mercoledì 6 dicembre 2023

Filosofia


                                Teologia cosmica



3 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

LA TEOLOGIA DI ARISTOTELE

Nel libro XII della Metafisica, cercando la causa del movimento dei cieli, Aristotele risale fino al principio (arché) del pensare (noesis), il Movente Immobile, l’intelligenza divina, quella che muove il primo cielo nel suo eterno moto circolare. “C’è qualcosa che sempre si muove di moto continuo, e questo è il moto circolare (e ciò è evidente non solo col ragionamento, ma anche come dato di fatto); cosicché il primo cielo deve essere eterno.” (XII,7,1072a)
Per intendere quest’affermazione, bisogna rifarsi alle convinzioni cosmologiche degli antichi, che dall’osservazione del cielo formularono determinate “leggi”, in base al movimento degli “astri”, costituendo quella scienza detta appunto “astronomia”. Su tutti prevalse il modello geocentrico di Tolomeo e Aristotele, perché basato su una visione del mondo di più diretta derivazione dai nostri sensi. Il mondo aristotelico-tolemaico era pensato come qualitativamente differenziato in due zone cosmiche: quella superiore perfetta, costituita dai cieli, sette, quello dei pianeti, compresi sole e luna, più il primo cielo delle stelle fisse; questa parte del cosmo è composta di Etere, elemento divino, perenne e incorruttibile, che rende possibile il movimento circolare uniforme ed eterno delle sfere celesti. La parte inferiore del cosmo, il c.d. mondo sublunare, è formata dai quattro elementi di Terra, Acqua, Aria e Fuoco, dotati di un moto rettilineo dal basso verso l’alto o viceversa, e soggetta a processi di generazione e corruzione. L’insieme del cosmo era pertanto formato da sostanze sensibili, quelle celesti eterne e incorruttibili, le altre del mondo sublunare finite e corruttibili.
Ora, vediamo come Aristotele abbia guadagnato l’elemento intellegibile, partendo dalle sostanze sensibili. Intanto, poniamoci la domanda su che cosa debba intendersi per “sostanza”, domanda ineludibile per il filosofo stesso. “E in verità, ciò che dai tempi antichi, così come ora e sempre costituisce l’eterno oggetto di ricerca e l’eterno problema “che cosa è l’essere” equivale a questo: “che cosa è la sostanza”. (VII,1, 1028b) Essere (einai) come sostanza (ousìa) è il problema da discutere.
I primi Fisici indicavano in vari elementi naturali la causa materiale di formazione dell’Universo: “La maggior parte di coloro che per primi filosofarono pensarono che principi di tutte le cose fossero solo quelli materiali. Infatti, essi affermano che ciò di cui tutti gli esseri sono costituiti e ciò da cui derivano originariamente e in cui essi si risolvono da ultimo, è elemento ed è principio degli esseri, in quanto è una realtà che permane identica pur nel trasmutarsi delle sue affezioni.” (I, 3,983b) Non è un discorso, che può essere accettato da Aristotele, e quindi si può capire una sua valutazione, in un certo modo positiva, del pensiero di Anassagora, che per primo parlò dell’Intelligenza (vous): “Perciò chi disse che, come negli animali, anche nella natura c’è un’Intelligenza, causa dell’ordine e dell’armonica distribuzione di ogni cosa, sembrò il solo filosofo assennato.” (I, 3,984b)
Per Aristotele, ragionando sulle quattro cause, materiale, formale, finale ed efficiente, le cose in natura, come un albero, oppure per l’attività umana, ad es. una casa, sono effetto di una composizione di materia e forma, e di esse sono causa efficiente il costruttore per la casa, causa finale la crescita per l’albero. Inoltre, l’Universo è eterno e non generato per opera di un Demiurgo, come racconta Platone nel “Timeo”, che però dichiara il suo un racconto verosimile. Ed è proprio ragionando sulla causa finale (alcuni parlano anche di causa efficiente) che Aristotele risale al Principio primo e supremo, il Movente Immobile del Primo Cielo.
La sua dimostrazione viene esposta essenzialmente nel libro XII della “Metafisica” e presuppone argomenti trattati nella “Fisica” e nel “De caelo”.

Silvio Minieri ha detto...

Oltre alle due sostanze sensibili, l’una eterna, quella dei cieli, e l’altra corruttibile, quella del mondo sublunare, la cui esistenza veniva ammessa da tutti, esiste una terza sostanza immobile e separata, a differenza delle altre due: “Le prime due specie di sostanze costituiscono l’oggetto della fisica, perché sono soggette a movimento; la terza è invece oggetto di un’altra scienza.” (XII,1,1069b) Quest’altra scienza è stata chiamata da Aristotele “filosofia prima” o anche “teologia”. La fisica è “conoscenza teoretica di quel genere d’essere che ha potenza di muoversi e della sostanza secondo la forma, ma in prevalenza considerata come non separabile dalla materia.” (VI,1,1025b) Questa affermazione deve intendersi in relazione alle sostanze composte di materia e forma, quindi non separabili e soggette a movimento dalla potenzialità all’atto. Alcuni, i Naturalisti, ritengono che esiste solo questa sostanza sensibile; altri, i Platonici, parlarono di Forme separate, le Idee, che comunque per Aristotele devono ritenersi esistenti nella materia, in cui le vediamo sempre in atto. In questo senso le idee appartengono al nostro pensiero e non fanno parte di una realtà a sé stante. “Ma se esiste qualcosa di eterno, immobile e separato – continua Aristotele – è evidente che la conoscenza di esso spetterà certamente a una scienza teoretica, ma non alla fisica, perché questa si occupa di esseri in movimento.” (VI,1, 1025b) Aristotele non parla di “metafisica”, un termine dato dai successori al suo trattato, ma nomina “filosofia prima” o “teologia” una tale scienza teoretica, in quanto se esiste una sostanza eterna, immobile e separata, “in essa dovrà consistere anche il divino e dovrà essere anche il Principio primo e supremo.” (XI,7,1064a)
Resta da dimostrare l’esistenza della sostanza soprasensibile: “Poiché si è detto che le sostanze sono tre, due fisiche ed una immobile, ebbene dobbiamo parlare di questa e dobbiamo dimostrare che necessariamente esiste una sostanza eterna ed immobile.” (XII,6,1071b)
Siccome le sostanze hanno la priorità su tutti i modi di essere, se fossero corruttibili, non esisterebbe nulla d’incorruttibile, come invece certamente sono il movimento e il tempo, che è movimento o una sua caratteristica. Essendoci un “prima” e un “poi”, esiste anche il tempo, che ha una durata ciclica e quindi eterna. Per la mentalità greca non esisteva un tempo lineare con un inizio e una fine, Platone parla del tempo come immagine mobile dell’eternità. Per spiegare l’esistenza del tempo eterno ossia di un movimento continuo e incorruttibile, quello circolare e perfetto del primo cielo, è necessario supporre una causa che lo muova, per Aristotele la causa finale, nel senso dello scopo o fine verso cui tende il movimento: “Pertanto c’è anche qualcosa che muove. E poiché ciò che è mosso e muove è un termine intermedio, deve esserci, per conseguenza, qualcosa che muove senza essere mosso e che sia sostanza eterna ed atto.” (XII,7,1072a) Ora il muovere senza muoversi è possibile soltanto in un modo, dice Aristotele: “E in questo modo muovono l’oggetto del desiderio e dell’intelligenza: muovono senza essere mossi.” Ed è sempre lo stesso oggetto; infatti oggetto del desiderio e del pensiero è sempre il bello, che prima viene conosciuto e poi desiderato e non il contrario, in quanto il principio è il pensiero (voesis), inteso quest’ultimo come facoltà intellettiva. L’intelletto (vous) è mosso dall’intelligibile. La sostanza è il primo nell’ordine degli intelligibili che sono intelligibili secondo sé stessi e tra le sostanze è prima quella semplice ed in atto. Ed essendo anche il bello e il desiderabile nella serie degli intellegibili, ciò che viene primo è l’ottimo (ariston). Quindi, il movente immobile muove come oggetto di amore, mentre tutte le altre cose muovono essendo mosse. (XII,7, ibidem)

Silvio Minieri ha detto...

La felice condizione di Dio, che all’uomo tocca soltanto qualche volta, è l’attività contemplativa, la “theoria”, il puro pensare. Non essendo l’uomo puro pensiero, non coincidendo in lui potenzialità ed atto, il suo vivere non coincide con il puro pensare. Questo avviene in Dio. Così continua Aristotele: “Egli è anche vita, perché l’attività dell’intelligenza è vita, ed Egli è appunto quest’attività. L’attività che di per sé gli è propria è vita ottima ed eterna. Diciamo infatti che Dio è vivente, eterno e ottimo, cosicché a Dio appartiene una vita e un tempo continuo ed eterno: questo, dunque, è Dio.” (XII, 7, ibidem)
Il pensiero di Aristotele è chiaro, Dio non è solo intelligenza pensante, ma anche vivente, proprio perché la sua vita è intelligenza. Questa conclusione rispecchia bene la sentenza di Parmenide: “to gar autò noein estin te kai einai”, essere è lo stesso che pensare, dove l’Essere è l’unica realtà, il sentiero non illusorio, l’unico percorribile in contrapposizione al Nulla. E nel pensiero vivente, la pura teoria, il mortale raggiunge il vertice del divino, come appare anche nell’immagine sublime del Bello di Platone: “È questo il momento della vita, o caro Socrate – disse la straniera di Mantinea – che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un uomo, ossia il momento in cui un uomo contempla il Bello in sé.” E non è una vita da poco quella di un uomo che contemplando il Bello, rimane legato ad esso, perché costui “guardando la bellezza solamente con ciò con cui è visibile, partorirà non già pure immagini di virtù, dal momento che non si accosta ad una pura immagine del Bello, ma partorirà virtù vere, dal momento che si accosta al Bello vero.” Qui il Bello si rivela come il Vero, infatti così conclude il suo discorso Diotima: “E non credi che coltivando e generando virtù vera, sarà caro agli dèi, e sarà, se mai lo fu un altro uomo, egli pure immortale?” (Simposio, 212a) Nella visione idealizzata dell’Eros si realizza l’essenza della filosofia di Platone, la tensione verso il Bene, che corrisponde all’orexis, il desiderio, di cui parla Aristotele soprattutto nell’Etica Nicomachea. È un “luogo” fondamentale della cultura greca, un tema che merita un discorso a parte.
Per lo Stagirita, l’esistenza di Dio, Atto puro, trascendente la sostanza sensibile, è fuori di dubbio: “È evidente, dunque, da quello che è stato detto, che esiste una sostanza immobile, eterna e separata dalle cose sensibili.” (XII,7, 1073a)
Spiegare il movimento del primo cielo e degli altri cieli, prospettando una loro animazione intrinseca, allo stesso modo degli animali, senza necessità dell’esistenza di un Movente Immobile fu l’ipotesi poi abbandonata di Teofrasto, il successore di Aristotele nella direzione del Peripato. È quanto rileva Giovanni Reale nella sua “Storia della filosofia”, che commenta: “[L’ipotesi] già così come viene formulata è assai eloquente, perché insinua l’idea che un’anima immanente al mondo basti a spiegare i movimenti cosmici.”
(Segue)