[N. d. B.] Pubblico un frammento del racconto “Il pedone e la regina”, a suo tempo scritto in forma di mimi, ispirato a un mio soggiorno nella città di Budapest.
Pronuncia “superiore” di parole e dialogo tra due non tanto ignari burattini manovrati dall’alto della loggia della cupola della cattedrale di Santo Stefano
- Ma chi sono quei due buffi individui, seduti al tavolino del caffè laggiù in piazza? - Eccellenza, sono due mie creature letterarie. - Sì, li teniamo d’occhio da un po’ di tempo: Teseo e Ariannìo, mi sembra che si chiamino. - Traseo Nera e Decio Livio, eccellenza. - Sì, loro, quei due, stanno sempre ridicolmente insieme, fanno coppia; e da un bel pezzo, direi, continuano ad annoiarci con i loro discorsi insipienti e inconcludenti, usando peraltro un linguaggio spesso ridondante ed a volte anche ambiguamente irrispettoso. - Signor inviato celeste, la prego di scusare la loro ignoranza: quando essi parlano di “divino” e “divinità” usano sempre i termini in senso pagano, riferendosi agli dèi mitologici; d’altronde nel cielo non continuano ancora a volare questi theoi, divini, pianeti erranti? - Sì, mio caro Mercurio, ho capito l’antifona, però questa loro insistenza incomincia a dare fastidio più in alto, capisci? - Certo, ha ragione, signor inviato celeste… - E smettila di chiamarmi “signor inviato celeste” o “eccellenza”: non siamo mica in un film di Fantozzi! Fai la figura di una che copia, no? - Certo, ha ragione, ma come… - Come chiamarmi? Non mi devi proprio chiamare, Mercurio! Non ti fare vedere o sentire più, tu e quelle tue due buffe creature, hai capito? - Sì, signore. - Va bene, volo via. - Oh! (Che i…b…ci…le!) … - Decio Livio, hai sentito? - Eh? - “Che imbecille!” - Ehi, come ti permetti? - Eh? - Imbecille, moderiamo i termini! - Ma che dici, Decio Livio? Hai forse il bastone del comando, il baculum, lo scettro? - No, perché? - Perché chi è senza baculum, l’insegna del comando, è in-baculum, im-becille. - Ah! - Il “nostro” è stato detronizzato. - Chi, Nera? Spiegati meglio. - Chi è il nostro “soggetto”, Decio Livio? Il sub-jectum (quello che sta sotto), il fondamento, la nostra sostanza (sub-stratum), quello strato permanente, senza il quale noi non potremmo neppure esistere, perché è soltanto grazie al suo permanere (essere sostanza) che noi esistiamo nel nostro continuo divenire, oggi qua, domani là. Senza la sostanza noi svaniremmo nel nulla della pura accidentalità, non sei d’accordo, Decio Livio? - Certo, aristotelico, Nera. Ma questo sub-strato, che tu dici, dove sta? Sotto di noi non vedo niente. - Non sta sotto, compare (compariello, spalla del primo buffone). Sta lassù in alto, non lo vedi? - Dove? - Sulla loggia della cupola della cattedrale di Santo Stefano, di fronte a noi. Là! - Ah! - Veste un pantalone nocciola chiaro, la maglietta “Lacoste” verde oliva, occhiali da sole polaroid, e si muove tra i turisti, un ingiustificato mezzo sorriso (sub-ridere) tra le labbra. - Non solo “imbecille”, anche vanitoso! - Ed ironico, non ti pare? - Come? - È lui che si descrive così, attraverso il sotterfugio di noi sue creature che raccontiamo di lui, nostro creatore. - Ah, già! - Però… - Sì, Nera? - Secondo me, lui l’insulto deve averlo lanciato (sussurrato) contro il suo cielo (super-io?). - E gli è ricaduto addosso. - Raggiungendo anche noi, per colpa di questo presuntuoso Adamo. - Come?
- Niente, un’altra volta su questi argomenti, Decio Livio; adesso è d’uopo, ed anche in fretta, a scanso di ulteriori, diciamo, “inconvenienti”, risolvere la storia del pedone e la regina, risalendo ab initio al “fioraio”, alla “dama” probabile, poi divenuta certa e splendente di una bellezza matura e intramontabile, al “signor procuratore”, al “telefonista” e ad altri “paradigmi” o “personaggi” con le loro storie umane e tragiche, anche fosche (vedi “l’imputato clinicamente morto”). - Riassumiamo, dunque, Nera. - Vedi quelle macchie di sole sul selciato della piazza, Decio Livio? - Sì, il sole è uscito dall’ombra nerastra delle nuvole, che incupiva il cielo ed ingrigiva l’aria. - La penombra che abbiamo dovuto attraversare, tanto per citare Proust. - E ritroviamo le maschere scolorite del tempo perduto. - Quel teatrino, dove si muovono come burattini, alla nostra stessa maniera, peraltro, tutti i personaggi della storia del pedone e la regina. - Racconta la trama della storia, dunque, Nera, e finiamola una volta per tutte. - Certo, amico Livio. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, un giovane ufficiale degli ussari, speranza di un luminoso futuro di questa terra mitteleuropea, inviato a Parigi, conquista (forse) il cuore di una nobile dama di origine balcanica dalla bellezza irraggiungibile, nello sfondo della sua figura, il romantico fascino di una sofferta e misteriosa storia di vedova di un politico italiano. Rientra poi il giovane dal brillante avvenire nella sua patria, attraversata e scossa da lotte politiche ed azioni militari, integrandosi nei quadri del regime, dove percorre tutti i gradi della carriera giudiziaria e politica, nel privato un solido matrimonio ed una vita familiare di felice crescita, comunque sempre lambita dagli avvenimenti pubblici del suo paese. Trenta o quaranta anni dopo, ma conta il tempo? quell’antico amore si ripresenta, alloggiando nelle chiuse stanze di una sede diplomatica. La nobildonna, te lo assicuro, Decio Livio, mantiene tutta intatta la bellezza di un tempo, certo più matura, l’eleganza, la regalità, il fascino… - Traseo Nera? - Eh? - Forse, sei tu il “pedone” e lei, questa donna dal fascino intramontabile, la “regina”. - Non confondiamo i piani di due storie fantastiche, Decio Livio, la nostra e quella che raccontiamo. - Traseo Nera, siamo tutti personaggi irreali e immaginari, manovrati dall’alto della loggia, che si affaccia dalla cupola della cattedrale lì di fronte a noi, mossi dalla fantasia di quel soggetto là, un substrato, sostanza e coscienza delle nostre figure… ma dove è andato a finire? - Dobbiamo finire il racconto, Decio Livio. - Senza di lui? - Comunque sia. - In mente dei historia mundi scripta est. - Non omnibus hominibus antiqua fabula licet.
IMMAGINE La Basilica di Santo Stefano, in ungherese Szent István-Bazilika, è una basilica cattolica situata nel centro di Budapest. In un primo momento l’edificio doveva essere intitolato a San Leopoldo, patrono d’Austria, ma all’ultimo minuto vennero cambiati i piani, e la chiesa è stata battezzata con il nome di Stefano, il primo re d’Ungheria, la cui presunta mano destra si trova nel reliquiario della basilica. Oggi, la Basilica di Santo Stefano è la terza chiesa più grande del paese. Molti scultori hanno contribuito alla decorazione interna della Basilica di Santo Stefano: oltre 50 tipi diversi di marmo decorano la chiesa con numerose sculture. Alla pari con il Palazzo del Parlamento ungherese, con i suoi 96 metri la Basilica è uno dei due edifici più alti di Budapest. Questa parità simboleggiava ai tempi l’uguaglianza fra l’importanza del potere laico e del potere spirituale in città. https://www.budapest.org/cosa-vedere-budapest/basilica-santo-stefano/
‘Kde domov muj’? ‘Dov’è la mia patria?’ Non è un inno di guerra, non auspica la rovina di nessuno, canta senza retorica il paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, le pianure e le betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i piccoli ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra, è stato bello difendere questa terra, bello amare la nostra patria (Milena Jesenskà)
Copenaghen
Bruxelles Louiza
“Dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una prodigiosa marionetta realizzata dalla divinità, per gioco o per uno scopo serio, questo non lo sappiamo." (Platone, Leggi, 1, 644e)
4 commenti:
[N. d. B.]
Pubblico un frammento del racconto “Il pedone e la regina”, a suo tempo scritto in forma di mimi, ispirato a un mio soggiorno nella città di Budapest.
SANTO STEFANO
Pronuncia “superiore” di parole e dialogo tra due non tanto ignari burattini manovrati dall’alto della loggia della cupola della cattedrale di Santo Stefano
- Ma chi sono quei due buffi individui, seduti al tavolino del caffè laggiù in piazza?
- Eccellenza, sono due mie creature letterarie.
- Sì, li teniamo d’occhio da un po’ di tempo: Teseo e Ariannìo, mi sembra che si chiamino.
- Traseo Nera e Decio Livio, eccellenza.
- Sì, loro, quei due, stanno sempre ridicolmente insieme, fanno coppia; e da un bel pezzo, direi, continuano ad annoiarci con i loro discorsi insipienti e inconcludenti, usando peraltro un linguaggio spesso ridondante ed a volte anche ambiguamente irrispettoso.
- Signor inviato celeste, la prego di scusare la loro ignoranza: quando essi parlano di “divino” e “divinità” usano sempre i termini in senso pagano, riferendosi agli dèi mitologici; d’altronde nel cielo non continuano ancora a volare questi theoi, divini, pianeti erranti?
- Sì, mio caro Mercurio, ho capito l’antifona, però questa loro insistenza incomincia a dare fastidio più in alto, capisci?
- Certo, ha ragione, signor inviato celeste…
- E smettila di chiamarmi “signor inviato celeste” o “eccellenza”: non siamo mica in un film di Fantozzi! Fai la figura di una che copia, no?
- Certo, ha ragione, ma come…
- Come chiamarmi? Non mi devi proprio chiamare, Mercurio! Non ti fare vedere o sentire più, tu e quelle tue due buffe creature, hai capito?
- Sì, signore.
- Va bene, volo via.
- Oh! (Che i…b…ci…le!)
…
- Decio Livio, hai sentito?
- Eh?
- “Che imbecille!”
- Ehi, come ti permetti?
- Eh?
- Imbecille, moderiamo i termini!
- Ma che dici, Decio Livio? Hai forse il bastone del comando, il baculum, lo scettro?
- No, perché?
- Perché chi è senza baculum, l’insegna del comando, è in-baculum, im-becille.
- Ah!
- Il “nostro” è stato detronizzato.
- Chi, Nera? Spiegati meglio.
- Chi è il nostro “soggetto”, Decio Livio? Il sub-jectum (quello che sta sotto), il fondamento, la nostra sostanza (sub-stratum), quello strato permanente, senza il quale noi non potremmo neppure esistere, perché è soltanto grazie al suo permanere (essere sostanza) che noi esistiamo nel nostro continuo divenire, oggi qua, domani là. Senza la sostanza noi svaniremmo nel nulla della pura accidentalità, non sei d’accordo, Decio Livio?
- Certo, aristotelico, Nera. Ma questo sub-strato, che tu dici, dove sta? Sotto di noi non vedo niente.
- Non sta sotto, compare (compariello, spalla del primo buffone). Sta lassù in alto, non lo vedi?
- Dove?
- Sulla loggia della cupola della cattedrale di Santo Stefano, di fronte a noi. Là!
- Ah!
- Veste un pantalone nocciola chiaro, la maglietta “Lacoste” verde oliva, occhiali da sole polaroid, e si muove tra i turisti, un ingiustificato mezzo sorriso (sub-ridere) tra le labbra.
- Non solo “imbecille”, anche vanitoso!
- Ed ironico, non ti pare?
- Come?
- È lui che si descrive così, attraverso il sotterfugio di noi sue creature che raccontiamo di lui, nostro creatore.
- Ah, già!
- Però…
- Sì, Nera?
- Secondo me, lui l’insulto deve averlo lanciato (sussurrato) contro il suo cielo (super-io?).
- E gli è ricaduto addosso.
- Raggiungendo anche noi, per colpa di questo presuntuoso Adamo.
- Come?
- Niente, un’altra volta su questi argomenti, Decio Livio; adesso è d’uopo, ed anche in fretta, a scanso di ulteriori, diciamo, “inconvenienti”, risolvere la storia del pedone e la regina, risalendo ab initio al “fioraio”, alla “dama” probabile, poi divenuta certa e splendente di una bellezza matura e intramontabile, al “signor procuratore”, al “telefonista” e ad altri “paradigmi” o “personaggi” con le loro storie umane e tragiche, anche fosche (vedi “l’imputato clinicamente morto”).
- Riassumiamo, dunque, Nera.
- Vedi quelle macchie di sole sul selciato della piazza, Decio Livio?
- Sì, il sole è uscito dall’ombra nerastra delle nuvole, che incupiva il cielo ed ingrigiva l’aria.
- La penombra che abbiamo dovuto attraversare, tanto per citare Proust.
- E ritroviamo le maschere scolorite del tempo perduto.
- Quel teatrino, dove si muovono come burattini, alla nostra stessa maniera, peraltro, tutti i personaggi della storia del pedone e la regina.
- Racconta la trama della storia, dunque, Nera, e finiamola una volta per tutte.
- Certo, amico Livio. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, un giovane ufficiale degli ussari, speranza di un luminoso futuro di questa terra mitteleuropea, inviato a Parigi, conquista (forse) il cuore di una nobile dama di origine balcanica dalla bellezza irraggiungibile, nello sfondo della sua figura, il romantico fascino di una sofferta e misteriosa storia di vedova di un politico italiano. Rientra poi il giovane dal brillante avvenire nella sua patria, attraversata e scossa da lotte politiche ed azioni militari, integrandosi nei quadri del regime, dove percorre tutti i gradi della carriera giudiziaria e politica, nel privato un solido matrimonio ed una vita familiare di felice crescita, comunque sempre lambita dagli avvenimenti pubblici del suo paese. Trenta o quaranta anni dopo, ma conta il tempo? quell’antico amore si ripresenta, alloggiando nelle chiuse stanze di una sede diplomatica. La nobildonna, te lo assicuro, Decio Livio, mantiene tutta intatta la bellezza di un tempo, certo più matura, l’eleganza, la regalità, il fascino…
- Traseo Nera?
- Eh?
- Forse, sei tu il “pedone” e lei, questa donna dal fascino intramontabile, la “regina”.
- Non confondiamo i piani di due storie fantastiche, Decio Livio, la nostra e quella che raccontiamo.
- Traseo Nera, siamo tutti personaggi irreali e immaginari, manovrati dall’alto della loggia, che si affaccia dalla cupola della cattedrale lì di fronte a noi, mossi dalla fantasia di quel soggetto là, un substrato, sostanza e coscienza delle nostre figure… ma dove è andato a finire?
- Dobbiamo finire il racconto, Decio Livio.
- Senza di lui?
- Comunque sia.
- In mente dei historia mundi scripta est.
- Non omnibus hominibus antiqua fabula licet.
IMMAGINE
La Basilica di Santo Stefano, in ungherese Szent István-Bazilika, è una basilica cattolica situata nel centro di Budapest. In un primo momento l’edificio doveva essere intitolato a San Leopoldo, patrono d’Austria, ma all’ultimo minuto vennero cambiati i piani, e la chiesa è stata battezzata con il nome di Stefano, il primo re d’Ungheria, la cui presunta mano destra si trova nel reliquiario della basilica. Oggi, la Basilica di Santo Stefano è la terza chiesa più grande del paese. Molti scultori hanno contribuito alla decorazione interna della Basilica di Santo Stefano: oltre 50 tipi diversi di marmo decorano la chiesa con numerose sculture. Alla pari con il Palazzo del Parlamento ungherese, con i suoi 96 metri la Basilica è uno dei due edifici più alti di Budapest. Questa parità simboleggiava ai tempi l’uguaglianza fra l’importanza del potere laico e del potere spirituale in città.
https://www.budapest.org/cosa-vedere-budapest/basilica-santo-stefano/
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