I CAMERALI Stabilito quanto in premessa per il significato del termine, noi lo usiamo qui come aggettivo sostantivato, non nel suo possibile significato generico di membro della camera di appartenenza, e in tal caso i membri della Camera dei deputati sarebbero definibili come camerati, pardon! Volevo dire camerali, ma in quello speciale di una camera degli invisibili, inesistente nella realtà, ma esistente nella mia fantasia come fenomeno psichico. E così rivelo la mia attuale dipendenza di pensiero dal linguaggio fenomenologico, passando da Emanuele Severino a Edmund Husserl, ogni filosofo ha un suo linguaggio di pensiero, ma la filosofia rimane la stessa. È applicabile a tutti costoro la massima popolare: cambiano gli strumenti, cambiano i suonatori, ma la musica è sempre la stessa. E adesso suoniamo la musica dei camerali. Quando nella camera dei camerali entra il direttore della camera, il capo camerale, o il camerale più anziano, grida: “Camerali-in piedi!” E tutti i camerali scattano in piedi in posizione ritta. Il direttore sale in cattedra, fa un cenno al capo camerale, che grida: “Camerali sé-duti!” E tutti i camerali si siedono. Quindi il direttore della camera dà inizio alle attività camerali, consistenti nell’istruzione sulla vita camerale. La descritta scenetta appare come un dejà vu, per chi ha ricordi della vita militare o scolastica in regime militare, ma ho dovuto usare un linguaggio nuovo, seppure sulle note della stessa musica, per rendere in astratto il mio vissuto psichico coscienziale interiore, diverso da quello di ogni altra coscienza individuale, ognuna con il proprio particolare vissuto non conoscibile esteriormente. Per esempio, la scenetta da me descritta, l’ho ricavata da un mio ricordo di una scena del film: “Il maestro di Vigevano”, con Alberto Sordi. Il maestro elementare entra in classe, il capoclasse dà gli ordini: “In-piedi!” “Sé-duti!” e i ragazzi eseguono. Ma che senso ha inventarsi i camerali, se era sufficiente richiamare il film con Alberto Sordi, per poter un po' sorridere e divertirsi? È chiaro che per me i camerali, oltre al loro buffo essere inscenati, servivano ad esprimere alcune mie idee, ancora un po' confuse sulla fenomenologia, anche se per parte mia ho il sospetto che la confusione derivi proprio da questa come da altre filosofie, ecco perché parlo sempre di psichiatri e manicomi. E ne parlo nel senso che la filosofia mi fa impazzire? No, la filosofia è solo una consolazione, come già sapeva Boezio, e non vado avanti con questo discorso ora, ma mi riprometto di riproporlo in seguito. Adesso vorrei parlare dei cardinali. Eh, no! Non bastano i camerali? Adesso anche i camerlenghi! Ma no, che avete capito! Che abbiamo capito? I cardinali sono i numerali. I numeri cardinali, vuoi dire? Sì, però, in senso più generale. Allora, ne parliamo domani. Va bene.
I NUMERALI In linguistica, aggettivo, pronome o sostantivo che si riferisce a un numero. Più in particolare, si distinguono i numerali cardinali (zero, uno, due, tre...), che esprimono una quantità [...] (primo, secondo, terzo...) che esprimono un ordine. (Treccani) Noi usiamo il termine in maniera impropria rispetto a questo comune significato del suo lessico. Per noi, numerale è un fenomeno coscienziale, che nella particolarità e nel contesto del mio discorso, ispirato alla fenomenologia di Husserl, si coniuga con un termine da me precedentemente usato in analoga maniera impropria: camerale. E non escludo affatto che i camerali abbiano psichicamente generato i numerali, grazie a un processo associativo eidetico e di conseguenziale aritmetizzazione. Ma ora, affinché questo mio discorso, che divenendo sempre progressivamente più astratto, possa finire con l’apparire come insensato, privo di un senso, come dire di un significato apprendibile – è la osservazione clinica empatica dell’insensatezza dei segni linguistici e gestuali di corpi di esseri viventi nel mondo il campo proprio della psichiatria fenomenologica, se mi sembra di avere ben capito – e pertanto passo a spiegare quanto dico, con un linguaggio meno intento a inseguire costruzioni linguistiche, proprie di una logica simbolica, che privandosi del “diabolismo” dialettico riunisce nell’univocità di significato l’identità differenziata nella pluralità dei termini. Comincio dall’ultima proposizione incidentale, quella relativa all’insensatezza, in particolare quella gestuale, di esseri viventi nella nostra stessa sfera antropologica. Un esempio illuminante ci schiarirà le idee: ce l’avete presenti quegli individui, che rincorrono le telecamere, per appostarsi dietro le inquadrature di quei personaggi pubblici, che vengono intervistati appunto in pubblico, solitamente i politici dalle parti di Montecitorio, ma anche altrove, per fare smorfie e boccacce, a volte le corna, e altro genere di espressioni mimiche facciali, tipo storcere gli occhi e le labbra, oppure gesticolare per scimmiottare gli intervistatori. Ebbene, spesso il cameraman deve modificare le inquadrature per “tagliare fuori” le immagini e i gesti di questi anomali individui, e dico anomali nel senso che hanno modelli comportamentali “differenti dalla norma” degli altri.
Io ricordo di un giornalista televisivo scomparso, che diversi anni fa, alcuni decenni fa, recatosi a Parigi sugli Champs-Élysées, per realizzare delle interviste di cronaca politica, vistosi perseguitato anche all’estero dal capostipite di codesti disturbatori, interruppe la telecronaca, si voltò e aiutato da altri componenti della truppa scacciò a calci nel sedere l’importuno molestatore. Quindi, scusatosi con i telespettatori per l’inconveniente verificatosi, ritornò a svolgere più tranquillamente le sue interviste, senza ulteriori turbative. Ora io ho voluto indugiare su queste descrizioni di scenette abbastanza divertenti, nel senso che ci divertono, distraggono da altre forse più prolisse e noiose esposizioni dei fenomeni psichici della coscienza, inseguendo il discorso della coscienza pura, la fenomenologia pura, come vedremo, al fine di rappresentare in maniera visiva il pensiero critico della psichiatria fenomenologica. La critica alla tradizione dei luoghi di internamento e dei manicomi (vedi “La nave dei folli”) porta infatti a ritenere che non vi debbano essere dei recinti di emarginazione e discriminazione, isolando con un arbitrario confine il territorio della follia da quello contiguo della ragione. “Il metodo fenomenologico mette fuori gioco ogni posizione pregiudizievole, ogni distinzione normativa o teorica tra normale e patologico, si limita ad osservare e riconoscere il puro fenomeno della follia, la realtà della follia presa in sé stessa.” (E. Borgna, “Psichiatria fenomenologica”, Enciclopedia filosofica, Bompiani, 2010) Qui non possiamo dimenticare la celebre fotografia della linguaccia di Albert Einstein, quasi il simbolo di una certa contiguità tra genio e follia, un tema affrontato da Karl Jaspers nel suo studio psichiatrico su Strindberg e Van Gogh, Swedenborg e Hölderlin. In quest’opera (1922), l’autore esplora il legame tra la genialità e la malattia mentale, sostenendo che la genialità trascende l'opposizione tra normale e anormale. Jaspers suggerisce che l'elemento "demoniaco" o la forza creativa, quando si scatena nella malattia, può portare a manifestazioni estreme, ma che il processo patologico stesso non è la malattia. L'opera invita a considerare la condizione umana ai suoi limiti, in particolare i limiti della razionalità e della conoscenza, e come la creatività possa emergere anche in contesti di profonda sofferenza. (Segue)
[N. d. B.] Il termine da me coniato, “dia-bolismo”, suggeritomi dal suo opposto, “sim-bolismo”, si fonda sulla differenziazione dei prefissi rispetto alla comune radice. Nella lingua greca, il termine “symballein" συμβάλλειν, composto da syn (insieme) e ballein (gettare) significa “mettere insieme”, “unire”, da cui “simbolo”, (σύμβολον). Nell’antichità, il simbolo era “un mezzo di riconoscimento e di controllo, costituito da ognuna delle due parti ottenute spezzando irregolarmente in due un oggetto (per es. un pezzo di legno), che i discendenti di famiglie diverse conservavano come segno di reciproca amicizia” (Treccani). Al contrario,"diaballein" (διαβάλλειν), composto da δια, dia (attraverso) e ballein (gettare), significa “dividere”, “separare”, da cui diavolo, διάβολος (diábolos), "colui che divide", "accusatore" o "calunniatore". Per il filosofo Galimberti, il “simbolico” (symballein) rappresenta quel linguaggio indifferenziato, dal significato univoco, proprio del territorio del sacro, da cui si è storicamente evoluto il linguaggio della ragione differenziatrice (diaballein), in cui i termini assumono ognuno un loro autonomo significato. Alla luce di quanto detto, sorge l’interrogativo: quale significato ha il “differire” dell’uomo differito? "Uomo differito" non è un'espressione comune in italiano, ma se si intendesse l'aggettivo "differito" applicato a "uomo", si potrebbe riferire a una persona il cui appuntamento, consegna o azione è stato rimandato o spostato nel tempo. L'aggettivo "differito" significa appunto "rimandato", "rinviato" o spostato più avanti nel tempo. IA. Cara Intelligenza Artificiale, capisco bene che l’espressione, titolo e tema del mio libro malriuscito, e che prima di morire devo rivedere, non è comune in italiano. Ma io, sulla scia dello stile di Totò, “io mi domando e dico”: avrebbe mai potuto esserlo? E devo riprendere il passo dell’uomo differito, in cui il protagonista fa le smorfie, proprio come quei soggetti, che più sopra mi sono divertito a dileggiare.
LA CATTURA DI LAFLEUR Accadde ad Aquila! Il ricordo ora mi appare nitido. Correvo a perdifiato (fuggivo?) lungo la statale deserta, quando fui affiancato da un'autovettura bianca station wagon. Il giovane al volante si sporse dal finestrino, guardando alternativamente la strada davanti a sé e me che correvo nella sua stessa direzione sul ciglio della corsia opposta: "Dove vai?" domandò con un leggero sorriso. "Indivìnalo un po’!" risposi affannato e con riso ebete. L'altro rise. Quindi con tono serio disse rivolgendosi ad un uomo più anziano seduto dietro di lui: "Lancia!" Si voltò verso di me, quasi per misurare il passo della mia corsa, poi di nuovo indietro: “Adesso!” esortò con determinazione. Rallentai di colpo, l'automobile mi sorpassò, ma subito frenò e mi affiancò di nuovo. Io ripresi a correre velocemente e feci un verso con la bocca, mostrando la lingua al guidatore, che mi guardava con un leggero sconcertato sorriso. "Dove vai?" disse. Tentava un colloquio, ma io continuavo a fare smorfie con la bocca. E tenevo d'occhio l'uomo, il cranio lucido e la corona semicircolare bianca dei capelli, seduto dietro al giovane. "Ora?" domandò. L'autista accennò di sì col capo. Io correvo, correvo. L'automobile era sempre al mio fianco. "Vai!" ingiunse l'uomo anziano seduto dietro, rivolto ad una terza persona, seduta al suo fianco. "Ehi!" mi gridò il guidatore. Capii che cercava di attirare la mia attenzione, per distrarmi. Ed infatti scorsi il busto della terza persona seduta dietro sporgere al di sopra del tettuccio dell'automobile. Muoveva le braccia in circolo verso l'alto: stava facendo roteare una corda, agitandola come un lazzo al di sopra della sua testa. Abbassai istintivamente il capo ed accelerai all'impazzata. Dovevo raggiungere la curva, per mettermi in salvo. Mi stavano dando la caccia! Correvo e non vedevo più l'automobile alla mia destra, dall'altro lato della strada. Dovevo averla distanziata. Ero prossimo alla curva. Correvo, correvo come un pazzo. Pazzo, pazzo Lafleur! Sentii come uno schiocco e fui investito da tutte le parti da un cordame che mi piovve dall'alto. Rotolai per terra impigliato nella rete. Maledetti! Sopravvenne una buia luce: avevo perso i sensi.
LA NAVE DEI FOLLI "Un nuovo oggetto fa la sua apparizione nel paesaggio immaginario del Rinascimento; ben presto occuperà in esso un posto privilegiato: è la "Nave dei folli", strano battello ubriaco che fila lungo i fiumi della Renania e i canali fiamminghi. Il Narrenschiff è evidentemente una creazione letteraria, presa in prestito dal vecchio ciclo degli Argonauti, che ha recentemente ripreso vita e gioventù. [...] È di moda immaginare queste navi, il cui equipaggio di eroi immaginari, di modelli etici o di tipi sociali s'imbarca per un gran viaggio simbolico, che fornisce loro se non la fortuna, almeno la fisionomia del loro destino o della loro verità. [...] Ma di tutti questi vascelli romanzeschi o satirici, il Narrenschiff è il solo che abbia avuto un'esistenza reale, perché sono esistiti questi battelli che trasportavano il loro carico insensato da una città all'altra. I folli allora avevano spesso un'esistenza vagabonda. Volentieri le città li cacciavano dalle loro cerchie. […] Accadeva spesso che venissero affidati a battellieri […] Talvolta i marinai gettavano a terra questi passeggeri scomodi ancor prima di quando avevano promesso […] Non è facile ricuperare il significato preciso di questa usanza. Si può pensare che si tratti di una misura generale di rinvio con cui le municipalità colpiscono i folli in stato di vagabondaggio; ipotesi che non può chiarire i fatti da sola […] Il fatto è che questa circolazione di folli, il gesto che li scaccia, la loro partenza e il loro imbarco non possono venire spiegati solo con l’utilità sociale o con la sicurezza dei cittadini. Altri significati più vicini al rito erano certamente presenti ed è ancora possibile decifrarne alcune tracce. È per questo che l’accesso alle chiese è vietato ai folli […] Accadeva che certi insensati fossero frustati pubblicamente e che durante una specie di giuoco fossero poi inseguiti in una corsa simulata e cacciati dalla città a colpi di verga. Tutte prove che la partenza dei pazzi si inscriveva nel numero di altri esili rituali.” Michel Foucault: “Storia della follia nell’età classica.”
‘Kde domov muj’? ‘Dov’è la mia patria?’ Non è un inno di guerra, non auspica la rovina di nessuno, canta senza retorica il paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, le pianure e le betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i piccoli ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra, è stato bello difendere questa terra, bello amare la nostra patria (Milena Jesenskà)
Copenaghen
Bruxelles Louiza
“Dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una prodigiosa marionetta realizzata dalla divinità, per gioco o per uno scopo serio, questo non lo sappiamo." (Platone, Leggi, 1, 644e)
7 commenti:
I CAMERALI
Stabilito quanto in premessa per il significato del termine, noi lo usiamo qui come aggettivo sostantivato, non nel suo possibile significato generico di membro della camera di appartenenza, e in tal caso i membri della Camera dei deputati sarebbero definibili come camerati, pardon! Volevo dire camerali, ma in quello speciale di una camera degli invisibili, inesistente nella realtà, ma esistente nella mia fantasia come fenomeno psichico. E così rivelo la mia attuale dipendenza di pensiero dal linguaggio fenomenologico, passando da Emanuele Severino a Edmund Husserl, ogni filosofo ha un suo linguaggio di pensiero, ma la filosofia rimane la stessa. È applicabile a tutti costoro la massima popolare: cambiano gli strumenti, cambiano i suonatori, ma la musica è sempre la stessa. E adesso suoniamo la musica dei camerali.
Quando nella camera dei camerali entra il direttore della camera, il capo camerale, o il camerale più anziano, grida: “Camerali-in piedi!” E tutti i camerali scattano in piedi in posizione ritta. Il direttore sale in cattedra, fa un cenno al capo camerale, che grida: “Camerali sé-duti!” E tutti i camerali si siedono. Quindi il direttore della camera dà inizio alle attività camerali, consistenti nell’istruzione sulla vita camerale.
La descritta scenetta appare come un dejà vu, per chi ha ricordi della vita militare o scolastica in regime militare, ma ho dovuto usare un linguaggio nuovo, seppure sulle note della stessa musica, per rendere in astratto il mio vissuto psichico coscienziale interiore, diverso da quello di ogni altra coscienza individuale, ognuna con il proprio particolare vissuto non conoscibile esteriormente.
Per esempio, la scenetta da me descritta, l’ho ricavata da un mio ricordo di una scena del film: “Il maestro di Vigevano”, con Alberto Sordi. Il maestro elementare entra in classe, il capoclasse dà gli ordini: “In-piedi!” “Sé-duti!” e i ragazzi eseguono.
Ma che senso ha inventarsi i camerali, se era sufficiente richiamare il film con Alberto Sordi, per poter un po' sorridere e divertirsi? È chiaro che per me i camerali, oltre al loro buffo essere inscenati, servivano ad esprimere alcune mie idee, ancora un po' confuse sulla fenomenologia, anche se per parte mia ho il sospetto che la confusione derivi proprio da questa come da altre filosofie, ecco perché parlo sempre di psichiatri e manicomi. E ne parlo nel senso che la filosofia mi fa impazzire? No, la filosofia è solo una consolazione, come già sapeva Boezio, e non vado avanti con questo discorso ora, ma mi riprometto di riproporlo in seguito. Adesso vorrei parlare dei cardinali. Eh, no! Non bastano i camerali? Adesso anche i camerlenghi! Ma no, che avete capito! Che abbiamo capito? I cardinali sono i numerali. I numeri cardinali, vuoi dire? Sì, però, in senso più generale. Allora, ne parliamo domani. Va bene.
I NUMERALI
In linguistica, aggettivo, pronome o sostantivo che si riferisce a un numero. Più in particolare, si distinguono i numerali cardinali (zero, uno, due, tre...), che esprimono una quantità [...] (primo, secondo, terzo...) che esprimono un ordine. (Treccani)
Noi usiamo il termine in maniera impropria rispetto a questo comune significato del suo lessico. Per noi, numerale è un fenomeno coscienziale, che nella particolarità e nel contesto del mio discorso, ispirato alla fenomenologia di Husserl, si coniuga con un termine da me precedentemente usato in analoga maniera impropria: camerale. E non escludo affatto che i camerali abbiano psichicamente generato i numerali, grazie a un processo associativo eidetico e di conseguenziale aritmetizzazione. Ma ora, affinché questo mio discorso, che divenendo sempre progressivamente più astratto, possa finire con l’apparire come insensato, privo di un senso, come dire di un significato apprendibile – è la osservazione clinica empatica dell’insensatezza dei segni linguistici e gestuali di corpi di esseri viventi nel mondo il campo proprio della psichiatria fenomenologica, se mi sembra di avere ben capito – e pertanto passo a spiegare quanto dico, con un linguaggio meno intento a inseguire costruzioni linguistiche, proprie di una logica simbolica, che privandosi del “diabolismo” dialettico riunisce nell’univocità di significato l’identità differenziata nella pluralità dei termini. Comincio dall’ultima proposizione incidentale, quella relativa all’insensatezza, in particolare quella gestuale, di esseri viventi nella nostra stessa sfera antropologica. Un esempio illuminante ci schiarirà le idee: ce l’avete presenti quegli individui, che rincorrono le telecamere, per appostarsi dietro le inquadrature di quei personaggi pubblici, che vengono intervistati appunto in pubblico, solitamente i politici dalle parti di Montecitorio, ma anche altrove, per fare smorfie e boccacce, a volte le corna, e altro genere di espressioni mimiche facciali, tipo storcere gli occhi e le labbra, oppure gesticolare per scimmiottare gli intervistatori. Ebbene, spesso il cameraman deve modificare le inquadrature per “tagliare fuori” le immagini e i gesti di questi anomali individui, e dico anomali nel senso che hanno modelli comportamentali “differenti dalla norma” degli altri.
Io ricordo di un giornalista televisivo scomparso, che diversi anni fa, alcuni decenni fa, recatosi a Parigi sugli Champs-Élysées, per realizzare delle interviste di cronaca politica, vistosi perseguitato anche all’estero dal capostipite di codesti disturbatori, interruppe la telecronaca, si voltò e aiutato da altri componenti della truppa scacciò a calci nel sedere l’importuno molestatore. Quindi, scusatosi con i telespettatori per l’inconveniente verificatosi, ritornò a svolgere più tranquillamente le sue interviste, senza ulteriori turbative.
Ora io ho voluto indugiare su queste descrizioni di scenette abbastanza divertenti, nel senso che ci divertono, distraggono da altre forse più prolisse e noiose esposizioni dei fenomeni psichici della coscienza, inseguendo il discorso della coscienza pura, la fenomenologia pura, come vedremo, al fine di rappresentare in maniera visiva il pensiero critico della psichiatria fenomenologica. La critica alla tradizione dei luoghi di internamento e dei manicomi (vedi “La nave dei folli”) porta infatti a ritenere che non vi debbano essere dei recinti di emarginazione e discriminazione, isolando con un arbitrario confine il territorio della follia da quello contiguo della ragione.
“Il metodo fenomenologico mette fuori gioco ogni posizione pregiudizievole, ogni distinzione normativa o teorica tra normale e patologico, si limita ad osservare e riconoscere il puro fenomeno della follia, la realtà della follia presa in sé stessa.”
(E. Borgna, “Psichiatria fenomenologica”, Enciclopedia filosofica, Bompiani, 2010)
Qui non possiamo dimenticare la celebre fotografia della linguaccia di Albert Einstein, quasi il simbolo di una certa contiguità tra genio e follia, un tema affrontato da Karl Jaspers nel suo studio psichiatrico su Strindberg e Van Gogh, Swedenborg e Hölderlin.
In quest’opera (1922), l’autore esplora il legame tra la genialità e la malattia mentale, sostenendo che la genialità trascende l'opposizione tra normale e anormale. Jaspers suggerisce che l'elemento "demoniaco" o la forza creativa, quando si scatena nella malattia, può portare a manifestazioni estreme, ma che il processo patologico stesso non è la malattia. L'opera invita a considerare la condizione umana ai suoi limiti, in particolare i limiti della razionalità e della conoscenza, e come la creatività possa emergere anche in contesti di profonda sofferenza.
(Segue)
[N. d. B.]
Il termine da me coniato, “dia-bolismo”, suggeritomi dal suo opposto, “sim-bolismo”, si fonda sulla differenziazione dei prefissi rispetto alla comune radice. Nella lingua greca, il termine “symballein" συμβάλλειν, composto da syn (insieme) e ballein (gettare) significa “mettere insieme”, “unire”, da cui “simbolo”, (σύμβολον). Nell’antichità, il simbolo era “un mezzo di riconoscimento e di controllo, costituito da ognuna delle due parti ottenute spezzando irregolarmente in due un oggetto (per es. un pezzo di legno), che i discendenti di famiglie diverse conservavano come segno di reciproca amicizia” (Treccani). Al contrario,"diaballein" (διαβάλλειν), composto da δια, dia (attraverso) e ballein (gettare), significa “dividere”, “separare”, da cui diavolo, διάβολος (diábolos), "colui che divide", "accusatore" o "calunniatore".
Per il filosofo Galimberti, il “simbolico” (symballein) rappresenta quel linguaggio indifferenziato, dal significato univoco, proprio del territorio del sacro, da cui si è storicamente evoluto il linguaggio della ragione differenziatrice (diaballein), in cui i termini assumono ognuno un loro autonomo significato.
Alla luce di quanto detto, sorge l’interrogativo: quale significato ha il “differire” dell’uomo differito? "Uomo differito" non è un'espressione comune in italiano, ma se si intendesse l'aggettivo "differito" applicato a "uomo", si potrebbe riferire a una persona il cui appuntamento, consegna o azione è stato rimandato o spostato nel tempo. L'aggettivo "differito" significa appunto "rimandato", "rinviato" o spostato più avanti nel tempo. IA.
Cara Intelligenza Artificiale, capisco bene che l’espressione, titolo e tema del mio libro malriuscito, e che prima di morire devo rivedere, non è comune in italiano. Ma io, sulla scia dello stile di Totò, “io mi domando e dico”: avrebbe mai potuto esserlo? E devo riprendere il passo dell’uomo differito, in cui il protagonista fa le smorfie, proprio come quei soggetti, che più sopra mi sono divertito a dileggiare.
LA CATTURA DI LAFLEUR
Accadde ad Aquila! Il ricordo ora mi appare nitido. Correvo a perdifiato (fuggivo?) lungo la statale deserta, quando fui affiancato da un'autovettura bianca station wagon. Il giovane al volante si sporse dal finestrino, guardando alternativamente la strada davanti a sé e me che correvo nella sua stessa direzione sul ciglio della corsia opposta: "Dove vai?" domandò con un leggero sorriso. "Indivìnalo un po’!" risposi affannato e con riso ebete. L'altro rise. Quindi con tono serio disse rivolgendosi ad un uomo più anziano seduto dietro di lui: "Lancia!" Si voltò verso di me, quasi per misurare il passo della mia corsa, poi di nuovo indietro: “Adesso!” esortò con determinazione. Rallentai di colpo, l'automobile mi sorpassò, ma subito frenò e mi affiancò di nuovo. Io ripresi a correre velocemente e feci un verso con la bocca, mostrando la lingua al guidatore, che mi guardava con un leggero sconcertato sorriso.
"Dove vai?" disse. Tentava un colloquio, ma io continuavo a fare smorfie con la bocca. E tenevo d'occhio l'uomo, il cranio lucido e la corona semicircolare bianca dei capelli, seduto dietro al giovane. "Ora?" domandò. L'autista accennò di sì col capo. Io correvo, correvo. L'automobile era sempre al mio fianco. "Vai!" ingiunse l'uomo anziano seduto dietro, rivolto ad una terza persona, seduta al suo fianco. "Ehi!" mi gridò il guidatore. Capii che cercava di attirare la mia attenzione, per distrarmi. Ed infatti scorsi il busto della terza persona seduta dietro sporgere al di sopra del tettuccio dell'automobile. Muoveva le braccia in circolo verso l'alto: stava facendo roteare una corda, agitandola come un lazzo al di sopra della sua testa. Abbassai istintivamente il capo ed accelerai all'impazzata. Dovevo raggiungere la curva, per mettermi in salvo. Mi stavano dando la caccia! Correvo e non vedevo più l'automobile alla mia destra, dall'altro lato della strada. Dovevo averla distanziata. Ero prossimo alla curva. Correvo, correvo come un pazzo. Pazzo, pazzo Lafleur! Sentii come uno schiocco e fui investito da tutte le parti da un cordame che mi piovve dall'alto. Rotolai per terra impigliato nella rete. Maledetti! Sopravvenne una buia luce: avevo perso i sensi.
LA NAVE DEI FOLLI
"Un nuovo oggetto fa la sua apparizione nel paesaggio immaginario del Rinascimento; ben presto occuperà in esso un posto privilegiato: è la "Nave dei folli", strano battello ubriaco che fila lungo i fiumi della Renania e i canali fiamminghi.
Il Narrenschiff è evidentemente una creazione letteraria, presa in prestito dal vecchio ciclo degli Argonauti, che ha recentemente ripreso vita e gioventù. [...] È di moda immaginare queste navi, il cui equipaggio di eroi immaginari, di modelli etici o di tipi sociali s'imbarca per un gran viaggio simbolico, che fornisce loro se non la fortuna, almeno la fisionomia del loro destino o della loro verità. [...] Ma di tutti questi vascelli romanzeschi o satirici, il Narrenschiff è il solo che abbia avuto un'esistenza reale, perché sono esistiti questi battelli che trasportavano il loro carico insensato da una città all'altra. I folli allora avevano spesso un'esistenza vagabonda. Volentieri le città li cacciavano dalle loro cerchie. […] Accadeva spesso che venissero affidati a battellieri […] Talvolta i marinai gettavano a terra questi passeggeri scomodi ancor prima di quando avevano promesso […] Non è facile ricuperare il significato preciso di questa usanza. Si può pensare che si tratti di una misura generale di rinvio con cui le municipalità colpiscono i folli in stato di vagabondaggio; ipotesi che non può chiarire i fatti da sola […] Il fatto è che questa circolazione di folli, il gesto che li scaccia, la loro partenza e il loro imbarco non possono venire spiegati solo con l’utilità sociale o con la sicurezza dei cittadini. Altri significati più vicini al rito erano certamente presenti ed è ancora possibile decifrarne alcune tracce. È per questo che l’accesso alle chiese è vietato ai folli […] Accadeva che certi insensati fossero frustati pubblicamente e che durante una specie di giuoco fossero poi inseguiti in una corsa simulata e cacciati dalla città a colpi di verga. Tutte prove che la partenza dei pazzi si inscriveva nel numero di altri esili rituali.” Michel Foucault: “Storia della follia nell’età classica.”
L’ANGOLO DEI GIOCHI
ULTIMA CATENA
ANGOLO
ACUTO
SESTO
SABATO
VILLAGGIO
ELETTRONICO
DISPOSITIVO
SENTENZA
MASSIMA
MINIMA
TEMPERATURA
ACQUA
CO … E
ELETTRICITÀ
Quale parola collega ACQUA con ELETTRICITÀ? Non è Corrente? E allora qual è? Indivìnala un po'. Ti diverti, eh? Ciao, a domani. Il vostro Lafleur.
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