giovedì 29 maggio 2025

Poesia

               

           I due coppieri



8 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

I DUE COPPIERI

Ci inseguirono quel giorno i due coppieri
io reggevo la tua borsa, tu la mia:
piombarono su di noi da predatori
noi fuggiaschi tra ombre nere in drappelli
che come stormi improvvisi di uccelli
sciamarono intorno alle mura merlate.

Nella fuga trattenevi il respiro
non riuscivi a indovinare le strade
confondevi luci e vetrine
correndo per metterti in salvo.

Non ci colsero quel giorno i due coppieri:
tu volevi tornare: “Un altro giorno”
soffiò la tua voce, io assentii;
quando intensa si mostra la vita
ti spinge di nuovo a tentare la via.

Sono sempre lì di guardia i due coppieri
tra i torrioni, le statue e i saltimbanchi neri.

Silvio Minieri ha detto...

[N. d. B.]
Il testo della poesia è stato musicato, e la canzone può essere scaricata e ascoltata sul sito web sotto indicato.
https://radioalma.blogspot.com/2010/05/aspettando-silvio-minieri.html

Silvio Minieri ha detto...

LA SETE DI LIBERTÀ
“Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. Quando, in questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno, allora è segno che sta per cominciare la tirannide.” (Platone, Repubblica VIII, 562-4)

Silvio Minieri ha detto...

L'INSEGUIMENTO E LA FUGA
Chi sono i due coppieri? Gli inseguitori, certo; ma perché inseguono? Deve esserci stato un conflitto, che si sta concludendo con la fuga degli sconfitti. Ma di quale battaglia si tratta e quali sono le schiere che si sono affrontate? Dal distico finale si desume che i due coppieri siano delle guardie, verosimilmente soldati o militari messi a difesa del castello. E si deve concludere che deve esserci stato un qualche assalto alle mura della fortezza o qualcosa di simile, un’infrazione alle leggi che lo governano forse, con l’esito della fuga degli assalitori o dei colpevoli.
“Ci inseguirono quel giorno i due coppieri
io reggevo la tua borsa, tu la mia:
piombarono su di noi da predatori
noi fuggiaschi tra ombre nere in drappelli
che come stormi improvvisi di uccelli
sciamarono intorno alle mura merlate.”
In questa scena, i due fuggiaschi corrono confusi tra drappelli di ombre nere, una folla che sciama dalle “mura merlate”. Le truppe d’assalto, se così vogliamo definirle, sono quindi descritte come un insieme di drappelli che si danno alla fuga disordinata, anzi no, abbastanza ordinata: “come stormi improvvisi di uccelli”. Riflettiamoci meglio, i fuggitivi sembrano ritirarsi in gruppi ordinati, come se fossero esercitati in questo tipo di azione, una tattica. E i due sprovveduti fuggiaschi si ritrovano confusi in questa ritirata generale, scambiandosi le borse non si sa bene perché.
Ma perché li abbiamo definiti sprovveduti? Forse non erano adusi a questo tipo di battaglie e sono rimasti sorpresi dall’azione improvvisa. Infatti, se i drappelli di ombre nere volano via di colpo dalle mura merlate, deve essere accaduto un qualche fatto abbastanza particolare, forse un assalto o un tentativo di assalto andato a vuoto, che ha scatenato la reazione. I difensori devono avere sparato un colpo di cannone dal castello, provocando la simultanea alzata in volo degli stormi di uccelli, un’immagine poetica questa che non ha però nessun riferimento con una battaglia aerea.
Sembra invece più una scena di caccia: “piombarono su di noi da predatori”. Il poeta vuole esprimere questo stato d’animo dei fuggiaschi, che all’improvviso si ritrovano a dover fuggire, sentendosi inseguiti. Ma chi sono gli inseguitori? I due coppieri. E come è possibile che due coppieri da soli riescano a mettere in fuga stormi di assalitori o assedianti, tra cui i due sprovveduti fuggiaschi?
Intanto, chiariamo che a mettere in fuga le schiere degli avversari non sono stati i due coppieri, ma quel colpo di cannone o sparo, il botto insomma. Soltanto non sappiamo se sia stato avvertito dai due protagonisti coinvolti nella fuga generale, e quindi presenti anch’essi sotto le mura merlate. Una cosa è certa, se mi trovo coinvolto in una fuga generale, prima di capire che cosa stia succedendo, non resto fermo o vado controcorrente, ma corro con gli altri. Credo che accada così anche per i nostri due eroi, anche se fuggire non sembra poi tanto eroico.
“Nella fuga trattenevi il respiro
non riuscivi a indovinare le strade
confondevi luci e vetrine
correndo per metterti in salvo.”

Silvio Minieri ha detto...

Qui sembra che il protagonista non si dia troppo pena della sua condizione, ma si limiti soltanto ad osservare quella della compagna, che va correndo disorientata, cercando di mettersi in salvo. E sembra non preoccuparsi troppo, quasi come se non stesse fuggendo anche lui. Ma perché i due fuggono? Sono inseguiti certo o credono di esserlo, ma un qualche motivo di timore devono pure averlo. Il nodo della fuga sta sicuramente nello scambio delle borse, forse per quello che contengono: armi? esplosivi? o magari pietre preziose?
Soffermiamoci su quest’ultima ipotesi. E se i due fossero dei contrabbandieri, che si recavano al castello per compiere i loro traffici illeciti? Erano degli habitué?
“Non ci colsero quel giorno i due coppieri:
tu volevi tornare: “Un altro giorno”
soffiò la tua voce, io assentii;
quando intensa si mostra la vita
ti spinge di nuovo a tentare la via.”
In questo breve scambio di battute, si rivelano le intenzioni e, diciamolo, la complicità tra i due. Capendo che la situazione era rischiosa, rimandano a una volta seguente il loro “assalto” al castello. Eppure non abbiamo ancora capito quale sia questo genere di assalto alle mura merlate, anche se un indizio ce l’abbiamo: “quando intensa si mostra la vita / ti spinge di nuovo a tentare la via.” Ecco, qui non si tratta di contrabbando di armi o di pietre preziose, qui essi si rivelano amanti del rischio, sembra si tratta di due professionisti della provocazione e della paura, forse sono due pericolosi eversori della “legge” del castello. Ma è possibile? Perché diciamo questo? Non stiamo forse esagerando? E se fosse, invece, una situazione kafkiana quella in cui vengono a trovarsi i due eroi in fuga?
Ecco, abbiamo evocato Kafka, quello della “Legge” e del “Castello” Ci deve essere qualcosa di kafkiano in questa storia dei due coppieri, cerchiamo di chiarire. E per farlo, dobbiamo ripartire da Kafka e dall’incipit del “Processo”: “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché, senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato.” Due signori si presentano, una mattina, nella camera da letto di Josef K., e gli notificano un mandato d’arresto per una colpa sconosciuta da lui commessa. Ha inizio un processo che si concluderà con una condanna e un’esecuzione veramente kafkiane: “La logica della legge è incrollabile, ma non resiste ad un uomo che vuole vivere. Dov’era il giudice che egli non aveva mai veduto? Dov’era il tribunale supremo davanti al quale egli non era stato ammesso?”
Al contrario di Josef K., i nostri fuggiaschi, però, non vengono raggiunti, “colti”, dai due coppieri, e quindi il loro destino è rinviato ad altra occasione, in quanto esisterà sempre un “Castello”, che esprimerà sempre una “Legge” inviolabile, anche se incomprensibile. È questo che ci dice il distico finale o almeno anche questo, oltre a un’apparente situazione di equilibrio, ma di sempre possibile rovesciamento.
“Sono sempre lì di guardia i due coppieri
tra i torrioni, le statue e i saltimbanchi neri.”

Silvio Minieri ha detto...

I SALTIMBANCHI NERI
“Il fanatico è un uomo che si mette a correre in mezzo a una folla e da principio tutti lo seguono. L’incredulo fa ben di più. È un funambolo che compie per aria le mosse più incredibili, volteggiando intorno alla corda. Riempie di spavento e di stupore tutti gli spettatori e nessuno ha la tentazione di seguirlo o di imitarlo.” Così scriveva l’abate Galiani a Madame d'Épinay in una lettera del 21 settembre 1776, in cui distingueva la figura del fanatico da quella dell’incredulo. [1]
Saltimbanco sta per acrobata, giocoliere, funambolo, equilibrista, clown, pagliaccio, buffone, giullare o, come spregiativo, ciarlatano, impostore, opportunista, parolaio, calcolatore, furbacchione, voltagabbana.
Chi sono i saltimbanchi neri? Sono quelle ombre nere che fuggono in drappelli come stormi di uccelli? È verosimile. In tal caso la contesa è tra i “coppieri” e i “saltimbanchi neri”, che esplode in un conflitto con la fuga generale, in cui si trovano coinvolti, a quanto pare non a caso, i nostri due fuggiaschi.
Nel quadro così delineato, possiamo ora comprendere meglio i ruoli dei coppieri da una parte, dei saltimbanchi neri dall’altra, e dei nostri eroi nel mezzo.
Ai coppieri è affidata la protezione delle mura del castello, governato da personaggi invisibili e da una legge inviolabile, che non appena violata scatena il conflitto tra coppieri e saltimbanchi neri. Qual è questa legge? È una legge imperscrutabile e sconosciuta, di cui si avverte tutta la forza soltanto quando viene violata, e i cui segni visibili sono la fuga improvvisa delle ombre nere come stormi di uccelli dalle mura merlate al riecheggiare di uno sparo.
In verità nella lirica questo sparo non è menzionato, ma un riferimento può essere colto da un’assonanza tra coppieri e campieri, figure che forse il poeta aveva associato inconsciamente tra loro, come difensori dell’ordine di un castello e del circondario agricolo, anche se l’azione non si svolge nei campi, ma in ambiente cittadino:
“Nella fuga trattenevi il respiro
non riuscivi a indovinare le strade
confondevi luci e vetrine
correndo per metterti in salvo.”

Silvio Minieri ha detto...

Ecco, adesso possiamo capire meglio. Il quadro è da guerriglia urbana o meglio non è da guerriglia urbana, è facile confondersi. L’ambiente è quello cittadino, ma l’azione non è di guerriglia. Soltanto astraendo i quattro versi della strofa dall’intero contesto della lirica, si può essere colti dal dubbio. Chi vive in una grande città, magari la capitale di uno Stato, è abituato a questo genere di disordini o tumulti e scontri tra forze dell’ordine e facinorosi, in occasione di gare sportive, concerti, manifestazioni sociali o politiche o altre pubbliche riunioni. E non è infrequente il caso di chi scende di casa per andare a comprare le sigarette e contro il suo volere si trova coinvolto in disordini scaturiti da una “radunata sediziosa”, specie in tempi di turbative politiche. Non è questo, comunque, il caso dei nostri due fuggiaschi.
Questi presentano delle responsabilità ambigue, anche se il gesto in sé è anodino: “io reggevo la tua borsa, tu la mia.” Non è infrequente che in una coppia, i due si aiutino a vicenda, dovendo magari uno dei due frugare nella propria borsa. E questo accade nel corso di una fuga generale tra coppieri che inseguono saltimbanchi neri in drappelli, volati via come stormi di uccelli? Una strana coincidenza sembrerebbe questa al Procuratore di Stato: “Qui in re illicita versatur tenetur etiam pro casu”. Come? Silenzio! Traduciamo, bisbigliando: “Chi si mette in una situazione illecita è tenuto a rispondere anche delle conseguenze non volute.”
Abbiamo mischiato un po' di Kafka con il diritto romano, ma in questo modo possiamo capire meglio il ruolo dei coppieri, che al contrario di quelli di Platone non versano libertà in abbondanza nelle coppe. In tal modo, il popolo assetato di libertà non finisce per rimanere ebbro, stato di esaltazione prossimo all’indisciplina e ad una pericolosa deriva verso l’anarchia, quella che conduce dritta alla tirannide.
E qui bisogna fare un’osservazione. I saltimbanchi neri non hanno bisogno di bere a profusione dalle coppe il nettare della libertà. Essi, per la loro condizione incredula di funamboli, equilibristi della corda, non hanno necessità di essere ebbri, incoscienti del pericolo volteggiando su una fune sospesa in alto. I saltimbanchi sanno di essere dei funamboli, situazione rischiosissima, ma sanno anche che soltanto come giullari o clowns potranno rimanere a ridosso delle mura merlate.

[1] Galiani, “Dialogo sulle donne e altri scritti”, Milano 75-79.
Ferdinando Galiani, noto come l'abate Galiani, (Chieti 1728 -Napoli 1787), economista e letterato, dal 1759 al 1769, fu Segretario di Ambasciata del Regno di Napoli a Parigi, dove strinse amicizia con Diderot e M.me d'Épinay.
Louise Florence Pétronille d'Épinay, (Valenciennes 1726 – Parigi, 1783), scrittrice, protettrice di Jean-Jacques Rousseau, tenne un salotto letterario a Parigi, frequentato dai principali intellettuali d’Europa del tempo.

Silvio Minieri ha detto...

IMMAGINE
ARTE CRETESE. Coppieri, dal Palazzo di Cnosso, Iraklion, periodo palaziale.

LA CIVILTÀ PALAZIALE
Viene definita “civiltà palaziale” quella fase storica in cui nel Mediterraneo orientale e nel Vicino Oriente si andarono organizzando società e culture attorno ad un centro di potere politico, religioso ed economico-amministrativo, il “palazzo”, sede di una residenza regale. Un esempio di civiltà palaziale è la civiltà minoica, caratteristica dell'isola di Creta nel mare Egeo. Tra il 2.000 e il 1.700 a.C.
La civiltà venne denominata minoica, nel primo Novecento, quando l’archeologo inglese Sir Arthur Evans portò alla luce il palazzo di Cnosso, residenza del mitico Re Minosse, che divenne il simbolo di una società fondata sul principio della regalità.
Il mito cretese fu alimentato dalla coincidenza tra la struttura labirintica degli edifici e il racconto mitico del Minotauro. Il lavoro di scavi portarono alla ricostruzione di interi ambienti, al fine di restituire al palazzo il suo antico splendore: le fughe di colonne in cemento dipinte di rosso, cornice al blu brillante e al rosso corallo delle pareti, le pitture immaginifiche, i cui frammenti furono rielaborati e integrati con tecniche moderne, al fine di rendere reale la visione del sogno minoico