lunedì 20 maggio 2024

Filosofia

     

                  Il sacrificio




5 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

IL SACRIFICIO
Per Hegel, la condanna contro Socrate fu giusta, perché egli ponendo il vero nell’interiorità della propria coscienza entrò in contrasto con i valori etici di giustizia e verità dei suoi concittadini. “Il popolo ateniese aveva dunque non solo il diritto, ma anche il dovere di reagire secondo le leggi: infatti esso considerò il nuovo principio come un crimine. Questa è in generale nella storia universale la posizione degli eroi, che schiudono un mondo nuovo, il cui principio è in contrasto con quello fino allora vigente e lo dissolve: essi appaiono violenti offensori delle leggi. Individualmente, quindi, incontrano la rovina, ma la pena distrugge soltanto l’individuo, non il principio, e lo spirito del popolo ateniese non si è mai più riavuto dal superamento del suo principio. La forma illegittima dell’individualità viene cancellata e violentemente con una pena, ma il principio più avanti si farà strada, sebbene sotto altro aspetto, e si innalzerà fino a diventare una forma dello spirito universale. Questo modo universale, in cui il nuovo principio si affaccia e sotterra il precedente, è il vero.” Quindi, per Hegel, “gli Ateniesi hanno veduto giusto, allorché ritennero che questo principio non fosse già mera opinione o dottrina, ma fosse propriamente destinato a distruggere direttamente, come nemico, la realtà dello spirito greco, e agirono in conformità a questo principio. Quindi, il corso delle vicende di Socrate non è casuale, ma sin dal principio condizionato necessariamente [da questo conflitto].”
(Hegel, “Lezioni sulla storia della filosofia”, 1825-26)
In un momento di grande crisi e cambiamento nella vita sociale di una comunità, interviene sempre la vicenda di un uomo che interpreta e anticipa con la sua condotta quel cambiamento, fino al sacrificio della propria vita. È quello che accadde a Socrate, come bene messo in rilievo da Hegel. E bisogna aggiungere che con la sua morte, la figura di Socrate nobilita ed illumina in retrospettiva tutta la sua vita, dando valore alla voce della sua coscienza in contrasto con la volontà e le leggi della sua comunità. In questa morte, Nietzsche intravede, e senz’altro a ragione, un sacrificio di sé, con la particolare interpretazione del Socrate malato grave di quella vita razionale e virtuosa, che nascondeva una volontà di morte, come rivelano le sue ultime parole: “Critone, ricordati che dobbiamo un gallo ad Asclepio.” [1]

[1] Cfr. “Il gallo e la morte” [La gaia scienza, 340]

Silvio Minieri ha detto...

Nella storia del genere umano, Dio ha inviato sulla terra il Figlio, che con il suo sacrificio, l’Agnello, ha redento il genere umano dal peccato originale. La vita e la morte del Nazareno ha spezzato in due il corso della storia e del tempo, imprimendo una svolta nell’intero corso della civiltà occidentale. Questo intervento divino nella storia dell’uomo, con la rivoluzione che ha comportato, non è sfuggito a un laico come Benedetto Croce, che ne ha dato ragione nel suo saggio: “Perché non possiamo non dirci cristiani” (1942). E quando Nietzsche scrive “l’Anticristo”, le sue caustiche osservazioni sul cristianesimo, non poteva certo ignorare la portata dell’avvenimento. Allora il suo annuncio, “Dio è morto”, sta a significare che con la discesa di Zarathustra dal monte si sono spezzare le antiche tavole, la legge mosaica, e dettate delle nuove. Ma perché questa nuova religione del Superuomo, il superare e andare oltre l’Uomo (Übermensch) potesse affermarsi, era necessario il sacrificio. E questo Nietzsche lo avvertiva benissimo. E siccome il grande avvenimento epocale nella storia dell’uomo era avvenuto con la discesa di Cristo in Terra e l’affermarsi del Cristianesimo, ed il conseguente sacrificio del Dio Uomo, la coscienza di Nietzsche, avvertendo il pericolo di lasciarsi assorbire dall’avvenimento, di cui aveva decretato la fine, entrava in conflitto con sé stessa, la sua Ombra, nella terminologia junghiana. Commentando lo “Zarathustra”, che consiste nella dottrina del Superuomo, Jung si sofferma sui versetti dove Nietzsche parla del sacrificio: “Fratelli miei, chi è una primizia viene sempre sacrificato. Ora, anche noi siamo primizie. Noi tutti sanguiniamo su mense segrete di sacrifizi, noi tutti bruciamo arrostiti in onore di vecchi simulacri.” Che cosa sta dicendo Nietzsche? Interviene a chiarirlo, nel dibattito dei “Seminari” (Sessione invernale 1939, Terza Conferenza), la signora Jung: “Dato che ha spezzato le vecchie tavole e ha stabilito una nuova legge, Nietzsche è al tempo stesso la primizia e la vittima di questa nuova legge.” Questo, per Jung, è chiaro, ma egli intende approfondire il testo, onde cogliere il passaggio consequenziale tra questa idea del sacrificio e la dottrina del Superuomo, l’idea del ponte, del superamento dell’uomo. Nella Quarta Conferenza dell’8 febbraio 1939, Jung pone il quesito: “Come arriva Nietzsche all’idea della primizia? A che cosa, o chi, si sta chiaramente riferendo con questa immagine?” – Signorina Hannah: “All’Agnello cristiano.” – Professor Jung: “Sì, allo stesso Cristo, che è la primizia tra i morti, der erste der Toten, l’Agnello pasquale che viene sacrificato in primavera.” L’espressione “il primo dei morti”, der erste der Toten, Jung la riprende da San Paolo, (“Lettera ai Colossesi”, I, 18), dove Cristo è definito “il primogenito di coloro che resuscitano dai morti”. Quindi, Jung incalza gli interlocutori sul testo di Nietzsche, e risponde la signora Brunner: “Egli predica a sé stesso il superamento di sé stesso, ma si rende conto che non è in grado di assolvere il compito, perciò è risucchiato indietro nell’atteggiamento cristiano.” – Professor Jung: “Quel che dice è a un passo dalla verità.” E più avanti la verità la trova in un’altra risposta. Signor Bash: “Nietzsche è il primo profeta del Superuomo, ma non è il Superuomo, non sarà mai in grado di esserlo; perdipiù sente che egli stesso deve venire superato, che non è lui ad avere il comando, ma anzi deve essere sacrificato al vero Superuomo di là da venire.” – Professor Jung: “Lei ha assolutamente ragione, e ha centrato il punto decisivo, individuando la questione del ricercare la colpa e le sofferenze. Si tratta di un ragionamento in tutto e per tutto cristiano.” [2]

Silvio Minieri ha detto...

Nella sua disamina del testo dello Zarathustra, e quindi della psiche di Nietzsche, Jung evidenzia come quest’ultimo eviti sempre di dire in che maniera debba avvenire il superamento, in quanto dovrebbe spiegare la differenza tra lo scavalcare d’un salto e il superare: “Invece, appena sfiorata la questione, si mette a correre come se avesse appena toccato un ferro incandescente.” [3]
È la spiegazione di Jung, secondo la sua dottrina della psicologia dell’Inconscio, del conflitto psichico di Nietzsche con la sua Ombra, che peraltro attraversa tutto il testo dello Zarathustra: “Dall’inizio alla fine del libro il problema è proprio questo […] L’Ombra è la figura dominante, e ora l’Ombra sta strisciando verso di lui, si sta approssimando sempre di più: è la sua funzione inferiore, la sensazione. La realtà effettiva gli è sempre più vicina, si appressa furtivamente, foriera di una minaccia terribile e suscitando una paura tremenda. E quanto più si appressa, tanto più Nietzsche spicca salti verso l’alto […] Nel corso dello “Zarathustra”, egli sembra confrontarsi con l’Ombra parecchie volte; la sua mente, o la sua psiche, sembra funzionare come quella di tutti gli altri. Vi sono sempre dei tentativi di risolvere il problema. Poi però balza di nuovo via e non affronta la questione in modo adeguato; le cose si fanno difficili e comincia e comincia vituperare e rimuovere … insultando coloro che sono inferiori e di livello infimo.”
In tale quadro, il conflitto interiore psichico di Nietzsche, tra ragione e istinto – “l’Ombra non è altro che lui” – vanno ricondotte le sue invettive contro Socrate – plebaglia, pulcinella, pagliaccio – quale simbolo della ragione e razionalità dell’intera storia del pensiero e del corso della civiltà occidentale.
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[2] Questo sentimento inconscio – la ricerca della sofferenza e la colpa propria del cristianesimo, rimosso e portato alla luce dall’analisi di Jung, – costituisce il conflitto con il contrastante ragionare cosciente, la condanna della condotta di vita cristiana: “Muoiano i deboli e gli infermi: primo principio del nostro amore per l’uomo. Bisogna, anzi, aiutarli a sparire. Qual è il vizio più nocivo d i qualsiasi altro vizio? La pietà dell'azione verso gli infermi e i deboli: il cristianesimo. […] Vi è nei più disparati angoli della terra, e a partire dalle più diverse civiltà, un continuo successo di casi isolati, attraverso i quali si manifesta di fatto un tipo superiore: un qualcosa che in rapporto all’umanità nel suo insieme è una sorta di Superuomo. […] Il cristianesimo ha condotto una guerra senza quartiere contro questo superiore tipo umano.” (“L’Anticristo”, 2-5)

[3] Rinviamo ad altra sede uno studio più attento delle riflessioni di Jung sul pensiero di Nietzsche, attinenti al tema del superamento e degli uomini superiori.

Silvio Minieri ha detto...

IMMAGINE
Un agnello con bandiera cristiana, tipico simbolo dell'Agnus Dei.

Silvio Minieri ha detto...

Secondo la ripartizione in nove tetralogie dei dialoghi platonici del grammatico Trasillo, la prima è formata dai dialoghi della giovinezza: “Eutifrone”, “Apologia”, “Critone” e “Fedone”. In questi dialoghi, si è sostenuto che Platone abbia riportato fedelmente il pensiero e la figura del Socrate storico; ma a parere di molti critici, per lo stile dei contenuti, il “Fedone” appartiene ad epoca posteriore, quella in cui prevale il pensiero di Platone. In tale ottica, il gallo dovuto ad Asclepio, più che l’ultima frase del Socrate storico, è il sigillo platonico alla dottrina dell’immortalità dell’anima e del suo destino dopo la morte.
Ora, non si può fare a meno di notare come un tale pensiero costituisca il cuore della metafisica occidentale, quel modo platonico-cristiano, di cui il detto di Nietzsche annuncia la fine: “Dio è morto”. Ecco perché egli si scandalizza della frase del Socrate morente, un’offerta di gratitudine al dio della salute e della rinascita.
Ma quello che noi volevamo intravedere in quest’offerta, oltre l’enigma della morte, era l’immagine del gallo, quella che proietta la sua ombra su un’altra morte ancora più alta e nobile, divina: “Prima che il gallo canti”. Che cosa annuncia quel canto?
Il grido notturno del gallo che annuncia l’alba, nell’ora buia della notte, non desta i dormienti, che di quello stridulo grido avvertono soltanto una smorzata eco al loro risveglio. Forse chi sente il gallo cantare nel cuore della notte è l’insonne che aspetta l’alba, il condannato a morte, il mortale.
“Mortali, destatevi. Non siete ancora liberi dalla vita.” Ecco il monito di risveglio del gallo mattutino. “Verrà tempo, che niuna forza di fuori, niuno intrinseco movimento, vi riscoterà dalla quiete del sonno; ma in quella sempre e insaziabilmente riposerete. Per ora non vi è concessa la morte: solo di tratto in tratto vi è consentita per qualche spazio di tempo una somiglianza di quella.” Così Leopardi, “Cantico del gallo silvestre”.