mercoledì 17 settembre 2025

Commento

 


             Morsi e Rimorsi




6 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

MORSI E RIMORSI
“Si narra che [Pirrone] due volte venne meno alla imperturbabilità. In una di queste, fu messo in agitazione dall’assalto di un cane arrabbiato, ed a chi lo rimproverò per non aver saputo mostrare e mantenere l’imperturbabilità, rispose che era «difficile spogliare completamente l’uomo».” E allora? Tu non eri un pirroniano di ferro? Io? Sì, tu. Io di questo Pirrone ho sentito parlare in maniera più particolare, soltanto quando ho letto il post del 16 settembre, “I sapienti nudi”. Prima, di Pirrone e dello Scetticismo filosofico avevo solo vaghe reminiscenze scolastiche. Sì, ma tu non hai mostrato sempre imperturbabilità anche nei momenti più difficili, le situazioni più avverse? Non mi ricordo. Io, invece, ricordo come tu, anche se non avevi ancora contezza di questa imperturbabilità di Pirrone, una volta mentre era in corso una scossa di terremoto e gli altri fuggivano, e devo dire in maniera anche sbalorditivamente goffa – nel senso che la loro goffaggine nel (credere di) mettersi in salvo con la fuga era sbalorditiva – rimanesti fermo e imperturbabile al tuo posto, mentre si sentivano vibrare e scollare i muri della casa. Forse tenesti questo comportamento, perché conoscevi il detto: di tragico si può morire, ma nel ridicolo si affoga. Sì, forse. O forse perché seguivi l’insegnamento di quel mago napoletano del secolo scorso, il quale raccomandava di rimanere imperturbabili nel corso dei terremoti e di fuggire soltanto quando uno vedeva cadere le case di fronte. Doveva trattarsi di un pirroniano ante litteram. Ma abbandoniamo il secolo scorso e quello di ventiquattro secoli orsono, e torniamo nel secolo ventunesimo. Eccoci qua. Allora ti ricordi quella volta? Quale volta? Quella volta in cui ti ho visto correre come un cane arrabbiato dietro il tuo simile. Non capisco. Inseguivi il tuo amico quadrupede che fuggiva, perché l’avevi morso? Amava la libertà, non era certo turbato da me. Su questo sono d’accordo. E allora? Lasciamo perdere queste amenità e parliamo dell’interpretazione che dà Giovanni Reale del vero pensiero di Pirrone. Va bene, ma cambiamo paragrafo, e direi anche registro. Sono d’accordo rimandiamo il discorso ai giorni seguenti. Prima, però, dobbiamo riprendere e chiudere il discorso su Epoché (ἐποχή), interrotto, causa la digressione su Pirrone, e rimasto incompleto nel post del 16 settembre, riproponendolo per intero. Inoltre, dobbiamo citare l’epigrafe di un commento sull’empirismo di Locke, già proposto negli anni scorsi, ma che verrà pubblicato di nuovo. Va bene.

Silvio Minieri ha detto...

EPOCHÉ (ἐποχή)

In filosofia, epoché è l'atto di “sospensione dell'assenso” o del “giudizio” che, secondo gli scettici, era necessario ad assicurare al saggio l'imperturbabilità (atarassia). [1]
Nel pensiero di Edmund Husserl (1859-1938), il mezzo per giungere all'atteggiamento filosofico, “ponendo tra parentesi” sia ciò che è soggettivo e psicologico, sia il dato oggettivo empirico.

Quel che vale per la geometria, come scienza eidetica, è comunque estensibile anche alla fenomenologia. Scrive Husserl: “Questo senso della scienza eidetica non è legato in maniera assoluta alla sfera dell’intuizione geometrica. Anche la fenomenologia pura è “pura” da tutti i fatti, anch’essa vuole essere esclusivamente scienza eidetica dei fenomeni: non scienza dei miei fenomeni casuali e neanche dei fenomeni come questi empirici fenomeni dell’io individuale, ma dei fenomeni in generale, in quella assoluta necessità e generalità, che deve essere tratta nell’intuizione eidetica sulla base di qualsiasi esempio singolare intuitivo.” E quindi specifica la differenza tra le due scienze: “Per essa [la fenomenologia] è caratteristica una doppia purezza: quella della riduzione trascendentale, che è assolutamente sua propria, e quella della intuizione eidetica, che essa ha in comune con la geometria.”
La riduzione trascendentale consiste nell’escludere metodicamente l'esistenza del mondo esterno (l'atteggiamento naturale e ogni posizione trascendente di realtà) per concentrarsi sull'immanenza e sui vissuti della soggettività pura. Attraverso l'epoché, sospensione del giudizio, si mette tra parentesi il mondo reale, rivelando l'ego trascendentale come fondamento della conoscenza, la cui essenza appartiene alla coscienza e non al mondo. Nel suo discorso, Husserl si rifà a Cartesio, peraltro per sottoporre a critica il suo Cogito: “Il metodo fenomenologico può essere inteso come modificazione, e perciò al tempo stesso come un ampliamento e una acutizzazione del metodo del dubbio cartesiano. Al dubbio (o meglio al tentativo di dubbio e di negazione), il fenomenologo sostituisce una sospensione del giudizio, che si arresta fermamente nell’ambito della sua scienza. E questo gli impedisce di porsi sul terreno di una qualche esperienza obiettiva e di utilizzare come premesse in maniera corrispondente un qualche teorema di una qualche scienza obiettiva, e di prendere una qualche posizione sulla loro verità o falsità. Per il fenomenologo non è importante dunque condurre il contrasto con lo scetticismo sino alla fine, come sempre egli può confutare la scienza obiettiva.”

Silvio Minieri ha detto...

Come per Cartesio, il fenomenologo non po' lasciare nessun dubbio onde fondare una scienza pura e rigorosa, una scienza assoluta, che se possibile si estenda su tutti gli altri ambiti della conoscenza. Egli sceglie come suo tema il campo, che si dà però in maniera assoluta dei fenomeni puri. L’ epoché, che sostituisce il dubbio cartesiano, riguarda tutto quello che oltrepassa questo campo, ovvero la realtà obiettiva trascendente la coscienza. Il metodo del dubbio di Cartesio non compiva alcune esclusione delle trascendenze obiettive. Ma ad un ego cogito, con il quale egli conclude in maniera troppo rapida, subentra ego mens sive animus sive intellectus, la personalità empirica, il soggetto di qualità caratteriali. Egli non sottopone l’anima, lo spirito nel senso naturale alla riduzione metodica, e così diviene comprensibile che Locke [2] e lo psicologismo empirico espressivo, fino al presente, interpretino l’evidenza del cogito o, come meglio si dovrebbe chiamare, l’evidenza sulla riflessione del cogito, come evidenza dell’esperienza psicologica di sé.” Coloro che compiono la riduzione fenomenologica dal lato della natura, dice Husserl, non si rendono conto che una tale riduzione deve essere compiuta anche dal lato dell’io. “Ogni coscienza può, ma non deve essere intesa in maniera psicologica. Se compio la riduzione fenomenologica radicale, ciò che rimane non è un nulla, bensì la piena esperienza vissuta come ciò che è in sé stesso.” E su questa ultima affermazione, su cui avremo modo di esprimerci in seguito, con un discorso più appropriato di quello presente, concludiamo la nostra sintesi su alcuni aspetti della fenomenologia, una sintesi ovviamente nozionistica in vista di un prossimo studio elaborato sul tema.
Quindi, se liberiamo la coscienza dai camerali e numerali, i fenomeni psichici del mio sé ed il mio io stesso, che cosa rimane? I numerali erano un’astrazione e successiva aritmetizzazione dei camerali. Per intenderci, l’aritmetizzazione è un procedimento che associa biunivocamente (uno con uno) i numeri naturali a ogni componente di un sistema formale, come simboli o formule. Nel nostro caso, i camerali, esperienze di un vissuto di vita scolastica e militare – ma basta andare in un’aula di tribunale, per vivere l’esperienza dei camerali, quando viene annunciato l’arrivo della Corte e tutti si alzano i piedi – nei numerali, devono essere associati biunivocamente ai numeri, diventando così numerali. Se poi operiamo la epoché, con la riduzione trascendentale, abbiamo l’esteriorizzazione del puro fenomeno in sé (la follia) dei camerali e numerali. In sostanza, ci siamo ripuliti la coscienza dai camerali e numerali, e questo non è poco.

Silvio Minieri ha detto...

[2] Quella delineata da Locke è un’identità personale mutevole e sfuggente, ma affinché questa identità personale dell’uomo non sfugga volatilizzandosi, come “ombre di nuvole che scorrono sui campi di grano”, è necessario coltivarla, per conservarne memoria, salvandola dall’oblio: “Le idee della nostra giovinezza, come i nostri figli, molte volte muoiono prima di noi. In ciò il nostro spirito somiglia a quelle tombe alle quali ci avviciniamo, si vedono il bronzo e il marmo, ma il tempo ha cancellato le iscrizioni, e le immagini cadono in polvere. Le immagini tracciate nel nostro spirito sono dipinte con colori che si dissolvono, e se non le dipingiamo di nuovo, svaniscono e scompaiono per sempre.” (John Locke, “Saggio sull’intelletto umano”, II, X, 5)

Silvio Minieri ha detto...

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Silvio Minieri ha detto...

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Sei stato così noioso da fare sbadigliare anche Asmodeino, il diavoletto.