martedì 22 aprile 2025

Saggistica

          

         La propria coscienza

 


19 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

LA PROPRIA COSCIENZA
Commento al romanzo di John Steinbeck: "L'inverno del nostro scontento".

Con chi parliamo, quando parliamo con noi stessi? Con l’elemento divino che ci è proprio, chi non crede nel divino dice con la propria coscienza. La coscienza interiore, da un punto di vista filosofico, è la riflessione che apre all’azione. In questo senso, parlare di questione di coscienza significa parlare di etica, modo di comportarsi nella propria sfera privata e in quella pubblica. Il dibattito su una propria scelta, prima ancora che in pubblico, avviene nella sfera interiore della coscienza, dove siamo soli con noi stessi. Un parlare da soli, come monologo, e un aperto rivolgersi con discorsi a oggetti inanimati è uno dei fili conduttori della trama del romanzo dello scrittore americano John Steinbeck : “L’inverno del nostro scontento” (1961).
La storia si svolge a Long Island, il protagonista Ethan Hawley, discendente di una ricca famiglia di balenieri ridotta in povertà, fa il commesso in un negozio di alimentari. Sentendosi in colpa, per il basso livello di stato sociale, pur di raggiungere benessere e ricchezza, compie una serie di azioni moralmente riprovevoli e al limite della legalità
La sua condotta, riflessa nel confronto con la sua coscienza, alla fine lo porta quasi alle soglie del suicidio. E il confronto con sé stessi può avvenire soltanto quando si è soli. Ed è quello che pensa Ethan: “Commesso in un negozio di alimentari – il negozio di Marullo – un uomo con la moglie e due bei bambini. Quando è solo, quando può restar solo? Di giorno i clienti, la moglie e i ragazzini di sera, la moglie di notte, i clienti di giorno, la moglie e i ragazzini di sera. “Nel bagno, ecco quando” disse Ethan ad alta voce, e ora prima che io apra la serranda.” Nella vita quotidiana, familiare e lavorativa, l’unico momento di solitudine vera di Ethan è quello: “Oh, quel momento ombroso, muschioso, bene odorante, un poco sciocco sciamannato, adorabile. […] Qui non c’è nessuno, non c’è sensibilità da offendere. Soltanto io e il mio unimum unimorum fino a che… non apro la porta sulla strada, dannazione.” Ma prima di perdere il momento di intimità del tutti insieme con i suoi alimentari, fa la predica di Pasqua, ormai vicina: “Il grembiule era lungo, fino a mezzo stinco, levò la mano destra come tenendo un calice: – Sentitemi, voi pere in scatola e sottaceti e salamoie…” E segue la parodia di un breve sermone. Poi la solitudine termina, quando apre il negozio: “Alzò le tende verdi sulle grandi vetrine, dicendo: – Entra, giorno! Poi disserrò le porte sulla strada. – Entra, mondo! Spalancò le serrande di ferro e le fissò.” Poi inizia a spazzare con la scopa davanti al negozio, ma è un uomo diverso: “Il giorno di Ethan Allen Hawley, quieto, sommerso, interiore, era compiuto. L’uomo che spazzava il marciapiede mattutino con metronomici colpi di scopa non era l’uomo capace di fare il sermone alle merci in scatola, non l’uomo dell’unimum unimorum, e non lo scioccherello di quella mattina.” Il momento di solitudine è finito, ed Ethan vive la vita quotidiana di ogni giorno. Ha tempo per sé soltanto quando l’orario di lavoro è finito ed abbassa la serranda. Allora, può riprendere il dialogo con sé stesso, parlando agli alimenti negli scaffali, ma già si avverte la variazione, il proposito nuovo di cambiare vita.

Silvio Minieri ha detto...

“Nel silenzio abbuiato Ethan avvertì il ronzio del trasformatore della luce al neon, nel banco refrigerato. Lentamente si volse al suo pubblico ordinato in file e cataste sugli scaffali: - Credevo che foste amici miei! Non avete alzato un dito. Belle amiche, voi ostriche, begli amici, voi sottaceti, begli amici, voi budini. Niente più unimus per voi. Pensate che cosa direbbe San Francesco se un cane lo mordesse, se un uccello gliela facesse in testa. Direbbe: - Grazie, signor Cane, grazie tanto, signor Uccello?” Poco prima è passato Marullo, l’ha rimproverato, perché Ethan non economizza sugli scarti, e gli ha dato i suoi consigli; quando il padrone se n’è andato, viene visitato dalla concorrenza, Biggers, che gli fa balenare l’idea di corromperlo.
Il mattino seguente, Ethan si risveglia nel letto matrimoniale, dove la sua Mary gli dorme accanto, lontana nel sonno: “Oggi Marullo mi ha dato i suoi consigli, così per la prima volta ho capito, dal lato degli affari. Subito dopo, per la prima volta, mi hanno offerto la bustarella. Strano a dirsi, alla mia età, ma non ne ricordo altre.” Quella che descrive Steinbeck è l’America del business, gli affari, il dio denaro, l’etica del capitalismo. “Dicendo denaro, Mary intendeva tendine nuove, l’istruzione garantita per i ragazzi, tener la testa un poco più alta e soprattutto esser orgogliosa di me, anziché vergognarsene un po’, come aveva detto in un momento d’ira ed era vero. […] Io volevo il denaro? Beh, no. A una parte di me ripugnava fare il commesso di bottega. Nell’esercito arrivai a capitano, ma so io quel che mi portò al corso allievi ufficiali: la famiglia, le conoscenze. […] Marullo mi diceva la verità circa gli affari che sono un mezzo per far quattrini.”
Ethan tiene dei discorsi da solo, ma a chi sono rivolti questi discorsi? E quale il loro fine? “Spesso ho pensato come cambia il discorso, a seconda di chi ti ascolta. La peggior parte dei miei discorsi sono diretti a persone morte, come zia Deborah di Plymouth Rock, o il vecchio capitano. Mi scopro a discutere con costoro. Ricordo una volta, durante un combattimento stanco e polveroso, d’essermi rivolto al vecchio capitano. “Devo?” E lui mi rispose in maniera molto chiara: “Certo che devi, e non parlare a bassa voce.” Non discuteva mai. Disse solo che dovevo, e così feci. Non c’è nulla di misterioso o di mistico in questo. È un consiglio, una scusa che chiedi a quella parte interiore di te che è formata e sicura. In quanto al parlare puro e semplice, che è un altro modo di chiedere, vanno benissimo le merci in scatola o una bottiglia, mute o articolate, del negozio. E anche un animale, un uccello di passaggio, non discutono e non ribattono.” Il protagonista sembra distinguere tra un interrogativo di coscienza, alle ombre dei propri morti o altri fantasmi del passato, da cui si attende conferma dei propri propositi o decisioni immediate, e il discorso vero e proprio, non più come soliloquio, ma come manifestazione di pensiero a un muto uditorio di cose inanimate, gli alimentari allineati sugli scaffali, da cui non si attende interlocuzione.
Ed Ethan fa una vera e propria arringa agli alimentari del negozio, manifestando i suoi dubbi, i suoi scrupoli di coscienza: “E discussi la questione con i miei amici sugli scaffali, forse a voce alta, forse no, non lo so. “Cari soci”, dicevo, “se la cosa è tanto semplice, perché non si trova più gente che lo faccia? Perché tutti, o quasi, fanno sempre gli stessi sbagli, sempre, sempre. Dimenticano sempre qualcosa. Forse la vera debolezza di base sta in una qualche forma di bontà.

Silvio Minieri ha detto...

Marullo ha detto che il denaro non ha cuore. Non sarà dunque vero che qualsiasi bontà è debolezza, nell’uomo che vuol far soldi? Come si porta un buon uomo qualunque ad ammazzare il prossimo, in guerra? Beh, intanto giova che il nemico abbia una faccia diversa, che parli diverso, Ma la guerra civile, allora? Beh, i nordisti mangiavano i bambini, i sudisti facevano morire di fame i prigionieri. Questo serve. Fra un momento arrivo a voi, fette di barbabietole e funghetti in scatola. Lo so, volete che parli di voi, Lo vogliono tutti. Ma ci sono quasi… al nesso mentale, voglio dire. Se le leggi del pensiero sono anche le leggi delle cose, allora anche la morale è relativa, e il comportamento e il peccato… anche quello relativo, in un universo relativo. Deve essere così, Non se ne scampa, Nesso mentale. Voi fiocchi d’avena con la maschera di Topolino sulla scatola e quell’aggeggio ventriloquo a chi manda il coperchio e dieci centesimi, verrò anche da voi, ma per adesso statemi a sentire. Quel che ho detto a Mary scherzando è vero. I miei antenati, quei riveritissimi proprietari di navi e capitani, avevano le loro brave lettere di corsa per aggredire i mercantili, durante la Rivoluzione e poi ancora nel 1812. Assai patriottici e valorosi, ma per gli inglesi erano pirati, e quel che pigliavano se lo tenevano. Così cominciò la fortuna della famiglia, che fu poi persa da mio padre. Di lì venivano i soldi che fanno i soldi, Possiamo andarne orgogliosi.”
Ethan non ha finito il suo discorso, ma continua l’elogio del denaro rivolto a barattoli di conserva di pomodoro, che toglie da una scatola di cartone, presentando i nuovi ospiti alla comunità: “Vediamo un po', li mettiamo accanto a voi, salse piccanti. Date il benvenuto alla loro nuova casa a questi sottaceti, nati, tagliati e imbottigliati a New York. Stavo discutendo del denaro con questi miei amici.” Ethan sta finendo la storia dei suoi antenati e della sua famiglia, degli affari e commerci di guerra fraudolenti, narrandola a pomodori, salse piccanti, sottaceti, quindi conclude: “E quelli erano i soldi che fanno i soldi. Non importa come li fai, perché tu li faccia e li adoperi. Non che voglia fare il cinico, il nostro signore e padrone, quel Marullo d’antica prosapia romana ha ragione. Quando si tratta di soldi, le norme ordinarie della condotta vanno in vacanza. Perché parlo a voialtri? Forse perché voi siete gente discreta. Non andate a ripetere le mie parole, non spettegolate. Il denaro è argomento triviale e sgradevole solo quando ce l’hai. Al povero appare affascinante. Ma non sembra anche a voi, che se uno vuole interessarsi attivamente del denaro, deve saper qualcosa della sua natura, del suo carattere, delle sue tendenze? Temo che pochissimi uomini – e sono grandi artisti oppure poveracci – si interessino del denaro in sé. E possiamo benissimo buttar fuori quei poveracci che sono condizionati dalla paura.”
La coscienza di Ethan, che si rivela con i suoi discorsi alle confezioni alimentari e le confidenze nei monologhi, rispecchia la morale della società che lo circonda e che trova nella figura di Marullo l’espressione più immediata, il nemico da sconfiggere o meglio da sopraffare. Il contrasto tra i due è presentato all’inizio del cambiamento del processo decisionale del protagonista, che sceglie con qualsiasi mezzo moralmente illecito, addirittura criminoso, di perseguire la via del business e del successo.

Silvio Minieri ha detto...

LE TENEBRE DEL MONDO
“Stava ripiegando con cura i lembi della carta, quando si udì il rumore di una chiave alla porta principale ed entrò Marullo; grosso come un toro e con il torace a cassetta, sì che le braccia parevano corte e sporgenti dal corpo. Aveva il cappello sulla nuca e la zazzera ispida, d’un grigio ferro, veniva avanti come una cresta. Gli occhi di Marullo erano umidi, sornioni e sonnacchiosi, ma le capsule d’oro sugli incisivi scintillavano alla luce del banco. I due bottoni più alti dei calzoni erano aperti, mostrando le brache pesanti, grigie. Teneva i pollici, piccoli e grassi, a un uncino sul giro dei calzoni, sotto la pancia, e sbatteva le palpebre nella semioscurità. “Giorno, signor Marullo. Mi pare che siamo già di pomeriggio. – Sì, ragazzo, e lei ha chiuso subito. – Tutta la città ha chiuso. Lei non dovrebbe essere a Messa? – Niente Messa oggi. È l’unico giorno dell’anno senza Messa. [Venerdì Santo]” Sono le battute d’inizio del dialogo tra i due, poi Marullo inizia una perlustrazione, contestando al garzone (“ragazzo”) sprechi negli avanzi e negli scarti, e rimproverando mancanza di furbizia e trucchi nel risparmiare, per aumentare il rendimento e i guadagni. Il garzone, come lo vede Marullo, Ethan, come si vede Ethan, si innervosisce: “L’ira lo sopraffece suo malgrado ed Ethan ne fu stupefatto. – Io non sono un imbroglione, Marullo. – E chi è imbroglione? Qui si tratta di fare affari buoni, e gli affari buoni sono l’unica specie di affari che van bene negli affari. Ethan esplose di botto. – Mi stia a sentire, urlò. – Gli Hawley sono qui dalla metà del Settecento. Lei è uno straniero. Queste cose non le può sapere. Noi siamo sempre andati d’accordo con i vicini, e siamo stati gente per bene, sempre. Se lei crede di sbarcare qui dalla Sicilia e cambiare tutto si sbaglia. Se rivuole il mio posto, se lo tenga, subito. E non mi chiami ragazzo o le do un pugno sul naso… I denti di Marullo adesso scintillavano, tutti. – Vabbè, vabbè, non si arrabbi. Io cercavo solo di insegnarle la via giusta.” Un ultimo sussulto di Ethan a quella che a lui sembrava una sopraffazione, poi l’ira sbollisce. “– Non mi chiami ragazzo. La mia famiglia è qui da più di duecento anni. Persino alle sue orecchie queste parole suonarono puerili, e la rabbia gli si smorzò. – Io non so parlare molto bene l’inglese: lei pensa che Marullo è un nome da terrone, da italianaccio, da dago [1]. I miei genitori, il mio nome, hanno due, tremila anni. Marullus è romano, ne parla Valerio Massimo. Che cosa sono al confronto i suoi duecento anni?” Il confronto sta sfumando in un atteggiamento di opposizione ideologica, contraria all’aspetto pragmatico della vita di ogni giorno, due ultime battute: “Lei non è di questo paese – Duecento anni orsono nemmeno lei.” Ma il contrasto ha perso la sua drammaticità, adesso il protagonista vede tutto più chiaro: “E adesso Ethan, svanita tutta la rabbia, vide una di quelle cose che ti fanno dubitare della coerenza delle realtà circostanti. Vide l’immigrante, il terrone, il fruttivendolo mutarsi sotto i suoi occhi, vide la fronte torreggiante, vide la testa sostenuta dalla colonna dei muscoli, il naso forte, a becco, gli occhi infossati, fieri, impavidi, vide un orgoglio così profondo e sicuro da poter concedersi la parte dell’umiltà. Era una di quelle scoperte allarmanti che ti fanno pensare: – Se questo mi è sfuggito, che cos’altro non ho saputo vedere?”

Silvio Minieri ha detto...

Qui, riteniamo di essere giunti al punto nodale della narrazione, il modo in cui l’autore ci presenta il suo protagonista, i suoi pensieri, che rimangono all’interno della sua coscienza, da cui tralucono soltanto come una sorta di ammissione non del tutto mascherata: “– Non mi faccia questi discorsi da terrone, disse a bassa voce.”
Nello squarcio illuminante della realtà che cosa ha visto Ethan? La ragione di Marullo, la ragione data dalla forza degli affari, il business, il denaro, il successo. La presunta superiorità della nobiltà delle origini degli Hawley rispetto all’immigrato dalla Sicilia, il terrone, cade di fronte all’evidenza della realtà che rovescia la prospettiva, la forza del denaro. Da qui inizia il proposito di Ethan di cambiare, rivelato dai suoi soliloqui, i segreti della sua coscienza, i suoi pensieri.
Il resto del dialogo si svolge sui binari della normalità, seppure apparente, il dialogo diventa amichevole: “– Affari buoni, io le insegno questo. Ho sessantotto anni, la moglie è morta, l’artrite! Sto male, cerco di dimostrarle che cosa sono gli affari. Ma forse lei non impara. Quasi nessuno impara. E falliscono.” Il rapporto torna ad essere quello che Ethan non vuole, tra il titolare del negozio, che insegna gli affari, e il garzone. Questi protesta che ha imparato, è un buon affare condurgli il concorso: “Certo… qualcosa ha imparato. Non è più un ragazzo. Lei va in bestia quando le dico ragazzo. Come vuole che la chiami? Io chiamo tutti ragazzo. – Perché non mi chiama con il mio nome? – Non mi suona amichevole. Ragazzo è più amichevole. – Ma non è decoroso. – Decoroso non è amichevole. Ethan rise: – Quando uno è commesso nel negozio di un terrone, deve pur darsi un decoro… per via della moglie, dei figli. Lei mi capisce. – Sono balle. – Certo. Se volessi darmi un decoro, nemmeno ci penserei.” Ethan ribatte, parla del padre, poi ripiega, accetta il ruolo di “ragazzo”. Marullo conferma: “Lo vede, ragazzo? Più amichevole. – D’accordo. Che cosa mi stava dicendo degli affari che non combino? – Che gli affari sono quattrini. I quattrini non sono amichevoli. Ragazzo, forse lei è troppo amichevole, troppo buono. I soldi non sono buoni. I soldi non portano amici, solo altri soldi. – Si sbaglia Marullo. Io conosco parecchi uomini d’affari che sono buoni, amichevoli, stimabili. – Quando non fanno affari, ragazzo mio, allora sì. Se ne accorgerà, e quando se ne accorgerà, sarà troppo tardi. Il negozio lo tiene bene, ragazzo, ma se fosse suo fallirebbe, amichevolmente. Le sto insegnando una lezione giusta, come a scuola. Ciao ragazzo! Flesse ancora le braccia e uscì svelto dalla porta principale, sbattendosela dietro. Ed Ethan sentì le tenebre del mondo.” È il fondo nero della coscienza, un pozzo profondo e buio.
“Ricordo di aver pensato che un uomo saggio fu Hans Christian Andersen. Il re diceva i suoi segreti a un pozzo, e i suoi segreti erano al sicuro. Un uomo che dice segreti o storie, deve pensare a chi ascolta o legge, perché una storia ha tante versioni per quanti sono i lettori. Ciascuno ne prende quel che vuole o può e rifiuta il resto […] Ma forse meglio di tutto è il “pozzo” di Andersen, perché riceve soltanto, e l’eco che dà è tacita e subito svanisce.” Questo pensa Ethan, quando ha cominciato a tessere le sue trame negli affari, una morale relativa, per ogni storia individuale: “Tutti gli uomini vivono secondo morale, tranne i loro vicini.”

Silvio Minieri ha detto...

[1] Bianciardi (a) traduce con “terrone” il termine inglese “guinea” del testo originale: “I don’t talk very good English. You think Marullo is guinea name, wop name, dago name. My genitori, my name, is maybe two, three thousand years old. Marullus is from Rome, Valerius Maximus tells about it. What’s two hundred years?” “Io non parlo bene l’inglese. Lei pensa che Marullo è un nome da terrone, da italianaccio, da dago I miei genitori, il mio nome, hanno forse due, tremila anni. Marullus è romano, ne parla Valerio Massimo. Che cosa sono al confronto i suoi duecento anni?”
La traduzione è propria, ma appare impropria. Marullo è un emigrato clandestino dalla Sicilia negli Stati Uniti, dove con il suo lavoro spinto all’estremo ha fatto fortuna, diventando un uomo d’affari. Se fosse emigrato nel Nord Italia, la definizione di terrone sarebbe più adeguata, come insulto. “Terrone, derivato probabilmente dalle denominazioni di zone meridionali quali Terra di Lavoro (in Campania), Terra di Bari e Terra d’Otranto (in Puglia). Appellativo dato con intonazione spregiativa, talvolta anche scherzosa, dagli abitanti dell’Italia settentrionale a quelli dell’Italia meridionale.” (Treccani) L’epiteto, sorto dai tempi dell’Unità d’Italia, è divenuto di attualità come insulto nel momento del conflitto dei costumi tra gli autoctoni e gli ultimi arrivati, negli anni ’60 dell’immigrazione meridionale nel triangolo industriale Torino, Milano, Genova, dove i contadini si trasformarono in operai. E in questo senso il terrone è il contadino, coltivatore della terra, quindi legato alla terra, servo della gleba, una condizione d’inferiorità di stampo medievale, ma antica quanto l’uomo, che segna la differenza tra gli schiavi e gli uomini liberi.
In questo senso, la traduzione di “guinea” con “terrone” è impropria, se riportata nell’ottica geografica dell’emigrato in America, dove appunto il termine è “guinea”, anche se riflette la condizione di emigrato, una condizione esistenziale di più povero.
Ma nella civiltà anglo-americana, il termine “guinea” ha una coloritura decisamente più razzista, una differenza razziale, dovuta alla coloritura della pelle. Un’espressione che può rendere il senso di questa diversità risuona nello slogan, oggi non più attuale: “terrone negro d’Italia”. Insistiamo sulla coloritura più bruna della pelle e dei capelli delle popolazioni meridionali e latine rispetto a quelle anglosassoni, una differenza colta a livello psicologico da Nietzsche, in “Genealogia della morale”:

(a) Luciano Bianciardi (Grosseto,1922 – Milano, 1971) giornalista, traduttore e scrittore, celebre per il suo romanzo “La vita agra”, di cui collaborò alla sceneggiatura per la versione cinematografica, regista Carlo Lizzani, attori Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli. La trama consisteva nel sogno irrealizzato di un operaio che voleva far saltare in aria il palazzo della Montecatini a Milano.

Silvio Minieri ha detto...

“In latino, malus (al quale metto accanto mélas) potrebbe essere designato l’uomo volgare, in quanto individuo dal colore scuro, soprattutto nero di capelli (“hic niger est”), l’autoctono pre-ariano del suolo italico, che per il colore della pelle si distaccava, con la massima evidenza, dalla bionda razza dominante, cioè quella ariana dei conquistatori: il gaelico ha quanto meno offerto il caso esattamente corrispondente – fin (per esempio nel nome Fin-Gal), il termine distintivo dell’aristocrazia e infine il buono, nobile, puro, originariamente la testa bionda in antitesi agli scuri abitanti primevi dai capelli neri. I Celti, sia detto incidentalmente, erano senz’altro una razza bionda; si cade in errore se si mette in relazione a una qualche origine celtica o a una qualche mescolanza di sangue – come fa ancora Virchow – quelle zone di una popolazione completamente nera di capelli che si possono osservare sulle più accurate carte etnografiche della Germania: è piuttosto la popolazione tedesca pre-ariana a predominare in quei luoghi. (La stessa cosa vale all’incirca per l’intera Europa: in sostanza, la razza sottomessa ha finito per riprendere qui il sopravvento, con il suo colore, la forma larga del cranio e forse perfino con i suoi istinti intellettuali e sociali: chi ci garantisce che la moderna democrazia, l’ancor più moderno anarchismo, e specialmente quella tendenza alla “commune”, alla forma più primitiva di società, oggi comune a tutti i socialisti d’Europa, non debba significare essenzialmente un enorme contraccolpo – e che la razza dei conquistatori e dei signori, quella degli ariani, non sia per soccombere anche fisiologicamente?”
Nietzsche scrive nell’Ottocento, quando il mondo era ancora euro-centrico e la supremazia dell’imperialismo inglese si estendeva in tutti i continenti, compreso il Nord America, dove con la guerra d’indipendenza si realizzò la frattura tra le colonie e la madrepatria. Nella nuova terra dei liberi, rimase però la distinzione, tra schiavi e uomini liberi, che rifletteva la differenza razziale. Il fenomeno dello schiavismo aveva prese piede nel ‘600, su imitazione di quello spagnolo praticato in Sud America, ed esaurito dopo l’abolizione, rimase come conflitto razziale, che la politica attuale cerca di imbrigliare. Questa distinzione, evidente nel colore della pelle, tra bianchi e neri, diventa più evanescente tra bianchi anglofoni e ispanici, i latinos, il cui colorito più o meno olivastro può rivelare la loro origine, la provenienza da paesi tropicali. In questo senso “guinea” sono tutti coloro che hanno una somiglianza razziale con gli africani, indice di arretratezza ed inferiorità, compresi gli italiani (tutti) immigrati negli Stati Uniti, anche se, come nel romanzo, discendenti dai “Marulli dell’antica Roma”.
Wop dovrebbe stare per “with out papers”, ossia “senza documenti”, i “sans papier”.
“Dago” sta per Diego, di origine ispanica, latina.

Silvio Minieri ha detto...

UNA CICATRICE ANTICA
Ma è stato il confronto con Marullo a spingerlo sulla strada del cambiamento? O bisogna scrutare più a fondo? Ascoltiamo un suo monologo: “Mi par di credere che un uomo cambia di continuo. Ma ci sono momenti in cui il cambiamento si fa avvertibile. Se mi mettessi a scavare a fondo, forse rintraccerei i semi del mio cambiamento addirittura dalla mia nascita o anche da prima. Di recente molte piccole cose avevano cominciato a formare un disegno di cose più grosse. È come se eventi ed esperienze mi avessero sollecitato e spinto in una direzione contraria a quella normale, ossia a quella che ero giunto a pensare normale – la direzione del commesso di bottega, il fallito, l’uomo senza alcuna speranza o spinta vera, bloccato dalla responsabilità di riempire le pance e di vestire i corpi della sua famiglia, ingabbiato da abitudini ed atteggiamenti che io consideravo morali, anzi virtuosi. E forse io avevo un mio mediocre compiacimento nell’essere quel che si dice un “Uomo Buono”. E certo sapevo quel che mi accadeva attorno. Non occorreva che me lo dicesse Marullo. Non puoi vivere in una città della grandezza di New Baytown e non sapere.”
Ethan paragona gli affari alla guerra, in cui ogni norma viene abolita: “Mettiamo che per un tempo limitato io abolissi tutte le norme, e non alcune soltanto. Una volta raggiunto l’obiettivo, non potrei riassumerle tutte, quelle norme? Indubbiamente gli affari sono una specie di guerra. Perché dunque non fare una guerra totale, in vista della pace. Baker e i suoi amici non spararono a mio padre, ma lo consigliarono, e quando il suo edificio crollò, essi l’ereditarono. Non è questo una specie di assassinio? Ce n’è una sola fra le grandi fortune che tanto ammiriamo che non sia stata messa assieme scartando ogni scrupolo? Non me ne viene in mente nemmeno una. E se io dovessi metter da parte le norme, per qualche tempo, so che dopo ne porterei le cicatrici, ma non sarebbero peggiori delle cicatrici che stavo portando, le cicatrici del fallimento? Vivere vuol dire portare una cicatrice.”
Nell’ultima sentenza, Steinbeck ritorna su una piaga antica, il dolore dell’esistenza, la hybris originaria, ineliminabile, che contrassegna la nostra nascita di mortali. Il pensiero dello scrittore americano però non è teorico contemplativo, ma pragmatico: “Tutti questi pensieri erano come la banderuola in cima all’edificio del disagio e dello scontento.” Sembra retorica, vena d’ispirazione shakespeariana – L’inverno del nostro scontento – ma l’autore vira subito nella pragmatica, teoria dell’azione. “La cosa si poteva fare perché bisognava farla. Ma se io aprivo quella porta, sarei mai poi riuscita a richiuderla? Non sapevo. Non potevo sapere, fino a che non l’avessi aperta…”

Silvio Minieri ha detto...

Che cosa spinge all’azione Ethan? “Si è mai chiesto qualcuno come avvengono le decisioni e le azioni e le campagne dei potenti della terra? Nascono dal ragionamento, sono dettate dalla virtù, oppure in qualche misura possono essere prodotti di accidenti, di sogni, di immaginazioni, di storie che noi raccontiamo a noi stessi? Io so con esattezza quanto tempo avevo giocato il gioco dell’immaginare, perché so che era cominciato con le regole del Morph per svaligiare una banca. […] Era un gioco che correva parallelo alla vita del negozio e tutto quel che era successo pareva incastrarsi nel gioco. Il gabinetto che perdeva acqua, la maschera di Topolino che voleva Allen, la storia dell’apertura della cassaforte. […] A poco a poco il gioco cresceva, tutto mentale, fino a stamani. Mettere il peso alla catena del gabinetto era il primo contributo fisico, che io avevo dato al balletto mentale.” La rapina fallirà per un caso imprevisto, che eviterà al protagonista “l’incidente fatale di cui si parla nei libri gialli.”
Il piano per arricchirsi e cambiare vita prosegue in parallelo con soliloqui e monologhi, svolti nella solitudine della propria coscienza, invisibili all’aspetto esterno. “Uno dei nostri miti più vecchi e più spesso smentiti è che i pensieri di un uomo gli si mostrino in faccia, che gli occhi siano lo specchio dell’anima.” Nella cittadina del Long Island, dove vive Ethan, Margie è l’unica che conosce tanti uomini, molti intimamente, è l’unica che tiene per sé i loro segreti. “Probabilmente era l’unica a conoscere la profondità del mutamento in Ethan e questo le faceva paura, perché pensava che fosse opera sua. Al topo stava crescendo la criniera del leone. Ella vedeva i muscoli sotto i suoi panni, vedeva la crudeltà crescergli dietro gli occhi. La stessa cosa deve aver provato il buon Einstein, quando il suo concetto – il suo sogno – della natura della materia divampò sopra Hiroshima.”

Silvio Minieri ha detto...

“Primo luglio. Divide l’anno come la scriminatura divide una testa di capelli. Lo avevo previsto come un segno di confine: ieri un me, domani un me diverso. Avevo fatto le mie mosse, irripetibili. Tempo e incidenti erano entrati nel gioco, erano parsi collaborare con me. Non avevo nemmeno cercato di nascondere a me stesso quello che stavo facendo.” IL discorso è corretto: le sue orazioni agli alimenti in scatola negli scaffali rimanevano nei limiti della propria coscienza, ma erano chiare e distinte, fatte forse anche a voce alta. Le sue intenzioni, seppellite nel pozzo buio, non uscivano all’esterno, anche se alla fine trapeleranno, stando ai fatti risultanti. La scelta è stata solitaria: “Nessuno mi aveva spinto a prendere la strada che avevo scelto. Avevo temporaneamente barattato un abito di condotta con l’agio, la dignità e con un cuscinetto di sicurezza. Sarebbe troppo facile concludere che l’avevo fatto per la mia famiglia, perché sapevo che nel loro agio e nella loro sicurezza avrei trovato la mia dignità. Ma il mio obiettivo era limitato e una volta raggiunto, avrei potuto riprendere il mio abito di condotta. Sapevo di poterlo fare. La guerra non aveva fatto di me un assassino, anche se per qualche tempo io ho ucciso uomini.”
Il discorso sembra quello stesso di Dostoevskij, in “Delitto e Castigo”, in cui Napoleone è un grande eroe della storia, cannoneggiando e sterminando il nemico in guerra, mentre Raskolnikov è un semplice assassino di due vecchiette. In Steinbeck, rispetto alla psicologia dell’autore russo, c’è la consapevolezza di riprendere il controllo della propria coscienza, dopo l’azione. Il castigo esiste solo per chi fallisce nell’azione, la bontà di un’azione sta nel suo successo. In questo senso la parola “buono” significa “adatto a raggiungere lo scopo”, una pistola è buona solo se spara.
“Per la maggior parte degli uomini il successo non è mai un male. Ricordo che quando Hitler avanzava incontrollato e trionfante, molti uomini onorevoli gli cercarono e gli trovarono delle virtù. E Mussolini faceva arrivare i treni in orario. E Vichy collaborò per il bene della Francia, e Stalin se non altro era forte. Forza e successo stanno al di sopra della moralità, al di sopra della critica. Sembra dunque che non conti quello che fai, ma come lo fai e come lo chiami. C’è un controllo negli uomini, nel fondo, una cosa che li fermi o li castighi? Sembra che non ci sia. L’unico castigo è per chi fallisce. In effetti nessun delitto è davvero commesso, finché non si prende il delinquente.”
Ed Ethan solo per un imprevisto non viene “preso”, non riesce a commettere la rapina progettata, all’inizio soltanto un gioco mentale, ideazione che sta per tradurre in azione: “Non so quando il gioco cessò di essere un gioco. Forse quando capii che potevo comparare il negozio e che avrei avuto bisogno di soldi, per mandarlo avanti. E in quanto alla disonestà, al delitto, non era un delitto contro gli uomini, solo contro il denaro. Nessuno ne avrebbe sofferto. Il denaro è assicurato. I veri delitti erano quelli contro gli uomini contro Danny e contro Marullo. Se avevo potuto fare quello che avevo fatto, il furto era nulla. […] Certo era possibile un incidente, ma è possibile anche quando attraversi la strada e cammini sotto un albero.”

Silvio Minieri ha detto...

Ed ecco il discorso rivolto al suo uditorio sugli scaffali, prima dell’azione: “Era tanto che non arringavo il mio gregge, ma stamattina lo feci, forse per nervosismo. “Amici miei” dissi “quel che state per vedere è un mistero. So che posso fidarmi, che tacerete. Se qualcuno fra voi ha scrupoli circa la questione morale qui implicata, lo invito ad andarsene. Ci provi!” Tacqui. “Nessuna obiezione? Benissimo, e se mai sento un’ostrica o un cavolo parlarne con estranei, la pena è di morte mediante forchetta. E voglio ringraziarvi tutti. Siamo stati insieme, uomini lavoratori di questa vigna, e io servo quanto voi. Ma ora sta per avvenire un cambiamento. D’ora in poi, sarò io il padrone, ma prometto che sarò un padrone buono e cordiale e comprensivo. Il momento si avvicina, amici, si leva il sipario. Salve.”
Il romanzo di Steinbeck è diviso in due parti, i primi due capitoli di ognuna delle due parti è scritta presentando il personaggio di Ethan in terza persona, negli altri capitoli, invece, il racconto è in prima persona, condotto dall’io-narrante. L’accorgimento si acuisce nella descrizione dell’interrotta rapina, prima del suo inizio, che provoca una scissione della coscienza. Sta per avviarsi in banca, quando sente pronunciare il suo nome: “- Signor Hawley! Mi voltai di scatto come fanno i banditi in trappola, al cinema. Una Chevrolet verde, impolverata, s’era accostata al cordone del marciapiede e, santo cielo, ne stava uscendo l’agente governativo dal vestito elegante. Il suolo di pietra vibrò come un’immagine riflessa nell’acqua. Paralizzato, lo vidi attraversare la via.” Il poliziotto è venuto ad investigare sull’immigrazione clandestina di Marullo e senza saperlo interrompe un atto criminoso del denunciatore, per lo spavento colto da un attacco diarroico: “Che cosa le succede, signor Hawley? Sta male? – Diarrea, dissi io. – Quella non aspetta nessuno. Corra, corra. La aspetto. Corsi al gabinetto, chiusi la porta, e tirai la catena per far scorrere l’acqua. Non avevo acceso la luce. Sedetti nel buio. L’intestino sconvolto stette al gioco. Fra un momento dovevo andare, davvero, e lentamente scemò quella pressione interna. […] Mi era accaduto altre volte, dinanzi a un momento critico o a un grosso pericolo, di tirarmi da un canto e come un estraneo curioso, stare a guardare me stesso, i miei atti e i miei pensieri, ma immune dalle emozioni della cosa osservata. Seduto nel buio, vidi l’altra persona ripiegare il suo piano perfetto e riporlo in una scatola e abbassare il coperchio, e spinger ogni cosa non solo fuori dalla vista, ma anche fuor del pensiero. Voglio dire che quando mi tirai su nel buio, mi riabbottonai, mi ricomposi e misi la mano sulla fragile porta di compensato, io ero un commesso di bottega, che affronta una giornata faticosa.”

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Grazie a Dio, l’uomo non è arrivato un minuto dopo, non c’è stato “l’incidente fatale”. “Strano, cinque minuti prima, mi vedevo con gli occhi degli altri, dovevo, importante era quel che vedevano loro. E mentre attraversava la strada, quest’uomo era stato un destino enorme, buio, disperato, un nemico, un orco. Ma una volta riposto il mio progetto, una volta scomparsa quella parte di me, lo vedevo come un oggetto staccato, senza più alcun nesso buono o cattivo con me.”
Walder, l’agente del Ministero della Giustizia, è venuto a comunicare al commesso del negozio di Marullo, che il suo principale avrà l’estradizione, si dichiara colpevole e vuole andar via. Nel suo lavoro, Walder non ha mai trovato nessuno come lui: “È stato un gran colpo, direi. Io faccio il mio lavoro, e quasi sempre si tratta di delinquenti. Una volta che ti hanno condizionato imbroglioni e bugiardi e manigoldi, insomma, trovare un uomo onesto è un colpo, veramente. – Come sarebbe onesto? Il mio padrone non ha mai regalato nulla. È un tipo di sasso. – Lo so, così l’abbiamo fatto diventare noi. Me l’ha detto e ci credo. Prima di emigrare, imparò le parole che stanno sul piedistallo della Statua della Libertà. Aveva imparato a memoria la dichiarazione di Indipendenza, nel suo dialetto. La Carta dei Diritti, parole di fuoco. E poi non poté entrare. E allora è venuto lo stesso, un brav’uomo gli diede una mano, gli prese tutto quello che aveva e lo lasciò sulla risacca. Raggiunse la riva a piedi. Gli ci volle del tempo per imparare come vanno le cose in America, ma lo imparò, lo imparò eccome. Bisogna fare la grana. Questo è il punto primo! Lo imparò, non è scemo. Stette attento al primo punto.” Walder gli porta la busta con dentro il passaggio di proprietà del negozio, perché Marullo ritiene che Ethan è della banda degli onesti. L’affare poteva anche attendere, ma invece non poteva. Era come in un commissariato di polizia in miniatura, bisogna pagare la contravvenzione, il garzone è la sua cauzione. Walder ha fatto tre ore di macchina da New York, per esaudire il desiderio di Marullo, e deve farne tre per tornare. “Perché lei è venuto sin qua? – Non so esattamente. Dovevo… forse… perché la luce non si spenga. – Ah, Signore!” Nel negozio si affollano i clienti, Walder se ne va: “Lasciai cadere la busta nel cassetto sotto il registratore e con quella cadde la mia desolazione.” [2]

[2] Nella mattinata della progettata e poi fallita rapina in banca, Ethan spazza la strada davanti al negozio, tenendo d’occhio l’orario di apertura dell’ufficio di fronte. Ecco i suoi pensieri: “Quasi tutti gli altri negozi non aprirono fino alle nove e mezzo. Era stata un’idea di Marullo, per strappare qualche vendita, fregare agli altri quella mezz’ora. Una cosa, pensavo, che avrei cambiato. Provocava antipatia negli altri negozianti, più di quanta non ne giustificasse il suo guadagno. Marullo non se ne dava pensiero, seppur mai lo capì. Lui era un forestiero, un terrone, un delinquente, un tiranno, uno sfruttatore dei poveri, un bastardo e otto volte figlio di cane. Poiché l’avevo distrutto, naturalissimo che le sue colpe e i suoi delitti mi apparissero chiari e lampanti.”

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LA LUCE SOLITARIA
Ma dobbiamo proprio credere che nessuno sospetti? Non l’investigatore, non Marullo, neppure Mary, la moglie: “Era il momento. – Mettiti comoda. Ho notizie insieme lite e tristi. – Bene, hai comperato l’oceano? – Marullo è nei guai. – Cosa? – Molto tempo fa venne in America senza chiedere il permesso. – Beh, e allora? – Adesso lo pregano di andarsene. – Estradizione? – Sì. – Ma è terribile. – Certo, non è bello. – E noi cosa faremo? Che cosa farai tu? – Ora basta con gli scherzi. Mi ha venduto il negozio… meglio, l’ha venduto a te. I soldi sono tuoi. Deve convertire la proprietà e mi vuole bene; in pratica me l’ha regalato… tremila dollari. – Ma è terribile. Vuoi dire… vuoi dire che il negozio è tuo? – Sì. – Non sei più un commesso! Non sei più un commesso! Si voltò bocconi sul cuscino e pianse, singhiozzi grossi, pieni, come piangerebbe uno schiavo, quando gli levano la catena.” Poi Mary si ricompone: “Ed era diversa, sarebbe stata per sempre diversa. Non aveva bisogno di dirlo. Lo diceva come portava la testa, Adesso poteva tenerla alta. Eravamo di nuovo gente per bene. – Non possiamo far nulla per aiutare Marullo? – Temo di no. – Come è successo? Chi l’ha scoperto? – Non so. – È un brav’uomo. Non dovevano farglielo. Come l’ha presa? – Con dignità, con onore.”
Il commesso di bottega, divenuto proprietario del negozio, sta risalendo la scala sociale, uno scandalo presentito investe la giunta comunale, in prossimità delle elezioni. Il banchiere Baker, rappresentante dell’establishment, propone a Ethan di candidarlo come amministratore comunale, prima che l’opposizione riesca ad organizzarsi. Il colloquio avviene tra i membri delle due famiglie, i Baker e gli Hawley, che hanno fatto la storia di New Baytown.
“Il signor Baker si portò la mano alla fronte, un gesto non da lui: – Ma perché non ci ho pensato? Sei tu l’uomo adatto. Famiglia buona, fidato, proprietario, uomo d’affari, rispettato. Tu non hai un nemico in città. Ma certo, sei tu l’uomo adatto. – Adatto? – Come amministratore comunale. – Ma io sono negli affari appena da sabato. – Tu capisci quel che voglio dire. Attorno a te potremmo mettere facce nuove, rispettabili. Ma è la soluzione perfetta. – Da commesso di bottega ad amministratore comunale. – Nessuno ha mai pensato a un Hawley come commesso di bottega. – Io sì, e anche Mary. – Invece no. Possiamo annunciarlo oggi, prima che si formi l’opposizione.”
Poi il discorso scivola su una vecchia storia, l’incendio forse doloso della baleniera del nonno di Ethan, che vuole vederci chiaro sul fallimento della sua famiglia. Arriva l’ora dell’apertura della banca e Baker va via. Il discorso riprende in seguito, dopo la scoperta della morte di Danny, e qui Ethan deve levarsi la maschera, la verità della sua coscienza si riflette di colpo nello stupore di Baker, che non aveva sospettato l’affare di Ethan a danno dell’amico morto: “Ma capisci davvero? Con le tue buone intenzioni hai buttato tutto per aria. A volte penso che non c’è al mondo persona più pericolosa di quella che vuol far del bene. – Forse lei ha ragione. Ma dovrei rientrare in negozio. – Il negozio è tuo. È mio, vero? Mo so abituarmici. Me lo scordo. – Sì, te lo scordi. I soldi che gli hai dato erano di Mary. Non li rivedrai più. Tu li hai buttati via. – Danny voleva bene alla mia Mary. Sapeva che erano soldi suoi. – Bella consolazione, per lei. – Senta, io credevo che fosse uno scherzo. Mi ha dato questa roba” e tirai fuori i due fogli di carta quadrata dalla tasca interna, dove li avevo messi, sapendo di doverli tirar fuori così. Il signor Baker lì spiegò sul piano di vetro della scrivania. Mentre leggeva gli si contorse un muscolo sotto l’orecchio destro, che sobbalzò. Ci rimise gli occhi sopra. Stavolta cercava lo sbaglio. Quando quel figlio di cane mi guardò, c’era paura in lui. Vedeva un uomo di cui aveva ignorato l’esistenza. Gli ci volle un po' per riadattarsi a questo forestiero, ma ci riuscì. Eccolo riadattato.”

Silvio Minieri ha detto...

Baker vuole l’aeroporto, Ethan ha la disponibilità dell’area, un rapporto di forza: “Tu sapevi quel che stavi facendo, Ethan? – Sì. – E come ti senti dentro? – Mi sento come forse si sentiva la persona che gli portò una bottiglia di whisky e cercò di fargli firmare una carta. – Te l’ha detto lui? – Sì. – È stato un bugiardo. – E così mi disse. Mi avvertì che era un bugiardo. Forse in queste carte c’è qualche trucco.” Gliele tirai via pian piano, e ripiegai i due fogli scritti a matita. – Il trucco c’è, sicuro, Ethan. Questi documenti non fanno una grinza, dati, autenticati, chiari. Forse egli ti odiava [3]. Forse il suo trucco è stato la disintegrazione di un uomo. – Signor Baker, nella mia famiglia nessuno mai ha bruciato una nave. – Ne parleremo, Ethan, faremo affari. Faremo quattrini. Una piccola città verrà su tra le colline, attorno al prato. Penso che tu diventerai amministratore comunale, adesso.”
Ethan rifiuta, conflitto di interessi, quelli che non se la passano bene, possono accorgersene. L’importante è che Baker non lo consideri “un simpatico sciocco.” L’altro incalza: “Ma perché non hai voluto confidare ogni cosa a me? – I complici sono sempre pericolosi. – Allora ti pare di aver commesso un reato? – No, reato è quando lo fanno gli altri.” Ethan si congeda: “Avevo la mano sulla maniglia della porta, quando lui chiese a bassa voce: “Chi ha tradito Marullo? – Credo che sia stato lei, signor Baker. Scattò in piedi, ma io mi chiusi dietro la porta e ritornai al mio negozio.”
Tutta l’avventura in solitaria di Ethan è riuscita, ora può godersi il successo con Mary, un week-end da soli, i due figli adolescenti con l’amica Margie a New York. Ma non è finita, c’è una lieta sorpresa: Allen, il suo ragazzo, ha vinto il concorso nazionale, “Io amo l’America”, primo premio una gita a Washington, con visita al Presidente, e con i genitori, e con un mucchio di altri premi. È diventato una celebrità. Ma quanto tempo dura la felicità? “Felicità è un’ombra che subito precipita” recita il Coro, “Edipo Re” di Sofocle. È tarda sera, quando un uomo va a bussare a casa Hawley: “Dev’essere importante, se lei è venuto a quest’ora. – Sì. Adesso lo vedevo. I denti parlavano per lui, senza l’aiuto degli occhi stanchi, ma scaltri. – Vogliamo che resti fra noi. È stata una brutta annata, lei lo sa bene. Uno sfacelo quello scandalo dei quiz e poi la storia delle bustarelle e le commissioni parlamentari. Dobbiamo stare bene attenti a tutto. Sono tempi pericolosi. – Vorrei che mi dicesse che cosa vuole da me. – Lei ha letto il tema di suo figlio su “Io amo l’America”? – No, non l’ho letto, voleva farmi una sorpresa. – E gliel’ha fatta. Non so come non ce ne siamo accorti, ma è così. Mi porse una cartella azzurra – Legga il sottolineato.” Il tema era copiato da discorsi storici di politici celebri e presidenti del passato, anche Jefferson, Lincoln. “Non ha l’aria della prosa di un ragazzo. – Non so come sia successo. Ci sarebbe sfuggito, se non fosse giunta la cartolina. – La cartolina? – Illustrata con la fotografia dell’Empire State Building. – Chi l’ha mandata? – Anonima. – Spedita da dove? – Da New York.”

Silvio Minieri ha detto...

Non vogliono scandali, meglio mettere tutto a tacere, alla fine l’uomo lascia la casa. “Sentii un gran tonfo, e poi un gemito, come di puledro impaurito, poi passi rapidi nell’ingresso e silenzio. Sulle scale le mie scarpe sciabattavano. Entrai nella stanza di Ellen e accesi la luce. Stava rannicchiata sotto il lenzuolo, la testa sotto il cuscino. Cercai di sollevarlo, ma lei ci si aggrappò e dovetti strapparglielo. Un filo di sangue all’angolo della bocca. – Sono scivolata nel bagno. – Lo vedo. Ti sei fatta molto male? – Non mi pare. – In altre parole, non è affar mio. – Non voglio che finisca in prigione. Allen sedeva sulla sponda del letto, nudo, tranne le mutandine. I suoi occhi mi fecero pensare a un topo in un cantuccio, pronto finalmente a reagire alla scopa. – Quel puzzone. – Hai sentito tutto? – Ho sentito quel che ha detto quel puzzone. – Hai sentito che cosa hai fatto? – Il sorcio attaccò. – Chi se ne frega? Lo fanno tutti. O la va o la spacca. – Ci credi davvero? – Ma non leggi i giornali? Tutti, anche quelli grossi. Leggi i giornali. Ti farà bene, leggi i giornali. E credo che ci abbia provato anche tu, magari perché lo fanno tutti. E non voglio buscarne io per tutti. Non m’importa di nulla. Solo di quel puzzone.” Anche Mary ha sentito, era sveglia, è seduta sulla sponda del letto di Ellen, lo invita ad andare a dormire. Lui risponde che va a passeggio, va nel bagno e prende delle lamette. La ragazzina lo insegue fin sulla porta di casa, vuole andare con lui, lo abbraccia forte, gli infila qualcosa in tasca, senza che lui se ne accorga. È il talismano della famiglia, custodito nella vetrina di casa.
“Immagino che ogni famiglia abbia una sua cosa magica, un simbolo della continuità che infiamma e consola e ispira di generazione in generazione. La nostra era – come posso dire? – una specie di globo di pietra traslucida, forse quarzo o giadeite o forse solo steatite. Era circolare – dieci centimetri di diametro, quattro centimetri al sommo della convessità. Intagliata sulla superficie, c’era una forma intrecciata, interminabile, che pareva muoversi e non andava in nessun posto. Era viva, ma non aveva né capo né coda, né principio né fine. La pietra liscia non era scorrevole al tatto, ma un poco viscosa, come la carne, ed era sempre calda a toccarla. Ci vedevi dentro, ma non era trasparente. Immagino che l’abbia portata dalla Cina qualche vecchio marinaio della mia gente. Era magica, faceva bene vederla, toccarla, strofinarla contro la guancia, carezzarla con le dita. Questo strano magico globo viveva nella vetrina.”

Silvio Minieri ha detto...

[3] Il testo originale recita: “There’s a trick all right, Ethan. Those documents are without a flaw, dated, witnessed, clear. Maybe he hated you. Maybe his trick was the disintegration of a man.” Nella traduzione di Luciano Bianciardi (Bompiani, 2013), il testo presenta tre puntini sospensivi: “Il trucco c’è, sicuro, Ethan. Questi documenti non fanno una grinza, dati, autenticati, chiari… Forse il trucco suo è stato la disintegrazione di un uomo.” Viene saltata l’espressione “Maybe he hated you” “Forse egli ti odiava”. E questo potrebbe alterare il senso del testo, di per sé ambiguo. Maybe his trick was the disintegration of a man. L’uomo che il trucco disintegra è Danny o il suo amico Ethan? Il pronome possessivo his (suo), di genere maschile, concorda con trick (trucco), di genere maschile, ed è riferito a Danny, ma può intendersi anche riferito all’affare, trascritto nei documenti formalmente ineccepibili, le due paginette di una scrittura privata. Quando Baker parla, sembra imputare l’atto distruttivo a Ethan, che raggirando l’amico con una bottiglia di whisky e una “bustarella”, lo ha distrutto definitivamente. Ma il raggiro, il trucco che c’è ma non si vede (alla fine si vedrà), è quello di Danny, che odia (l’altra faccia dell’amicizia e dell’amore) Ethan e lo disintegra moralmente, lasciandosi corrompere. Formalmente, la corruzione implica una forma di complicità tra corrotto e corruttore: negli affari pubblici, un reato; in quelli privati, una condotta moralmente riprovevole. A chi dare la responsabilità? Tra i singoli, ai coinvolti nell’azione; nella collettività ai responsabili politici. Ma il malessere sociale è più generale: “Quando una condizione o un problema diventa eccessivo, gli uomini hanno la difesa di non pensarci. Ma quello che va dentro e si mescola con un mucchio di altre cose che già c’erano, e quel che viene fuori è scontento, disagio, colpa e impulso a prendere qualcosa, qualsiasi cosa, prima che tutto sia sparito. Forse gli psicoanalisti non trattano affatto i complessi, ma semmai quelle testate atomiche, che possono un giorno diventare nubi a forme di fungo. […] Possiamo sparar razzi nello spazio, ma non guarire l’ira e lo scontento.”
Steinbeck sembra voler mantenere tutto il filo della narrazione e quindi la trama della storia come l’attuazione di un disegno del protagonista, razionalmente cosciente delle sue azioni, di cui condivide l’ideazione soltanto con il muto uditorio delle confezioni alimentari negli scaffali del negozio. Allo stesso tempo, si colgono diversi segnali come di una presenza irrazionale, di una forza superiore che travolge: “Che cosa tremenda è una creatura umana, una massa di valvole, di quadranti, di registratori, e noi ne sappiamo leggere pochi appena, e quei pochi nemmeno con precisione. Una fiammata di dolore rosso, secco, mi si fermò nelle budella e cominciò a salire, fino a pungere, a lacerare proprio sotto le costole. Un gran vento mi rombava nelle orecchie e mi trascinava come una nave inerme, disalberata prima che possa imbrogliare le vele. Sentii l’aspro del sale e vidi la stanza vibrare, gonfiarsi. Ogni segnale d’allarme urlava pericolo, urlava rovina, urlava sconquasso. Mi colse mentre passavo dietro le poltrone delle signore e mi piegò su me stesso in un’angoscia brividosa, e altrettanto improvviso sparì. Mi tirai su e andai avanti e loro nemmeno si accorsero che era successo. Capisco come la gente un tempo credesse che il diavolo possa impossessarsi di una persona. Non sono nemmeno certo di non crederci. Posseduto! La nascita di agitato di qualcosa di estraneo, e tutte le mie forze che resistono e perdono la lotta e si acconciano, battute, a far pace con l’invasore. Violazione, questa la parola, se tu riesci a pensare una parola orlata di fiamma azzurra, come una torcia a vento.”

Silvio Minieri ha detto...

Margie, l’amica di famiglia, ha letto le carte, che parlano di un’imminente fortuna per Ethan, sono seduti nel salotto di casa: “Mary, non ho mai visto tuo marito così allegro. – È la fortuna che gli hai letto, disse Mary. Cambiato così, dalla sera alla mattina.” Ethan aveva tirato fuori dalla vetrina una brocca grande, impagliata, scura e scolorita dal tempo, tre calici, rum della Giamaica, gli Hawley erano marinai, solo per le grandi occasioni, bisogna festeggiare. Ethan butta giù un sorso ed ecco la grande fiammata di colore rosso, il diavolo in corpo. La psicologia del profondo di Jung spiega che cosa accade. Lo spirito creativo, dopo aver concluso la sua opera, dove si trova? Si trova nel corpo, la materia. E in che genere di materia? È sempre la materia che suscita in particolar modo l’interesse del diavolo. Il sangue. “Sì, perché il sangue è lo spirito liquido della vita, la sede dell’anima; con il sangue si firma un patto con il diavolo. Il diavolo vuole così proprio, in quanto ne conosce il valore: tutto ciò che è stato fatto con o grazie al sangue ha un’importanza assoluta. Perciò, se ci si situa al livello in cui lo spirito si trova nel sangue , in quale parte della terra spuntate , spingendo con la testa fino a spezzarne la crosta?” Jung sta interrogando negli anni Trenta alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, la risposta è d’obbligo: “In Germania. Certo, Heil Hitler! Vedete, lo spirito del sangue è chiaramente lo spirito inconscio; ovunque lo spirito si trovi nel sangue, ecco che l’inconscio inizia ad agitarsi. E a quel punto un uomo o una nazione saranno mossi dall’inconscio: parleranno di istinti, di razza, di sangue, perché sentono che ciò che li sta muovendo proviene dall’interno, proviene in qualche modo dal corpo. Penseranno naturalmente che si tratti del sangue, e poi razionalizzeranno la cosa, poiché soffrono di quella malattia che porta a razionalizzare ogni cosa. Così la loro non potrà che essere la filosofia del sangue. Tutto quel parlare di sangue e ferro, quel giocare con il fuoco, quella paura e quel desiderio di guerra – che esiste – tutto ciò deriva da questa filosofia del sangue.” (“Seminari” su “Zarathustra”, Conferenza 22 maggio 1935)
Steinbeck scrive nel 1961, gli anni della guerra fredda, la crisi dei missili a Cuba, l’America della Nuova Frontiera di Kennedy, i missili puntano le loro ogive d’argento verso il cielo, l’epopea del West continua. Sono gli anni della guerra del Vietnam: “Forse gli psicoanalisti non trattano affatto i complessi, ma semmai quelle testate atomiche, che possono un giorno diventare nubi a forme di fungo […] Possiamo sparar razzi nello spazio, ma non guarire l’ira e lo scontento.”

Silvio Minieri ha detto...

IL TALISMANO
Ethan si reca al porto, una barca . “La marea saliva. Misi i piedi nell’acqua calda della baia […] Il mare estivo era affollato di piccole meduse, grandi come l’uvaspina, che agitavano i tentacoli e le cellule pungenti. Quando l’onda le spingeva contro le mie gambe, le sentivo bruciare come piccoli aspri fuochi, e la risacca lenta avanzava e si ritirava. Adesso la pioggia era appena un sottile pulviscolo e faceva tutt’uno di lumi e di stelle, spargendo una luce uniforme, un chiarore fioco color del peltro. […] Un’onda più forte mi sollevò le gambe e me le sentii libere , separate da me, e un vento teso si levò da chissà dove e portava via la caligine come un gregge. Allora vidi la stella, sorgeva tardi, troppo tardi all’orizzonte. Entrarono certe imbarcazioni sbuffando, una barca a vela con il rumore lento e solenne del motore. Vidi la luce di maestra sopra il disordine frastagliato del frangiflutti, ma non riuscivo a scorgere il rosso e il verde. Mi ardeva la pelle sotto gli aculei delle meduse. Sentii un’ancora affondare , e poi la luce maestra si spense. La luce di Marullo ardeva ancora, e la luce del vecchio capitano, e la luce di zia Deborah. Non è vero che esiste una comunità di luci, un falò del mondo. Ognuno porta la sua, la sua luce solitaria. Un banco di pesciolini sfilò frusciando lungo la riva. La mia luce era spenta. Non c’è nulla di più buio di un lucignolo. Dentro di me dissi: “Voglio andare a casa, no, non a casa, dall’altra parte della casa, dove sono le luci. È tanto più buio quando una luce si spegne, più buio che se non fosse mai stata accesa. Il mondo è pieno di oscuri derelitti. Al meglio – i Marulli dell’antica Roma lo sapevano – viene il momento del ritiro dignitoso e onorevole, non drammatico, non il castigo per sé o per la famiglia – solo un addio, un bagno caldo e una vena aperta, un mare caldo e una lametta. L’onda della marea crescente frusciava e mi sollevò le gambe e anche e le voltò da un lato e si portò via l’impermeabile zuppo, piegato. Ruotai sull’anca e cercai le lamette nella tasca della giacca, sentii il rigonfio. Allora ricordai con stupore le mani carezzevoli e dolci di chi portava la luce. Per un momento non volle venir fuori dalla tasca bagnata. Poi, in mano a me, raccolse tutta la luce che c’era e parve rosso, rosso cupo [4]. Un’ondata più grossa mi spinse contro il fondo. E il ritmo del mare si affrettò. Dovetti lottare contro l’acqua per uscire, e dovevo uscire. Rotolavo, annaspavo, sciaguattavo immerso fino al petto nella risacca e le onde alacri mi respingevano contro il vecchio muro. Dovevo uscire, dovevo restituire il talismano al suo nuovo proprietario. Altrimenti poteva spegnersi un’altra luce.”

Silvio Minieri ha detto...

ERMENEUTICA DI UN ERRORE
Rileggendo il testo di cui sopra, ho trovato un errore, che rende incomprensibile il senso della frase. Si trova nel penultimo periodo [capoverso] del paragrafo: “Le tenebre del mondo”.
Il testo recita: “Il resto del dialogo si svolge sui binari della normalità, seppure apparente, il dialogo diventa amichevole: “ – Affari buoni, io le insegno questo. Ho sessantotto anni, la moglie è morta, l’artrite! Sto male, cerco di dimostrarle che cosa sono gli affari. Ma forse lei non impara. Quasi nessuno impara. E falliscono.” Il rapporto torna ad essere quello che Ethan non vuole, tra il titolare del negozio, che insegna gli affari, e il garzone. Questi protesta che ha imparato, è un buon affare condurgli il concorso. Che cosa significa: “condurgli il concorso”?
Avevo sbagliato a digitare un temine, forse anche a causa del correttore automatico, che nella videoscrittura, invece di correggere un errore, ne compie un altro, seguendo un diverso algoritmo? Forse. Allora, ho pensato che la frase giusta poteva essere: “condurli in concorso”, dove la correzione era minima. Ma il nuovo senso della frase non mi appariva soddisfacente: “è un buon affare condurli [gli affari] in concorso.” Il sottinteso, che vedremo interessante da un punto di vista ermeneutico, è quello che il garzone protesta il suo saper condurre buoni affari in concorso con il padrone.
E qui l’errore ermeneutico è madornale. In verità, a prima vista, può non apparire tale, anche se andiamo a consultare il testo, che io avevo dovuto ridurre in sintesi. La replica del garzone, infatti, era la seguente: “Ethan disse: “Senta Marullo, in pratica sono io che le mando avanti il negozio. Tengo la contabilità, incasso, ordino le merci. Sto dietro ai clienti. Ritornano. Non sono buoni affari questi?” – “Certo… qualcosa ha imparato. Non è più un ragazzo. Lei va in bestia quando le dico ragazzo. Come vuole che la chiami? Io chiamo tutti ragazzo.”