martedì 10 giugno 2025

Anteprima

 

          Il giardino felice



3 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

PASSATO PROFONDO

1. Il giardino felice
È accaduto a prima mattina, mentre andavo a prepararmi il caffè, ho percepito il tono di una voce, la sua variazione di ritmo, senza riconoscere le parole pronunciate. Ho fatto uno sforzo di memoria, e le parole sono risalite dal fondo della coscienza dove erano adagiate: “Oh, Laura, Laura, ho fatto di tutto per staccarmi da te…”
Tom Wingfield è salito sulla scala che dà sul tetto di casa, dopo che l’amico invitato a cena è andato via, disattendendo le aspettative di diventare il fidanzato della sorella Laura, come auspicato dalla loro mamma. Tom guarda la luna e sogna di partire e sempre viaggiare come il padre che li ha abbandonati.
“Non andai sulla luna, molto più lontano andai… perché è il tempo la linea più lunga tra due punti. Poco tempo dopo mi licenziarono per aver scritto una poesia su una scatola di scarpe. Lasciai Saint Luis. Discesi per l’ultima volta i gradini di questa scaletta, e seguii da allora le orme di mio padre, cercando di riprendere in moto quel che era perduto in spazio. Viaggiai e viaggiai. Le città sfioravano come foglie morte, foglie dai colori vivaci, ma avulse dal ramo. Avrei voluto fermarmi, ma qualcosa mi perseguitava. Mi prendeva all’improvviso, mi coglieva a tradimento. Forse un motivo familiare. O forse il riflesso di un pezzo di vetro. Una sera, magari, cammino per strada in una città straniera, senza compagni. Passo davanti alla vetrina illuminata di un negozio di profumi. La vetrina è piena di vetri colorati, di sottile bottigliette multicolori, quasi un arcobaleno in frantumi. Ecco, a un tratto mia sorella mi tocca sulla spalla. Mi volto e la guardo negli occhi. Oh Laura, Laura, ho fatto di tutto per staccarmi da te, ma sono più fedele di quanto volessi. Accendo una sigaretta, traverso la strada, mi butto in un cinema o in un bar, tracanno un bicchierino, parlo al primo che trovo… tutto pur che si spengano le tue candele… perché oggi il mondo è rischiarato dai lampi! Spegni le candele Laura… e addio!”
Il monologo finale dello “Zoo di vetro” di Tenesse Williams mi era tornato in mente, quella mattina, attraverso quella frase – “ho fatto di tutto per staccarmi da te” – e così anche le immagini del dramma teatrale che lo accompagnavano.
In quel tempo c’era la guerra in Ucraina e il Medio Oriente bruciava, poi sappiamo tutti come è andata a finire, ed ora siamo qui, ed io quando mi sono svegliato, sono stato raggiunto da quel tono recitato dall’attore che impersonava Tom Wingfield.
Durante la cena in famiglia, era venuta a mancare la luce, e Laura aveva acceso le sue candele: “Oh Laura, Laura, ho fatto di tutto per staccarmi da te … tutto pur che si spengano le tue candele…” Poi tutto è scivolato in un passato profondo, in un mondo rischiarato dai lampi! Spegni le candele Laura… e addio!

Silvio Minieri ha detto...

Questa è la storia e il dramma di Tom Wingfield, e quali i miei, invece? Ero partito da Roma per Parigi, dove mi ritrovai ai piedi della Rue Lepic, che sale verso Montmartre, un ritorno tanti anni dopo quello mia prima volta della mia giovinezza. Allora, d’un tratto, all’ora di pranzo, mentre sedevo in un bistrot dei grandi boulevard, avvertii forte e improvviso l’invito di una voce materna, che mi esortava a salire sulla collina di Montmartre (ma non era il Vomero o Posillipo?) Io non ricordo che cosa accadde quando salii per quelle scalinate che costeggiano le rampe di ascesa al Sacré-Cœur, una meta turistica, ma anche uno strano ricordo ed invito familiare.
“Sono passati parecchi anni da allora. La parete delle scale lungo la quale vidi salire il riflesso della candela non esiste più da molto tempo. Anche dentro di me tante cose sono andate distrutte che credevo dovessero durare per sempre, e altre nuove ne sono sorte facendo nascere nuove pene e gioie che quella sera non avrei potuto prevedere, così come quelle d’allora mi è ormai difficile capirle. E da molto tempo a mio padre non è più possibile dire alla mamma: “Vai col piccolo”. Quelle ore mi sono ormai inaccessibili. Ma da un po’ di tempo ho ricominciato a sentire molto bene, se mi concentro, i singhiozzi che ebbi la forza di trattenere davanti a mio padre e che scoppiarono quando, più tardi, mi ritrovai solo con la mamma. In realtà, essi non sono mai cessati; ed è soltanto perché la vita si è fatta adesso più silenziosa intorno a me che li sento di nuovo, come quelle campane di conventi che il clamore della città copre tanto bene durante il giorno da far pensare che siano state messe a tacere e invece si rimettono a suonare nel silenzio della sera.”
E così siamo passati dallo “Zoo di vetro” di Tenesse Williams alla “Recherche” di Proust, il bacio della buona notte della mamma, il tempo che non è mai passato. Ed è quindi ora di abbandonare il terreno della letteratura ed entrare nei territori della mia esperienza, che pur rimane circoscritta nei confini della memoria letteraria.
Si chiamava Sylvie, non Laura. Era la signora di un suo giardino, dove coltivava le rose e altri fiori, e di cui sapevo avesse al suo attivo diverse pubblicazioni sull’orticultura. Ricordo quando ci sedemmo nel dehors del bistrot a bere insieme una birra, in place du Tertre, in verità lei ordinò un bicchiere di vino bianco. E devo ancora dire che lei non sapeva di essere la stessa, anzi non era la stessa donna, che una delle mattine precedenti, oppure in un’altra diversa occasione, mi aveva seguito sulle linee del metrò. Era il mio angelo protettivo, privo della spada fiammeggiante dei cherubini, contro incombenti e sovrastanti pericoli sul futuro immediato di un mio drammatico destino, in verità abbastanza virtuale e quindi sempre possibile. È quel destino di morte invisibile, nascosto negli angoli delle strade del mondo, percorse da noi ignari mortali, scacciati dal giardino felice. Et voilà!
Sylvie, dunque, è l’ombra di un fuggevole ricordo, scomparso nella lontananza del tempo, che a tratti ritorna nel conflitto tra la poesia nostalgica della memoria e la ruvida realtà del presente. Non abbiamo ancora nelle orecchie il rombo degli aerei da combattimento, che nell’incanto della nostra meraviglia, venivano a sorprenderci in grigi stormi metallici, oscurando le albe crepuscolari dei nostri cieli? Non è forse ancora finita la nostra quotidiana miseria di un presente di distruzione e di lutti? Ma che cosa è che vado raccontando e interrogando? Non è forse il nostro destino? O il mio o il tuo? O quello di altri che siamo noi, che non siamo noi? Non è tutto avvolto nell’apparenza sfuggente di questo divenire della vita? Ahimè!

Silvio Minieri ha detto...

[N. d. B.]
Il testo del racconto, l’inizio di un racconto, che vado presentando, ne costituisce la prima stesura, quindi modificabile, anzi è auspicabile che venga modificata, riguardo soprattutto all’ultimo brano, in cui la poesia della memoria confligge con la ruvida realtà. E concludo citando i versi di Prévert in lingua originale:
“Oh Barbara
Il pleut sans cesse sur Brest
Comme il pleuvait avant
Mais ce n'est plus pareil et tout est abimé
C'est une pluie de deuil terrible et désolée
Ce n'est même plus l'orage
De fer d'acier de sang
Tout simplement des nuages
Qui crèvent comme des chiens
Des chiens qui disparaissent
Au fil de l'eau sur Brest
Et vont pourrir au loin
Au loin très loin de Brest
Dont il ne reste rien.”