l’opera d’arte, ovvero il Teatro Olimpico, che si rivela davanti agli occhi incantati dell’ammiratore: “la cui fittizia esistenza ci seduce e ci incanta”.
Nella creazione artistica figurativa, ma anche letteraria, il circolo (mimetico) è quello della presenza di una realtà osservata, che attraverso l’attività dell’artista (poiesis), viene generata come opera d’arte. È lo svolgersi dell’azione del Demiurgo, che guardando alle eterne Idee (per Platone, la vera realtà) plasma l’Universo. La visione del Palladio è quella delle opere dell’antichità classica, in particolare la costruzione dei templi dell’epoca greca, ellenistica e romana.
Ma come avevamo premesso, vorremmo ora occuparci più dettagliatamente della traduzione del brano originale del testo goethiano, servendoci dell’opera del prof. G. Schwarz, non tanto – o forse, meglio, non solo – per semplice pedanteria o sfoggio di erudizione, ma per poter poi cogliere le conclusioni sulla differenza tra menzogna e finzione, il nostro tema, che nella sua enunciazione finale esaurisce e rinvia il vero inizio di una trattazione specifica di questo argomento, relativo alla filosofia dell’arte.
Riproduciamo le diciture della copertina dell’opera: “W. Goethe – Viaggio in Italia – (Italienische Reise) – Testo tedesco e traduzione italiana interlineare – illustrata ed annotata dal – Prof. G. Schwarz del Regio Istituto Tecnico di Ancona – Genova – A. Donath Editore – 1895” [L’opera è consultabile on-line]

Silvio Minieri ha detto...

Nella Premessa indirizzata agli studiosi, l’autore espone i motivi che l’hanno indotto a comporre la sua opera. Come insegnante della lingua tedesca, consapevole delle difficoltà dell’idioma tedesco per gli Italiani, ha scelto l’opera di Goethe, Italienische Reise, un testo pur del secolo precedente (1786-88), che “tuttavia offre dei pregi incontestabili, sia per la grande varietà del contenuto, sia per la ricchezza della sua lingua. In essa gli studiosi potranno anche imparare come si narri e si descriva, e come si deve procedere nel fare osservazioni e nel giudicare delle persone e delle cose; ed avranno altresì occasioni di lontano confrontarsi tra gl'Italiani del secolo passato e quelli d'oggi.” Quindi passa a descrivere il suo metodo di lavoro: “Il sistema da me scelto è l'interlineare, benché sino ad ora poco usato in Italia, fatta eccezione per i classici greci e latini. Le prime 64 pagine del testo sono accompagnate, parola per parola, da una traduzione interlineare, nella quale ho badato meno a rendere il senso, attenendomi scrupolosamente alla traduzione d'ogni parola. Le 60 pagine seguenti sono accompagnate ognuna da note e spiegazioni, che, numerose in principio, vanno man mano diminuendo, e ciò per esercizio dello studioso. Nelle ultime 28 pagine il testo fu lasciato tal quale. Alla fine del volume ho aggiunto una traduzione libera di tutto il testo, in modo da rendere il senso dell'autore, e spiegare chiaramente certe frasi che con la necessità della traduzione letterale erano riuscite in parte oscure.” Quindi conclude: “Ho creduto anche utile far seguire l'opera da una tabella cronologica, dove si espongono in riassunto i dati principali sulla vita e sulle opere dell'autore. Così facendo ho creduto riuscire nel mio intento. Al lettore il giudizio. Qualora fosse così, sarà per me incoraggiamento vivissimo a proseguire nella via intrapresa, pubblicando con lo stesso metodo altre opere di autori classici tedeschi.”
Abbiamo voluto trascrivere quasi per intero la presentazione della sua opera di traduzione da parte dell’autore, per mostrare come difficilmente ogni minimo particolare del testo tedesco e della sua traduzione italiana sia potuto sfuggire ad una così attenta e scrupolosa trattazione. E quindi, per il nostro intento, l’opera del prof. G. Schwarz, si è rivelato come uno strumento abbastanza prezioso ed anche una riscoperta del lavoro certosino, che ogni traduzione da una lingua all’altra comporta.
Ritornando sul passo, che abbiamo sottoposto al nostro esame, occupiamoci di altri due vocaboli della lingua tedesca – überredet, bezaubert – che in esso compaiono e della loro traduzione. E quindi, riprendiamo il testo originale in tedesco, come ce lo presenta Schwarz, tenendo presente che la sua opera di traduzione si limita ai primi quattro capitoli del diario di viaggio di Goethe, avendo il suo lavoro un carattere principalmente didascalico, per la conoscenza della lingua tedesca, come abbiamo appreso dalla sua presentazione. E dobbiamo rilevare che proprio questo carattere didascalico è quello strumento che meglio si addice al nostro scopo.

Silvio Minieri ha detto...

Ora, abbiamo visto, che le prime 64 pagine del testo sono accompagnate, parola per parola, dalla traduzione interlineare, mentre nelle 60 pagine seguenti, quelle in cui si trova il passo sottoposto al nostro esame, gran parte delle parole sono invece accompagnate ognuna da note e spiegazioni. Ho messo quindi in atto la traduzione interlineare, che riporto qui di seguito, facendo seguire ogni vocabolo tedesco da quello italiano tra parentesi.
Aber (Ma) wie (come) er (egli) das (questo) unter (tra) einander (l’un l’altro) Gearbeitet (combinato) hat (ha), wie (come) er (egli) durch (mediante) die (la) Gegenwart (presenza) seiner (delle sue) Werke (opere) imponirt (impressiona) und (e) vergessen (dimenticare) macht (fa), dass (che) er (egli) nur (solo) überredet! (convince!) Es (Esso) ist (è) wirklich (veramante) etwas (qualcosa) Gottliches (di divino) in (in) seinen (suoi) Anlagen (disegni), völlig (affatto) wie (come) die (la) Form (forma) des (del) grossen (grande) Dichters (poeta) der (che) aus (da) Wahrheit (verità) und (e) Lüge (menzogna) ein (un) drittes (terzo) bildet (forma), dessen (la cui) erborgtes (fittizia) Dasein (esistenza) uns (ci) bezaubert (incanta).
E adesso possiamo proporre la nostra traduzione, rinviando a dopo le osservazioni. “Ma come ha ben combinato l’un e l’altro elemento tra loro, come con la realizzazione delle sue opere impressiona e fa dimenticare, che tende soltanto a persuaderci! C’è davvero qualcosa di divino nei suoi disegni, la vera arte del grande poeta, il quale dalla verità e la finzione genera un terzo elemento, la cui fittizia esistenza ci affascina.”
Ho compiuto una traduzione un po' troppo letterale, forse per compensare quella del professor Schwarz, che giudichiamo un po' troppo creativa, come ad esempio quando traduce con due verbi italiani, “rapire” ed “incantare”, il verbo tedesco “bezaubern”, nel testo la voce è alla terza persona dell’indicativo presente: “bezaubert”. E in verità, la sua traduzione è migliore, secondo quel certo canone, che indica come forma migliore di traduzione quella che meglio risponde allo stile della lingua in cui il testo originale viene tradotto. In tal senso la traduzione letterale, seppure più fedele alla forma lessicale della lingua da cui si traduce, non è conveniente con l’altra.
Ora, però, vorrei soffermarmi su alcuni vocaboli, a cominciare dai due segnalati, che meglio rendono il pensiero di Goethe, la sua teoria estetica, peraltro espressa in quei suoi termini poetici, a loro volta pieni di meraviglia e di fascino, come l’arte del Palladio oggetto della sua ammirazione.

Silvio Minieri ha detto...

La voce überredert è la terza persona singolare, indicativo presente, di überredern, che significa persuadere, convincere. Ecco, la persuasione è lo scopo principale dell’arte retorica, e in tal senso la retorica si può definire l’arte della persuasione. Nel suo trattato, Aristotele sostiene che l’oggetto della retorica non è la verità (aletheia), ma il verosimile (eikos) ovvero l’immagine della realtà, quello che viene figurato. La tesi aristotelica riguarda il discorso, l’oratoria, dove il retore propone l’alternativa più valida nella maggior parte dei casi, rispetto all’ammissibilità di una realtà differente dalla tesi sostenuta. (“Retorica” 1357b) Il nostro riferimento ad Aristotele, per quanto possa apparire improprio, serviva a mettere in luce il concetto di figurazione della realtà, quella raffigurazione del reale appunto che tende a creare l’illusione del vero.
Noi, all’inizio del nostro discorso, presentando la traduzione di Augusto Nomis di Cossilla (1875), l’avevamo giudicata non soddisfacente, in verità avevamo detto “non appare soddisfacente”, in quanto avevamo estrapolato dal contesto i due termini “verità” e “menzogna”, trovando incongruente questa coppia dei contrari. Una tale opposizione, invece, appare congruente con la linearità della traduzione, che mette appunto in relazione l’illusione con la verità e la menzogna: “Con quanta abilità non seppe egli superare cotale difficoltà! quanto non impone l’aspetto delle sue opere, e come si dimentica, ch’egli non ebbe altro in mira se non il farvi “illusione”! Si scorge veramente un non so che di divino nelle sue linee, armoniche quanto i versi di un gran poeta, il quale dalla “verità” e dalla “menzogna” sa trarre un terzo elemento affatto nuovo, il quale incanta, rapisce!” Anche Schwarz traduce überredert con “illusione”: “produrre su di noi un’illusione”, guardando più all’effetto che alla causa, anche se, come vedremo, accennando a Popper, lo scarto fra questi due poli si può ridurre fino all’unificazione. È come dire che l’intenzione persuasiva, quale elemento interiore dell’artista, viene a coincidere con l’aspetto esteriore, l’effetto illusorio prodotto.
E ora possiamo esaminare l’altro verbo, oggetto della nostra attenzione: bezaubern. Stando ai vocabolari, bezaubern significa: affascinare, sedurre, incantare. Intanto, precisiamo, che non è casuale che uno degli autori (anche il traduttore è in un certo senso autore, autore del testo originato dalla sua traduzione) abbia tradotto con il concetto di fascino il verbo überredert : “scopo… di affascinarci”. (Zaniboni, 1924) E possiamo dire che soltanto una versione ha reso la fedeltà del significato di questo verbo: “fare … opera di persuasione” (Castellani, 1983)

Silvio Minieri ha detto...

Ora, questo nostro continuo gioco dei confronti tra le diverse traduzioni dello stesso termine ha finito per rivelarci un accostamento di significato tra i due verbi usati da Goethe, dove il persuadere (überredern) si fonde con l’affascinare (bezaubern). E ancora una volta dobbiamo cogliere la fusione tra il mondo interiore dell’artista, l’intenzione persuasiva, e quello esteriore del prodotto artistico, il fascino e incanto. Cogliamo quindi l’occasione per poter infine presentare in linee schematiche la teoria di Karl Popper ( 1902-1994). Secondo il filosofo viennese, esistono “tre” mondi: il mondo “uno”, quello esteriore, costituito dalle entità fisiche, il mondo della natura e delle cose; il mondo “due”, quello interiore dell’esperienza soggettiva, rientrante nella sfera dei pensieri e dei sentimenti; infine, il mondo “tre”, risultante dal mondo “due”, contenente i prodotti dello spirito, oggettivi e invariabili. E qui, Popper fa l’esempio di un libro, che come ente materiale, fa parte del modo “uno”, e come prodotto di un’attività dello spirito, il mondo “due”, risulta esistente nel mondo “tre”. Il libro, dice Popper, è il medium linguistico per la comunicazione di idee e pensieri, che può essere tradotto nelle altre diverse lingue, L’elemento “invariabile”, che non varia nella traduzione tra una lingua e l’altra, è quello costituito dal mondo “tre”.
Nel commento di Goethe, “ein drittes”, “un terzo”, elemento o cosa, indica appunto quel prodotto dello spirito, che per Popper appartiene al mondo “uno”, come entità fisica, e al mondo “tre” come risultato del mondo “due”, l’attività creativa dell’artista. Ora, lasciando da parte le diverse implicazioni di carattere filosofico, che questa teoria comporta, sul problema ontologico dell’esistenza dei tre mondi e della possibilità di interazione tra essi, continuiamo l’esame terminologico, al fine di cogliere quegli aspetti di carattere estetico presenti nella riflessione di Goethe.
“Gegenwart” significa “presenza”, ed è stato reso nelle varie traduzioni con aspetto e realtà, Schwarz ne omette la traduzione. Io avevo pensato, influenzato dal pensiero di Heidegger, alla presenza come l’essere presente dell’ente, l’essere dell’ente, la cui presenza implica il suo venire alla luce, e quindi l’attività che realizza l’effetto. In tal senso, avevo pensato di tradurre Gegenwart con ”realizzazione”, evidenziando più l’aspetto del mondo “due”, l’attività creativa di progettazione, rispetto al risultato, mondo “tre”, della messa in atto dell’opera. Dico questo, per voler meglio cogliere certe sfumature del linguaggio poetico di Goethe. Infatti, se mettiamo in relazione Gegenwart con il resto della frase, possiamo accorgerci come con la “presenza” delle sue opere, egli (l’artista) vuol far dimenticare, come dire nascondere la realtà sensibile del materiale architettonico, muri e colonne, sotto il velo illusorio dell’arte, e quindi persuaderci della verità dell’opera, la realtà artistica. Queste esclamazioni di meraviglia suscitate dalla contemplazione dal vero dell’opera d’arte sono il registro di vere emozioni avvertite nella sua anima dal poeta tedesco. Infatti, tali sentimenti vanno collegati alle sue aspettative e al suo desiderio del viaggio in Italia, dovute al racconto di una tale esperienza realizzata dal padre.

Silvio Minieri ha detto...

Johan Caspar Goethe, padre del poeta, grande ammiratore dell’Italia e della lingua italiana, compì un viaggio in Italia nel 1740, il cui resoconto fu tradotto in italiano con il titolo “Viaggio per l’Italia” (1932), J.C. Goethe riportò dal viaggio quelle incisioni di vedute di Roma, che Wolfang vide fin da bambino appese alle pareti della casa natale di Francoforte. Si può capire come per il bambino, l’Italia fu sempre una terra sognata e desiderata, e come e ne rimase affascinato ed emozionato, quando da grande riuscì a realizzare quel suo desiderio. Un tale entusiasmo lo invase emotivamente, quando registrò sul suo diario le prime impressioni del suo arrivo a Venezia: “Sul libro del destino era dunque scritto alla mia pagina che il 28 settembre 1786, alle cinque di sera, secondo la nostra ora, entrando dal Brenta nella laguna, avrei visto per la prima volta Venezia, e subito dopo avrei toccato e visitato questa meravigliosa città insulare.” Quello che emoziona Goethe è la visione della realtà, la verità del reale, in confronto alla verità illusoria del desiderio e del sogno, un vuoto di immagini, un nulla: “Dunque, grazie a Dio, Venezia per me non è più una semplice parola, non è più un puro nome che così spesso ha angosciato me, che son tanto nemico di vuoti suoni.”
Se le parole devono suscitare immagini specchio della realtà, se di questa realtà non si è avuta visione, allora le parole che la descrivono rispecchiano il vuoto nulla. Solo in questo senso alla Wahrheit, verità del reale, realtà del vero, si oppone la Lüge, la menzogna, assenza del vero. Ora, il verbo mentire, da cui menzogna, riprende il latino mentiri, alla cui radice troviamo mens, “mente”, quindi “mentire” è “inventare con la mente”, con il significato analogo di fingere, dal latino fingĕre, che significa costruire, creare, fabbricare (anche in senso figurato), foggiare, modellare, rappresentare, tracciare, raffigurare, delineare, ma anche fingere, simulare, contraffare, falsificare. In quest’ultimo senso, il relativo sostantivo di fingere, “finzione”, è sinonimo di falsità, menzogna, inganno, ma in termini positivi, si riferisce anche all’attività creativa del costruire, formare, strutturare, e anche immaginare, ideare, inventare.

Silvio Minieri ha detto...

Quindi, se come contrario del vero, la menzogna è la sua negazione e sostituzione con una falsa realtà, data per verità, la finzione, oltre a questo senso negativo, ha anche quello positivo di inventivo, costruttivo, creativo. Ora, se un parallelo tra menzogna e finzione appare chiaro in chiave discorsiva, dove il mentire e il fingere, come simulazione del vero, hanno lo stesso significato, diversamente appare nel campo delle arti sia letterarie che raffigurative, dove la finzione è scontata come menzogna, diremo per definizione. In tal senso tradurre letteralmente Lüge con menzogna, significa voler dare a questo termine il significato di finzione, proprio secondo l’arte della retorica – si intende la finzione come scoperta menzogna. In letteratura, ad esempio, il titolo del libro di Elsa Morante, “Menzogna e sortilegio”, esprime in maniera aperta lo scontro tra il vero della realtà della vita e la menzogna del mondo immaginario e illusorio dei personaggi, un sortilegio.
Restando nel campo dell’attività artistica, come attività creativa, possiamo quindi intendere il senso del divino attribuito alle creazioni del Palladio: etwas Gottliches. E la sua arte (Form) viene definita in tutto (vollig) come quella di un grande poeta (des grossen Dichters), che dalla verità e dalla sua imitazione crea l’elemento nuovo, la cui esistenza fittizia ci seduce ed incanta. Restiamo affascinati dalla visione dell’opera d’arte, pur avvertendo il carattere illusorio del suo essere presente al nostro sguardo.
Esaurito il tema da noi proposto, la traduzione di alcuni termini di una riflessione estetica di Goethe sull’architettura del Palladio, dovremmo continuare sulla traccia del pensiero della relazione tra verità ed opera d’arte, ma come avevamo detto, ci fermiamo, concludendo proprio all’inizio di una discussione sulla filosofia dell’arte.