venerdì 23 maggio 2025

Letteratura

           

        Ragioni di una poesia



1 commento:

Silvio Minieri ha detto...

Risvegli

Ogni mio momento
io l’ho vissuto
un’altra volta
in un’epoca fonda
fuori di me

Sono lontano con la mia memoria
dietro a quelle vite perse

Mi desto in un bagno
di care cose consuete
sorpreso
e raddolcito

Rincorro le nuvole
che si sciolgono dolcemente
co’ gli occhi attenti
e mi rammento
di qualche amico
morto

Ma Dio cos’è?

E la creatura
atterrita
sbarra gli occhi
e accoglie gocciole di stelle
e la pianura muta

E si sente
riavere


Commento

La poesia fu scritta da Ungaretti alla fine della Prima Guerra Mondiale, a cui il poeta partecipò andando in battaglia al fronte, vivendo tutta la precarietà dell’esistenza: “Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie.” Il porto sepolto a cui allude il titolo della silloge si riferisce ad un luogo archeologico sottomarino: il porto sommerso di epoca tolemaica nelle acque di Alessandria d’Egitto, la città dove Ungaretti nacque e visse la sua fanciullezza. È quindi un luogo della sua memoria, ma anche un luogo dell’anima: “Il porto sepolto è ciò che di segreto rimane in noi, indecifrabile” ebbe a commentare il poeta stesso, in riferimento alla sua lirica. È un luogo segreto che per quanti sforzi si possano compiere rimane sconosciuto, ma che forse soltanto il canto poetico riesce ad evocare. È un luogo suggestivo e misterioso che ha colpito anche la fantasia di un narratore contemporaneo, Maurizio Maggiani, che evoca la figura del poeta e del porto sepolto, in un suo romanzo di successo: “Il coraggio del pettirosso”.
Il risveglio a cui allude il poeta nella sua lirica è quello della coscienza, il risvegliarsi dopo il buio della guerra alla realtà della vita, di cui si avverte nella propria interiorità il segreto e il mistero: “Ma Dio cos’è?”
Nello scritto “Ragioni d’una poesia”, dove Ungaretti espone le proprie riflessioni sulla sua poetica, così dice: “Ma noi sappiamo benissimo che, se per l’uomo tutto poggia sempre su un dato oscuro, nessuno sarà mai in grado di risolversi umanamente in tale dato senza confondersi, perdersi e annullarsi.” Ecco perché, in “Porto sepolto”, dopo avere menzionato Dio, nei versi successivi, viene detto: “E la creatura / atterrita / sbarra gli occhi ”. Come spiega il poeta stesso: ”Sappiamo non meno bene che non ci saranno mai luci umane – né proustiane, né freudiane – capaci di renderci misurabile tale dato.” Il mistero è insondabile, un “porto sepolto”, e così prosegue Ungaretti: “Il mistero c’è, è in noi. Basta non dimenticarcene.”
Tutto il dolore e la sofferenza e la miseria della vita di trincea riemergono nel risveglio della coscienza alla vita, ecco perché il poeta canta: “Ogni mio momento / io l’ho vissuto / un’altra volta /in un’epoca fonda / fuori di me.” Lo svolgersi della vita in istanti di precarietà successivi l’uno all’altro sono stati vissuti all’ombra incombente della morte, senza prenderne coscienza, “in un’epoca fonda”, appunto il buio della coscienza, quindi “fuori di me”. Ed ora il poeta se ne riappropria, si riappropria della sua vita: “ Mi desto in un bagno / di care cose consuete / sorpreso / e raddolcito. Rincorro le nuvole / che si sciolgono dolcemente / co’ gli occhi attenti /e mi rammento
di qualche amico / morto.” Ormai i tristi ricordi di guerra sbiadiscono, fuggono via e scompaiono lungo il dorso del tempo: “Sono lontano con la mia memoria / dietro a quelle vite perse.” È il ritorno alla vita e al suo mistero e anche se attonita “la creatura atterrita / accoglie gocciole di stelle / e la pianura muta. / E si sente /riavere.”
È il balsamo e la consolazione della poesia: “Soltanto la poesia – l’ho imparato terribilmente, lo so – la poesia sola può recuperare l’uomo, persino quando ogni occhio si accorge, per l’accumularsi delle disgrazie, che la natura domina la ragione e che l’uomo è molto meno regolato dalla propria opera che non sia alla mercé dell’Elemento”. Così conclude Ungaretti il suo scritto “Ragioni d’una poesia”.