domenica 7 gennaio 2024

Meccanica quantistica

                     


         

        La fisica delle particelle





4 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

[N. d. B.]
Questo scritto sui principi della meccanica quantistica è la riproduzione abbastanza fedele, tranne qualche aggiunta, di parte di una conferenza, “Fisica delle particelle”, di Carlo Rubbia, Nobel 1984 per la fisica, rintracciabile su youtube. Ho espunto l’esempio delle barche dal testo, per dargli un particolare rilievo, in ragione anche dello spunto che offre come ispirazione per le storielline amene di cui si diletta il nostro amato Blogger, cioè io. E se io scrivo io di me, non sono io, ma me, peraltro come altro da me. Spieghiamo un’altra volta il me come altro da me, così come il sé altro da sé, vale a dire “il sé come un altro” (Ricoeur). Questa piccola aggiunta finale serve un po' per rincuorare il virtuale lettore che lui proprio la fisica quantistica… Comunque, parlavo di me come lettore di un testo, di cui sono il copista. E per stamattina abbiamo già detto quanto basta ed è già un po' troppo.

Silvio Minieri ha detto...

LA FISICA DELLE PARTICELLE
La prima legge di Keplero, formulata nel 1609, afferma che «L'orbita descritta da un pianeta è un'ellisse, di cui il Sole occupa uno dei due fuochi.» Per la meccanica celeste classica, la forza gravitazionale dei pianeti che ruotano attorno al Sole è inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Pertanto, quando la distanza tra il Sole e la Terra si dimezza, la forza di attrazione tra i due corpi celesti diventa quattro volte più grande. A somiglianza del modello planetario, il fisico neozelandese naturalizzato britannico, Ernest Rutherford, propose nel 1909 il suo modello atomico con delle caratteristiche rimaste anche in modelli successivi: la concentrazione della maggior parte della materia in un volume relativamente piccolo rispetto alle dimensioni atomiche, ossia un nucleo atomico, e la presenza di elettroni intorno ad esso. Rutherford non disse nulla sull'eventuale moto degli elettroni, anche perché sapeva che una loro rivoluzione intorno al nucleo avrebbe provocato l'emissione di onde elettromagnetiche. Tuttavia, a partire dalla sua descrizione, si prese a rappresentare l'atomo con il nucleo al centro e gli elettroni, cariche elettriche negative, in orbita attorno ad esso, come i pianeti del sistema solare attorno al Sole. Era ovvio che questo modello di atomo dovesse decadere, in quanto l’elettrone, nell’emettere radiazioni, perde energia e finisce per distruggersi, cadendo sul protone del nucleo.
A questo punto, si veniva affermando una nuova concezione della meccanica, in cui si operò una distinzione tra oggetti di grandi dimensioni e oggetti piccoli, per i quali non valevano più le leggi della meccanica classica. A stabilire la differenza esatta tra questi due insiemi di oggetti, intervenne il principio d'indeterminazione del 1927 di Werner Heisenberg, che stabilisce i limiti nella misurazione dei valori di grandezze fisiche. Da una parte c’erano i corpi fisici osservabili, ad es. i corpi celesti, dall’altra i corpuscoli non osservabili, gli elementi atomici e subatomici. Questi ultimi, per il principio di Heisenberg non sono esattamente determinabili, perché la loro osservazione ne altera lo stato. Se osserviamo i pianeti, non ne modifichiamo l’orbita, al contrario se osserviamo un elettrone, l’emissione di un solo fotone, un quanto di luce, proveniente dalla nostra vista ne altera lo stato preesistente alla nostra osservazione. Per comprendere un tale discorso, basta tenere presente che la massa della Terra misura kg 10^24, mentre quello di un protone kg 10^-27, l’elettrone kg 10^-31, e quindi il rapporto tra le massa del pianeta Terra e quella dell’elettrone è dato dalla differenza di 6 seguito da 54 zeri. La conseguenza è che osservando un elettrone, illuminandolo, si perturba lo stato, e non si può stabilire allo stesso tempo la posizione e la velocità dell’orbita. Ad es., se entro in una stanza buia, dove c’è un gatto, e andando a tastoni ne pesto la coda, non riesco a vedere dove è schizzato via, e quindi non conoscendo la nuova posizione, non posso misurarne la velocità di allontanamento. Pertanto, se si vuole misurare la posizione precisa dell’elettrone, non si può calcolare la velocità dell’orbita, non sapendo in quale nuova posizione si trova. Se invece si calcola con precisione la velocità dell’orbita, si perde la posizione.

Silvio Minieri ha detto...

Il ragionamento seguito da Heisenberg partiva da un'analisi fenomenologica della dualità onda/corpuscolo e dei processi di misura: considerando una sola dimensione spaziale x, definiamo Δ x come distanza caratteristica tra due punti alle opposte estremità di un pacchetto d'onda. In sostanza ∆x è l'errore con cui si conosce la posizione del corpuscolo associato all'onda, del quale si sa soltanto che sarà trovato all'interno del pacchetto d'onda, senza esattamente conoscere dove. Analogamente sia Δ p l'incertezza con cui si conosce la quantità di moto p=mv del corpuscolo di massa m e velocità v. Deve valere sempre la seguente relazione: Δ x Δ p ≥ ℏ/2 , dove ℏ è la costante di Planck divisa per 2π, detta acca tagliata. Il prodotto dell’errore di posizione e quello della velocità è dato da un numero, che non è un numero qualsiasi, ma quello della costante di Plank: h = 6,62618 x 10^-34 J x s. È detta anche quanto d’azione, un prodotto di energia in una unità di tempo, l’energia si misura in jaul e il tempo in secondi. Se il prodotto dell’energia per il tempo è superiore a 34 secondi, si ha una determinazione e precisione completa, propria di un sistema classico, riferito all’osservazione di oggetti grandi; se invece il prodotto è inferiore, questo è riferito a oggetti piccoli. In tal senso, la costante di Plank segna la differenza tra oggetti grandi e oggetti piccoli. Pertanto il sistema solare e il sistema atomico, seppure regolati da forze analoghe, hanno un comportamento diverso, dovuto alla diversità di dimensione degli oggetti, determinata dal valore della costante di Plank. Ora, questa differenza porta a una limitazione nell’osservabilità dei fenomeni fisici e a un’incertezza sostanziale nella determinazione del comportamento della materia, come nel caso dell’atomo. Questa caratteristica della meccanica quantistica, questa copertura del principio di indeterminazione fa sì che esistono dei fenomeni che non solo non sono osservabili, e potrebbe essere un fatto contingente, ma in quanto protetti dall’indeterminazione quantica, in linea di principio, non sono neppure concepibili, ovvero non esistono. Questo vuol dire che non esiste orbita nel senso classico, non esiste a priori il modello di Rutherford, con la perdita di forza energetica dell’elettrone per la radiazione elettromagnetica, perché questo contraddirebbe il principio di indeterminazione (come si fa ad affermare il modello di un fenomeno fisico non osservabile?) Quindi non si può parlare dell’orbita dell’atomo come si parla dell’orbita del pianeta Terra attorno al Sole. Esistono invece, grazie alla meccanica quantistica, una serie di livelli energetici predeterminati, tra i quali avvengono le transizioni quantiche, tutto un sistema nuovo, in particolare la presenza di un atomo stabile con un preciso valore energetico. Quindi abbiamo una situazione nuova, in cui accanto ai fenomeni reali abbiamo tutta un serie di fenomeni virtuali, che si trovano al di sotto del livello del principio di indeterminazione dell’energia, e avvengono di continuo e spontaneamente, aggiungendosi ai fenomeni osservabili. In tal senso la meccanica quantistica non produce una limitazione delle conoscenze, ma ne aggiunge altre, producendo un’espansione del sapere scientifico. E accade che fenomeni non spiegabili con la meccanica classica diventano possibili grazie alla meccanica quantistica, come ad esempio la soluzione di un problema fisico finora irrisolto: l’esistenza delle forze a distanza.

Silvio Minieri ha detto...

Noi sappiamo che nell’ambito delle forze gravitazionali, la forza di gravitazione, partendo dal Sole, attraversa lo spazio celeste, e cattura la Terra a 149.600.000 km di distanza. Come può accadere questo? Come può verificarsi questa azione a distanza nello spazio vuoto? Prima si parlava di etere, lo spazio non è vuoto, e questo elemento mediava la forza gravitazionale tra la Terra e il Sole. La teoria fu superata dagli esperimenti di Michelson e Morley (1887) e dalla relatività ristretta di Einstein, che dimostrarono l’inesistenza dell’etere. Che cosa allora determina l’azione a distanza? Grazie alla meccanica quantistica, sappiamo che esistono dei quanti virtuali, i gravitoni (non ancora scoperti), che scambiandosi tra loro determinano la forza gravitazionale. Lo stesso avviene nel caso del fenomeno elettrico: prendiamo due cariche elettriche una con carica positiva, l’altra negativa, mettiamole a distanza, allontaniamole, esse si attraggono nello spazio vuoto. Eppure stiamo parlando di un’azione a distanza, qual è il meccanismo di trasmissione della forza tra le due forze elettriche? Esistono quanti virtuali continuamente trasferiti tra le due cariche, e l’insieme di questi quanti virtuali, non visibili in ragione del principio di indeterminazione, costituiscono il mezzo di trasmissione della forza elettrica tra le due cariche.[1] La forza elettromagnetica non è altro che la trasmissione di flussi di fotoni virtuali. Noi non vediamo il flusso e la trasmissione di queste particelle elementari, gravitoni e fotoni, ma gli effetti risultanti ci dimostrano il fenomeno, come nel caso della forza gravitazionale, flusso di gravitoni tra il Sole e la Terra, che determina l’orbita del pianeta. Oggi sappiamo che accanto alle particelle elementari, esistono quattro grandi forze della natura. La forza gravitazionale ha due caratteristiche particolari: la grande distanza e la forza sempre attrattiva, mai repulsiva. La forza elettromagnetica agisce a breve distanza, attrattiva tra due cariche uguali, positive o negative, repulsiva tra due cariche opposte, ed è più forte della forza gravitazionale di 1 seguito da 42 zeri. Queste due forze le vediamo agire in natura: i pianeti che orbitano attorno al sole; la luce, in cui consiste la forza elettromagnetica, scambio di fotoni. Le altre due forze, la forza nucleare forte e la forza nucleare debole, agiscono all’interno dei nuclei della materia e sono state scoperte grazie agli effetti quantistici, e sono senza equivalenti nella meccanica classica. Oggi si parla anche di una forza elettrodebole, unificazione tra forza elettromagnetica e forza nucleare debole. Oltre alle quattro forze, esistono sicuramente altre ancora non scoperte, quali la materia oscura e l’energia come stato fondamentale della materia cosmica, energia intrinseca, la costante cosmologica dell’Universo.

[1] Per esempio, se prendo due barche e le voglio allontanare l’una dall’altra, posso immaginare una situazione in cui io prendo dei sassi da una barca e li butto sull’altra, l’altra barca riceve i sassi, rincula e si allontana. Quindi, due barche che viaggiano l’una accanto all’altra, se si lanciassero una certa quantità di sassi, si separerebbero l’una dall’altra. Nella meccanica quantistica, noi ci troviamo nella stessa situazione, in cui questi sassi ideali [particelle virtuali] non si vedono, perché coperti dal principio di indeterminazione. Noi non vediamo i sassi ideali, ma vediamo gli effetti risultanti, vediamo il risultato della forza elettrica tra le due cariche.