martedì 15 luglio 2025

 


             Addendum



14 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

ADDENDUM
In un racconto, l’addendum è una sezione aggiuntiva posta alla fine del testo, che fornisce informazioni di supporto, chiarimenti o materiale documentario. Non è una parte integrante della narrazione principale, ma serve ad arricchire l'esperienza del lettore fornendo contesto, approfondimenti o materiale di riferimento. IA
Nel presente contesto l’addendum è costituito da un insieme di scritti – racconti o saggi – che si riferiscono al testo principale di “Il sangue e la fiamma”, secondo l’ordine di evocazione che di essi viene fatto nelle “Postille” al racconto stesso.
Le “Postille”, attualmente in fase di elaborazione, sono state e verranno pubblicate come post autonomi nell’edizione quotidiana (o quasi quotidiana) di aggiornamento del Blog. Tali post sono poi destinati a finire in coda al testo principale di “Il sangue e la fiamma”, post del 2 luglio 2025.

Silvio Minieri ha detto...

GUSCI D’UOVA
Quando Annetta, la commessa del supermercato, appoggiando la confezione sulla scansia vicino alla cassa, presagendo un piccolo disastro, disse: “Queste uova faranno una brutta fine”, nessuno dei presenti in coda, con il carrello della spesa, sembrò accorgersene, neppure Daniel. Ognuno era preso dalle sue preoccupazioni, però credo che tutti avvertirono il messaggio, registrandolo a livello subliminale. Sì, magari le uova cadono per terra e fanno la frittata, ma qual è il senso di un tale accadimento? Era vedovo da un anno Daniel, il Natale scorso, era in fila come quest’anno per la spesa sotto le feste, ma l’altra volta Lina lo aspettava a casa. Aveva in mano il cartone di un litro di latte, questa volta, una busta con i cornetti per la colazione, un pacco di spaghetti di cinquecento grammi, bastavano per una settimana a lui soltanto, un vasetto con sugo di pomodoro pronto, due lattine di birra, quella buona dei monasteri. Reggeva il tutto con le due mani a stento, stringendolo al petto, in attesa di arrivare al nastro della cassa, la preoccupazione sua era il vasetto di vetro del sugo di pomodoro. In fondo, la sua paura era quella stessa di Annetta, anche se riguardava due articoli diversi di spesa. Little drama, direbbero gli inglesi, in caso di scivolamento a terra e distruzione di quelle cose, fragili come gusci d’uova o vetri frangibili. Little drama, la lingua e l’humour inglese, Londra, Ludovica, quando sarebbe tornata? Ludo la chiamava la mamma, la sua bambina, ma se aveva quasi ventidue anni, ora ventitré! Adesso la mamma non c’era più, e lei, Ludo gli aveva telefonato: “Passo per Natale, a Capodanno vado in Grecia.” Ma è possibile che un piccolo damma possa evocare una brutta fine? Non è questo un presagio per altri forse più drammatici drammi?
Questi interrogativi si pongono a livello razionale della coscienza, ma nella precarietà che simboleggiano, nascondono più inconsce e rimosse paure, quelle che il disattento uditorio della premonizione di Annetta con il proprio indifferente atteggiamento non faceva altro che respingere, direi, non voler intendere. Gusci d’uova o frantumi di vetro sul pavimento di un supermercato, che all’occorrenza l’addetto alle pulizie, intervenuto sul posto con la segatura, la mazza di scopa e un secchio, avrebbe spazzato via. La fuga del tempo: “tout casse, tout passe, tout lasse", tutto si rompe, tutto passa, tutto ci lascia. Lina ci aveva lasciato, pensò Daniel, e pensò a Ludo che andava in Grecia. La fila si era mossa e Daniel avanzò di un passo, ancora un po' e il nastro della cassa era vicino. La salvezza? Avrebbe lasciato tutto quello che aveva serrato al petto con le mani su quel nastro, non un abbandono. Il nastro si muoveva in automatico, non era possibile fermarsi, bisognava proseguire.
Ecco, l’anno prima, nel garage sotto il supermercato, mentre saliva in auto, insieme a Lina, erano cadute delle bottiglie di vetro, versando il liquido contenuto, forse olio o vino o acqua, non ricordava. Allora, erano andati in un altro supermercato di un altro centro commerciale, più grande, ma distante da casa. Sono i rendez-vous del tempo, quei frammenti del tempo, che non fondono i diversi luoghi dello spazio, quando il tempo si ferma, e magari rimane una targa alla memoria in quel luogo.

Silvio Minieri ha detto...

“Ciao, Daniel,” una donna, che stava passando oltre la cassa, lo aveva salutato sorridendo. Fece in tempo a rispondere con un cenno della mano, mentre finiva di sistemare i suoi articoli sul nastro, compreso il vasetto di sugo di pomodoro, ora in salvo. Dopo aver pagato, e messo tutti gli articoli nella busta della spesa, si chiese chi fosse quella donna che lo aveva salutato, peraltro chiamandolo per nome. Non era la donna delle pulizie del caseggiato, dove viveva, no, impossibile. E allora perché aveva pensato a lei? Diciamo che le prime volte lo trattava confidenzialmente, poi d’un tratto aveva cambiato atteggiamento, e quando lui passava si metteva sull’attenti. Forse perché d’inverno portava un berretto di pelle nera con la visiera e Pamela lo aveva scambiato per un militare graduato, magari lei aveva il marito o il figlio soldato semplice. Ma non era stata abolita la leva? Sì, non però la professione di soldato.
Era sceso nel garage, si era distratto, non aveva parcheggiato all’interno, ma in strada. Ed ora rivide il volto della donna che lo aveva salutato e di cui non ricordava il nome, o forse non lo sapeva. Ecco, era la moglie di un alienista, il dottor Franceschetti, che era venuto ad abitare con la nuova moglie nel palazzo di fronte, e l’aveva incontrata qualche giorno prima, mentre usciva dal palazzo. Infatti, anni prima, lui e Lina avevano conosciuto Franceschetti al mare, in una villetta del Circeo, dove l’alienista passava l’estate unicamente con una figlia adolescente. E allora, per avere compagnia, invitava spesso amici e conoscenti, tra cui Lina, che mi trascinava con sé. Forse più che alla professione dell’alienista, nel cui studio si era recata un paio di volte, era interessata alla persona del dottore. Era andata da Franceschetti, per curiosità, diceva lei, in quanto non soffriva di turbe mentali, e le farei torto a riconoscere che non era vero. Lina era soltanto una donna curiosa, come tutte le donne curiose, e nulla più, poi forse si era invaghita del professore, o forse lui mostrava amicizia, non lo so. O meglio, il dottor Franceschetti aveva scelto Lina e il consorte, cioè lui, Daniel, come suoi amici, allo stesso modo di altri suoi conoscenti, forse anche suoi pazienti.

Silvio Minieri ha detto...

E ora faccio un paragone, che forse non c’entra o forse c’entra con la nostra storia: l’annuire del nume. Credo che fosse stata Lina a parlarne con Daniel, dopo qualche sua conversazione con il professore. Il dottor Franceschetti aveva citato Jung: “I Seminari sullo Zarathustra”, e Daniel era andato a controllare il testo, un commento al passo di Nietzsche sul pallido delinquente: “Voi non volete uccidere, o giudici e sacrificatori, prima che la vittima non abbia accennato col capo. Ecco, ora il pallido delinquente ha accennato”. Scrive Jung: “Nietzsche era in possesso di una profonda conoscenza filologica e con questo annuire o piegare il capo ci si riferisce al movimento che in latino viene denominato ‘numen’, indicante un cenno: annuire con il capo è fare un cenno, dare un segno. Dopo avere sussurrato all’orecchio del dio e aver sostato innanzi alla sua divina immagine, ti accorgi d’un tratto che il dio, la statua, annuisce con il capo. Ti ha udito e si mostra d’accordo o in disaccordo con te: è questo il ‘numen’. Studiando le fantasie, è possibile osservare fenomeni di questo genere; quando ti concentri su – betrachten [contemplare] – un’immagine della fantasia, dopo un po' questa magari inizia a muoversi. L’hai fecondata con la tua vita e si muove, esattamente come accade quando ti concentri su un’immagine con un interesse esclusivo: questa inizia a muoversi. Il ‘numen’ è una connotazione della potenza divina, l’assenso del dio. Perciò il testo tedesco indica che i giudici e coloro che compiono il sacrificio non vogliono sacrificare o uccidere l’animale, prima che questo abbia annuito – prima che abbia dato il proprio assenso o giustificato l’uccisione.” Nella mia interpretazione, la vittima era Lina, il dio Franceschetti, il sacerdote sacrificante Daniel. E quando questi si era avvicinato al professore per sussurrargli nell’orecchio e sostato davanti alla sua divina immagine – intendiamoci la scena non era avvenuta nella realtà, ma nella fantasia di Daniel – ecco che il dio aveva accennato col capo, mostrando, nel nostro caso, il suo disaccordo. Al contrario, Lina aveva annuito, ma il dio era in disaccordo, e Daniel non poteva sacrificare la sua consorte, senza l’assenso del dio. Ora questa mia interpretazione dei fatti accaduti in quel tempo, devo riconoscere, è abbastanza confusa, perché lascia in sospeso in che cosa consistesse questo sacrificio di Lina, peraltro in una scena rituale che si svolgeva nella fantasia di Daniel. Infatti, era stato lui che avendo cominciato a concentrarsi (betrachten) sull’immagine di Franceschetti, dopo un po' lo aveva visto muoversi, ossia piegare il capo e annuire. Ma non sappiamo che cosa lui, in veste di sacerdote, avesse sussurrato all’orecchio del dio, nel senso di che genere di sacrificio compiere: un rito di morte? No! Ecco perché il dio aveva annunciato il suo disaccordo, che però era in disaccordo con l’annuire di Lina. E qui nasce la confusione, dovuta a questo disaccordo, un verosimile malinteso intercorso fra i due, Lina e Franceschetti.

Silvio Minieri ha detto...

La storia, comunque, ci racconta che dopo alcuni anni, l’alienista con la nuova moglie era andato ad abitare nel palazzo di fronte a loro, quello di Lina e Daniel, e la donna deve avere coltivato l’amicizia con la nuova signora Franceschetti, dell’altra o altre precedenti consorti del dottore non sappiamo, mancandone la narrazione.
Una sera avvenne il disastro. Mentre dormivano, Lina si svegliò di soprassalto e lanciò un urlo disperato, che lacerò il silenzio e la quiete notturna, svegliando di colpo anche lui. Era accorsa Ludovica, che dormiva nella stanza accanto. La madre implorava di chiamare un medico, lui aveva detto a Ludovica di avvertire immediatamente Franceschetti, ma Lina si era rivoltata: “No, non Leonardo! Uno specialista!”
Era avvenuto tutto in poche settimane: l’immediato ricovero in ospedale, l’intervento chirurgico inefficace, la malattia sempre più grave, lo strazio, la fine.
Daniel era uscito dal garage del supermercato e si era avviato verso la sua automobile, parcheggiata in strada: tocco sul tasto del telecomando, segnale luminoso e apertura a scatto dello sportello dell’autovettura, entanglement, no, soltanto l’invio di un segnale codificato da parte di un piccolo dispositivo a raggi infrarossi e la ricezione a breve distanza di apposito ricevitore. Nella correlazione quantistica, entanglement, la misura di un osservabile determina in simultanea anche il valore per gli altri. Le scoperte della fisica quantistica fanno volare sulle ali della fantasia in altri territori sempre più sfumati e indistinti, quelli dello spirito, sconfinando nel campo della filosofia, la mistica, l’irrazionale. Ecco allora l’intreccio, la correlazione a distanza negli infiniti spazi dell’Universo, dove volano le anime dei mortali defunti sul pianeta Terra ad illuminarsi nell’annuncio di nuove stelle. “I nostri morti ci aspettano, ora sono degli dèi, per ora stanno fermi nella luce, come le stelle fisse del cielo”. Non erano queste le parole dell’autobiografia di un grande filosofo del ‘900, ora scomparso?
Daniel mise in moto, andava a casa. Sulla luna del pianeta nano Desiderio, in hawaiano Makemake, della fascia di Kuiper, un puntino luminoso nello spazio profondo, qualcuno stava aspettando. Attraverso alcune vie del quartiere e alla fine del tragitto era arrivato. Parcheggiò in garage, scese dall’automobile, prese la borsa della spesa, andò all’ascensore e salì. Davanti alla porta di casa, sentì abbaiare un barboncino all’interno: era Violina! Allora, Ludo era arrivata, a sorpresa! Non venne ad aprire, non aveva sentito abbaiare Violina. Ma dov’era? Si avviò in cucina, la vide di spalle, aveva gli auricolari. Si avvicinò e le toccò una spalla, la ragazza si voltò di scatto: “Papà!” Nello stesso momento, l’uovo che stava aprendo sul piatto le cadde di mano e finì a terra. Con un piede, Daniel spostò Violina corsa ad annusare il tuorlo e l’albume sparsi sul pavimento. “Pulisco” disse Ludo. Daniel continuò a osservare i gusci d’uova caduti a terra, l’entanglement, la profezia di Annetta si era avverata?
“Non vai più in Grecia?” No, aveva cambiato programma e meta di viaggio. “E dove vai?” Con altri amici in Tunisia. Aveva finito di pulire per terra, e rimosso i gusci d’uova.

Silvio Minieri ha detto...

LA CARTOLINA
Ludovica mandò una cartolina da El Jem, una delle mete della crociera in Tunisia, che lei fece in compagnia di Sergio, assieme ad altri amici. Quello con cui doveva andare in Grecia però non c’era, mi sembra si chiamasse Amedeo o Asmodeo.
L'anfiteatro di El Jem venne costruito dai Romani sotto il proconsole Gordiano I, acclamato imperatore (238 d.C.) a Thysdrus, il nome antico della città. Aveva una capienza di 35.000 posti, luogo per spettacoli di gladiatori e corse dei carri.

Silvio Minieri ha detto...

COMPLESSI INCONSCI

GRAND PLACE. HOTEL.
Good morning, Sir. – Morning. (fra sé) Ora vado in fondo al corridoio, all’ascensore. Eccone un’altra – Good morning, Sir. – Morning. (fra sé) Gentili queste donne ai piani. Ecco l’ascensore. Scendo nella hall. Al bancone per il checking-out. – Bonjour, monsieur. – Bonjour, ma facture, s'il vous plaît. – Oui monsieur, tout de suite. Et voilà. – (fra sé) Ecco, pagato. – Votre taxi est arrivé, monsieur. – Oh! Oui, merci. – Au revoir, monsieur, à bientôt. – Au revoir, à bientôt.

AEROPORTO ZAVENTEM
Tous les passagers à destination de Rome Fiumicino sont priés de se présenter à l'embarquement. (fra sé) Ecco!

IN VOLO
Tous les voyageurs sont priés d'attacher leur ceinture de sécurité. (fra sé) Adesso, rullaggio, decollo, guardo attraverso l’oblò, vedo l’atomium, infilo gli occhiali da sole, chiudo gli occhi, provo a dormire, così recupero un po' di sonno. SOGNO. Allora ti sei deciso a tornare? Chi sei? Sono il demone di Galvani. Uno spirito notturno. Luci città di sera, un crepuscolo azzurrino insieme ad un’ombra sorridente, un pupazzo nero sventolante al finestrone fiammingo nel grigio dell’alba. RÊVERIE. Avanzano, gonna grigia, camicia bianca, spingono il carrello lenzuola e asciugamani, corridoio hotel, tintinnii di stoviglie e bicchieri. Apro gli occhi, le hostess in divisa blu, in cabina, attraverso l’oblò le nuvole, il cielo. Chiudo gli occhi, dormo. SOGNO. Una verde giornata d’autunno nel parco romano, un sognante pomeriggio d’estate al Circeo, la scala assolata conduce in alto a Posillipo. L’ufficio, il foglio stampato, il nome in fondo, Blogherini. La strada in penombra, in discesa, rischiara, apro gli occhi, dall’oblò vedo che l’aereo si avvicina a terra, allacciare le cinture di sicurezza, atterraggio, sbarco.

Silvio Minieri ha detto...

A CASA
Accendo la televisione. Pubblicità. Meteo, tempo in miglioramento, temperature nella media. Pubblicità. Buone feste. Chicco, dove c’è un bambino. Ma chi è Galvani? Quello delle rane? La telefonata del 31 dicembre: “Sono l’amministratore del Blog. – Buon anno, Manieri. – Buon anno, Blogherini. – Sì? – Allora, d’accordo? Per il ’24 sei il nuovo direttore di “Il Raccoglitore”. – D’accordo, torno a Roma, ai primi di gennaio. – Va bene, ci vediamo o sentiamo in redazione. – Di nuovo, buon anno. – Auguri, Blogherini. – Ciao, Manieri. – Ciao.” Ah, Amedeo! Sì, Galvani aveva sentito da lui quel nome. Ma no! Valiani, non Galvani. Poi vediamo. Era stato Amedeo a dirgli che se ne andava da “Il Raccoglitore”, tornava nella realtà, non voleva restare per sempre un avatar del Blogger, la divinità del Blog, colui del quale non si pronuncia il nome, e forse è meglio. Avevano parlato delle pubblicazioni sul Blog nel ’23, e siccome Amedeo gli telefonava da Parigi, gli aveva detto di un racconto, “Le luci di Concorde”? I nomi dei personaggi, sì, Piersilvio e Galvani, no, Valiani. Va bene, poi controllo. Però aveva detto Galvani, mah! E lo spirito notturno? Lui! No, il demone. Una confusione psichica. Ma gli spiriti sono coscienti? Un altro interrogativo di Amedeo? No, mio, controlliamo: “Dunque, gli spiriti, veduti sotto il profilo psicologico, sono complessi autonomi inconsci, che appaiono in forma di proiezioni, perché non hanno un’associazione diretta con l’Ego.” Jung, “I fondamenti psicologici nella credenza degli spiriti”, 1920. L’autore annota: “Non bisogna scambiare questa affermazione per un’asserzione metafisica. La questione se gli spiriti esistano in sé è ben lungi dall’essere risolta. La psicologia non si occupa delle cose quali sono “in sé stesse”, ma soltanto del modo in cui sono pensate dall’individuo.” Così il fondatore della psicologia del profondo. E noi? Amedeo sosteneva (ma non ero invece io a pensarlo?) che noi tutti siamo degli avatar (incarnazioni) di un Blogger, che vive in un’altra sfera di realtà, quella vera , un mondo ideale, e qui non capisco più bene questa sua realtà ideale. Quindi, noi siamo come il denominatore di una frazione per zero, delle nullità che vengono all’esistenza e si dissolvono, senza modificare per nulla il mondo divino dell’Uno, che abita il nostro cielo, sopra la linea della frazione. Ma chi è che dice queste cose? Gli indiani. E solo loro potevano fare queste affermazioni! Così diceva ridendo Amedeo, e così io l’ascoltavo ridendo anch’io, e ridevamo, ridevamo neh, ridevamo come matti. Ma da dove mi vengono queste turbe di pensieri? Dall’inconscio profondo, dice Jung. E bravo anche lui! E i demoni? Il demone di Galvani, per esempio? Se penso a quelle giovani donne in gonna grigia e camicia bianca, erano le donne al piano dell’hotel di Bruxelles o le hostess sull’aereo in volo? Una rêverie, immagini di sogno che diventano pensieri. E così i verdi giardini, i colori mediterranei, gli echi musicali. E il foglio stampato con in calce il mio nome: Blogherini? Complessi autonomi inconsci. Vedremo.

Silvio Minieri ha detto...

1. IL PRIMO GIORNO
“Buon giorno. – Buon giorno, sono Blogherini. – Il nuovo direttore? – Sì, per l’anno 2024. – Auguri, direttore. – Lei è la guardia del Blog? – Sì, il portinaio. – L’angelo portinaio del Purgatorio? – Sì, così diceva Galvani, io mi chiamo Angelo. – Galvani? – Ma come? L’amico vostro, Amedeo, il direttore di prima. – No, quello è Modigliani. – Sì, ma si faceva chiamare Galvani. – Per non essere confuso con il pittore? – Non lo so. – Va bene, io salgo. – Direttore, posso andare a casa? – Ma sono le otto del mattino! – Debbo accompagnare le bambine a scuola. – Va bene, vai. – Grazie, direttore.” Questo significa cominciare bene. Però, hanno lavato le scale e non si sono ancora asciugate. Eccola, quella con il camice celeste, la mazza, lo straccio e il secchio.
“Buongiorno. – Zdorov'ye.” Ecco la porta, entriamo. Quella deve essere la segretaria. “Buongiorno, sono Blogherini. – Io, Anita, ben arrivato. – Mi stava aspettando? – Vengo ogni mattina. – Bene, quello è il computer? – Sì. – Vado alla scrivania. – Direttore? – Che c’è? – Posso andare a casa? – Deve accompagnare i bambini a scuola? – No, devo andare da mia madre. – Vada. – Grazie, direttore, arrivederci.” E adesso questa donna delle pulizie? “Signora, ha finito? – Da, Sir. – Arrivederci. – Spasibo, do svidaniya. – Do svidanya.” Allora, siamo entrati uno, sono usciti tre, per arrivare a zero, devono entrare altri due. Ah, eccone che ne arriva uno, siamo in due. – Buongiorno, sono Luciani, redattore della Rivista. – Buongiorno, sono Blogherini. – Sono lieto di conoscerla, direttore. – Collaborava con Amedeo? – Sì. – Se n’è andato nella realtà vera, diceva che qui siamo gli avatar di una realtà digitale. – Sì, lo diceva anche a me. – Secondo me, se n’è andato ai Caraibi. – La lunga estate di Caracas. – Bene, ci siamo fatti la nostra risata mattutina, che è un’ottima medicina, adesso controlliamo i post. – Direttore, sono stati tolti tutti quelli dei pianeti nani. – Sì, lo vedo, allora mi devo leggere i file. – La serie si è interrotta all’improvviso. – Che cosa è successo? – Quelli di Orco? – Un pianeta nano della fascia di Kuiper? – Sì, nella fascia il direttore Amedeo aveva mandato un suo avatar. – Un’incarnazione di Amadeo? – Sì. – Smaterializzato. – E non abbiamo più sue notizie? – No. – Dobbiamo mandare qualche nostro avatar a vedere. – Certo, Direttore. – Io mando il mio, lei pure? – Senz’altro, Direttore. – Chiamami Blogherini. – Va bene, direttore Blogherini. – Così va meglio, andiamoci a prendere un caffè. – Se permette, offro io. – Va bene.

Silvio Minieri ha detto...

2. IN STRADA
L’Angelo portinaio non è tornato, non c’è nessuno alla porta. – Al rientro, possiamo usare il codice, vede? – Ah, bene! Chiudiamo. – Ecco fatto. – Dove andiamo? – Da “Rosa”. – Il caffè, in fondo alla strada? – Sì, vicino all’incrocio. – Ma quella è la donna delle pulizie? – Sì, la nuova. – Senza camice celeste, non la riconoscevo. – Sta andando a prendere l’autobus. – Da quando è qui? – Da pochi giorni. – Prima c’era Anna, e prima di Anna, Anna Paola. – Sempre Anna? – Sì, anche la nuova. – Annushska, allora. – Annushka juz rozlala olei. – Annushka ha già versato l'olio. – Conosce anche lei il russo? – No, solo qualche frase. – Questa l’ha sentita da Amadeo, immagino. – “Annushka ha già comprato l'olio di girasole, e non solo l'ha comprato, ma lo ha anche versato”. – Woland annuncia a Berlioz che una donna, a breve, gli taglierà la testa. – Il nostro destino è in mano alle donne. – “Il maestro e Margherita” di Bulgakov. – Sì, sono andato a Mosca a vedere il luogo dove è scivolato Berlioz, all’incrocio tra la via Bronnaja e la via Ermolaevskij. – Ci sono ancora i tornelli per attraversare i binari del tram? – No, per la via Bronnaja, il tram non passa più, e non ci sono più le rotaie e i tornelli. – È passato un secolo da allora. – E da allora Annushka non è più andata a comprare l’olio di girasole dal droghiere e non l’ha già più versato. – Direttore, ma nel cielo di Mosca non ha visto e sentito ronzare qualche drone? – Quelli che fanno i botti? – Sì. – No, non sono andato a Capodanno, era fine estate. – Ah! Siamo arrivati al caffè. – Allora, entriamo. – Prego, dopo di lei.

3. RIENTRO IN UFFICIO
Ottimo il caffè. – Amedeo diceva che era una ciofeca. – Però poi la mattina andavate a prenderlo sempre lì. – Era un rito. – Veniva anche la segretaria? – Una o due volte all’inizio. – L’Angelo portinaio non si vede. – Prendo il badge. – Sarei rimasto fuori. – Ecco. – Dovrò averne uno anch’io. – Deve chiedere ad Anita. – Domani. – Se viene. – Ci sarà l’Angelo portinaio. – Quello di sicuro non lo vede. – Ci sarà Annushka. – Sì, a quest’ora, avrà già lavato le scale. – Speriamo non abbia comprato l’olio di girasole. – E non l’abbia già versato. – Saliamo. – Direttore, io vado. – Sì, a domani, si ricordi, dobbiamo mandare i nostri avatar nella fascia di Kuiper. – Senz’altro. – E io vado a pubblicare l’estratto del romanzo, per domani.

Silvio Minieri ha detto...

L’OLIO DI GIRASOLE
Estratto del romanzo “Il Maestro e Margherita” di Michail Bulgakov.

CAPITOLO PRIMO […] “Berlioz spalancò gli occhi. «A colazione... con Kant? Che assurdità sta dicendo?», pensò.- Però, - continuava lo straniero, per nulla turbato dallo stupore di Berlioz, e rivolgendosi al poeta, - non è possibile spedirlo a Solovki per il semplice motivo che da oltre cento anni egli si trova in luoghi assai più remoti, e trarlo di là è assolutamente impossibile, glielo assicuro.- Peccato! - replicò il poeta attaccabrighe.- È proprio un peccato, - confermò lo sconosciuto facendo brillare l'occhio, e continuò: Ma ecco il problema che mi preoccupa: se dio non esiste, chi dirige la vita umana e tutto l'ordine sulla terra?- È l'uomo che dirige, - si affrettò a rispondere irritato Bezdomnyj a questa domanda che, bisogna riconoscerlo, non era molto chiara.- Mi perdoni, - replicò con dolcezza lo sconosciuto, per dirigere bisogna avere un piano esatto per un periodo abbastanza lungo. Mi permetta perciò di chiederle come può l'uomo dirigere, se non solo gli manca la possibilità di fare un piano perfino per un periodo ridicolmente breve, come, diciamo, un millennio, ma non è neppure in grado di rispondere del proprio domani!- Del resto, - qui lo sconosciuto si voltò verso Berlioz, - immagini che lei si metta a dirigere, a disporre di sé e degli altri, che cominci, come dire, a prenderci gusto, ma a un tratto lei scopre di avere, he... he... un sarcoma al polmone - Qui lo sconosciuto sorrise dolcemente, come se il pensiero di un sarcoma al polmone gli facesse piacere, sì, un sarcoma... - ripeté questa sonora parola socchiudendo gli occhi come un gatto, - e la sua attività direttiva è bell'e finita!- Nessun destino, eccetto il proprio, la interessa più. I parenti cominciano a mentirle. Lei, sentendo che c'è qualcosa che non va, si precipita dai migliori medici, poi dai ciarlatani, e magari dalle chiromanti. Sia la prima cosa che la seconda e la terza sono, lei capisce, assolutamente insensate. E tutto finisce in modo tragico: colui che, ancora poco fa, credeva di dirigere qualcosa, è steso immobile in una cassa di legno, e le persone circostanti, comprendendo che dal defunto non si cava più alcun costrutto, lo cremano in un forno.- Ma succede anche di peggio: uno magari ha appena deciso di andare a Kislovodsk, - qui il forestiero guardò Berlioz strizzando gli occhi, - una cosuccia da nulla, si direbbe, ma non riesce a fare neppure quella, perché scivola e va a finire sotto un tram! Non mi vorrà mica dire che è stato lui a dirigere sé stesso in quel modo! Non sarebbe più giusto pensare che è stato qualcun altro a dirigerlo così? Qui lo sconosciuto emise una strana risatina.

Silvio Minieri ha detto...

Berlioz aveva ascoltato con grande attenzione lo sgradevole racconto sul sarcoma e sul tram, e certi pensieri allarmanti cominciavano a tormentarlo. «Non è un forestiero... non è un forestiero...- pensava, - è un tipo stranissimo... ma insomma chi mai può essere?» […] «Bisognerà rispondergli così, - decise Berlioz, - sì, l'uomo è mortale, nessuno lo mette indubbio. Ma il fatto è che...» Però non fece in tempo a pronunciare queste parole che lo straniero riprese a parlare: - Sì, l'uomo è mortale, ma questa sarebbe solo una mezza disgrazia. Il brutto è che a volte muore all'improvviso, è questo il guaio! E in genere non è in grado di dire che cosa farà stasera. «Che modo assurdo d'impostare il problema...», penso Berlioz e obiettò: - Via, adesso lei sta esagerando. So più o meno esattamente che cosa farò stasera. Naturalmente, se mentre passo per la Bronnaja mi cade una tegola in testa...- Una tegola, - lo interruppe gravemente lo sconosciuto, - non cadrà mai in testa a nessuno così, senza una ragione. In particolare, posso assicurarle che lei non corre affatto questo rischio. Lei morirà di un'altra morte. - Forse lei sa di quale, - s'informò Berlioz con un'ironia perfettamente naturale, lasciandosi trascinare in una conversazione veramente assurda, - e me lo vorrà dire? - Volentieri, - replicò lo sconosciuto. Misurò Berlioz con lo sguardo, come se si accingesse a fargli un vestito, borbottò tra i denti qualcosa come: «Uno, due... Mercurio è nella seconda casa... la luna ne è uscita... sei: disgrazia... sera: sette...» e annunciò con voce forte e gioiosa: - Le taglieranno la testa! Con astio e stupore Bezdomnyj spalancò gli occhi sul disinvolto sconosciuto, mentre Berlioz chiese con un sorriso forzato: - Chi, per la precisione? Nemici? Invasori? - No, - rispose l'interlocutore, - una donna russa, un membro della Gioventù comunista. - Hm... - mugolò Berlioz, irritato dallo scherzetto dello sconosciuto, - scusi, sa, ma è poco verosimile. - Mi scusi lei, - rispose il forestiero, - ma è proprio così. Ah già, le volevo chiedere che cosa fa stasera, se non è un segreto?- Non lo è. Adesso vado un momento a casa, sulla Sadovaja, poi alle dieci ci sarà una seduta al MASSOLIT, e io la presiederò.- No, questo non è assolutamente possibile, - rispose con fermezza il forestiero.- Perché?- Perché, - rispose l'altro, e con gli occhi socchiusi guardò il cielo dove, presentendo la frescura della sera, uccelli neri sfrecciavano in silenzio, - Annuška ha già comprato l'olio di girasole, e non solo l'ha comprato, ma l'ha anche rovesciato. Perciò la seduta non avrà luogo. È chiaro che a questo punto sotto i tigli subentrò il silenzio. - Scusi, - disse dopo una pausa Berlioz, guardando il forestiero che stava sragionando, - che c'entra l'olio di girasole?... e di quale Annuška sta parlando? […]

Silvio Minieri ha detto...

CAPITOLO TERZO […] Berlioz sussultò di nuovo. Ma come faceva quel pazzo a conoscere l'esistenza dello zio di Kiev? Questo nessun giornale l'aveva certamente mai pubblicato. Ehi, non aveva allora ragione Bezdomnyj? E se quei documenti fossero stati falsi? Oh, un tipo davvero strano!... Telefonare, telefonare subito! Avrebbero fatto presto a scoprire chi fosse! E non ascoltando oltre, Berlioz riprese a correre. Qui, proprio all'uscita sulla Bronnaja, si alzò da una panchina per venire incontro al direttore quello stesso personaggio che prima, alla luce del sole, si era plasmato dalla densa canicola. Adesso però non era più fatto d'aria, ma di carne e ossa, e nel crepuscolo incipiente Berlioz vide con chiarezza che aveva un paio di baffetti a forma di penne di gallina, occhietti piccoli, ironici, mezzi brilli, e pantaloni a quadretti tirati tanto che si vedevano i calzini bianchi sporchi. Michail Aleksandrovič indietreggiò stupito, ma si confortò pensando che si trattava di una sciocca coincidenza e che comunque non aveva tempo di rifletterci. - Cerca l'uscita, signore? - s'informò con fessa voce tenorile il tizio a quadretti. - Di qui, prego! Vada diritto, e arriverà a destinazione. Per il consiglio mi dovrebbe pagare un quartino... così l'ex maestro di cappella si tira su!... - Facendo mille smorfie quell'individuo si tolse il berretto da fantino con un ampio gesto. Berlioz non stette ad ascoltare quel vagabondo e buffone che si diceva maestro di cappella, si avvicinò di corsa verso il tornello di uscita e vi appoggiò la mano. Dopo averlo girato, si accingeva già a mettere i piedi sulle rotaie quando gli esplose in viso una luce rossa e bianca: nella cassetta di vetro si era accesa la scritta «Attenti al tram!» E subito spuntò il tram annunciato, voltando sulla nuova linea che portava dall'Ermolaevskij alla Bronnaja. Dopo che ebbe voltato e imboccato il rettilineo, all'improvviso si illuminò all'internodi luce elettrica, ronzò e accelerò. Il prudente Berlioz, benché fosse al sicuro, decise di tornare dietro il cancello, spostò la mano sul tornello e arretrò di un passo. In quell'istante la sua mano scivolò e perse l'appoggio, il piede, come se si fosse trovato sul ghiaccio, sdrucciolò inarrestabile sul selciato che scendeva declive verso le rotaie, l'altro piede volò in aria, e Berlioz fu sbalzato sulle rotaie. Tentando di aggrapparsi a qualcosa, Berlioz cadde riverso, urtando leggermente la nuca sul selciato, e fece in tempo a vedere in alto, se a destra o sinistra questo non lo capì, la luna dorata. Riuscì a girarsi sul fianco, stringendo con un movimento impetuoso le gambe alla pancia, e voltatosi, vide slanciarglisi addosso con una forza irrefrenabile il volto, completamente bianco di terrore, della conducente e il suo fazzoletto scarlatto. Berlioz non emise un grido, ma intorno a lui tutta la via strillò in un coro di disperate voci femminili. La conducente diede uno strappo al freno elettrico, la vettura s'impuntò, poi sobbalzò all'istante, e con uno schianto e un tintinnio i vetri volarono via dai finestrini.

Silvio Minieri ha detto...

Allora nel cervello di Berlioz qualcuno gridò disperato: «Possibile?» Ancora una volta - l'ultima - balenò la luna, ma ormai rovinando in pezzi, poi fu buio. Il tram coperse Berlioz, e, sotto il cancelletto del viale Patriaršij, sul pendio lastricato fu gettato un oggetto tondo e scuro, che rotolò giù dalla china, saltellando sul selciato. Era la testa mozzata di Berlioz. […] Si spensero le isteriche urla femminili, tacquero gli stridenti fischietti dei poliziotti, due ambulanze portarono via: l'una, il corpo decapitato e la testa tagliata all'obitorio e l'altra, la bella conducente ferita dalle schegge di un vetro, alcuni portinai dai bianchi grembiuli spazzarono via i frammenti di vetro e cosparsero di sabbia le pozze di sangue; e Ivan Nikolaevič, che si era lasciato cadere su una panchina senza arrivare fino all'uscita, vi si accasciò. Tentò più volte di alzarsi, ma le gambe non gli ubbidivano: gli era venuta una specie di paralisi. Il poeta si era precipitato verso l'uscita non appena aveva sentito il primo urlo, e aveva visto la testa saltellare sul selciato. Era talmente scosso che, lasciatosi cadere sulla panchina, si morse un amano fino a farla sanguinare. Di quel pazzo di tedesco, naturalmente, si era dimenticato e cercava di capire una cosa sola: come era possibile che avesse appena parlato con Berlioz e, un momento dopo, quella testa... Agitata, la gente correva davanti al poeta lungo il viale, gettando esclamazioni, ma Ivan Nikolaevič non percepiva le loro parole. D’un tratto, però, vicino a lui si incontrarono due donne, una, col naso appuntito e la testa scoperta, gridò all'altra queste parole proprio sopra l'orecchio del poeta: -... Annuška, la nostra Annuška! Quella della Sadovaja! Guarda che ha combinato!... Ha comperato dell'olio di girasole dal droghiere, e paf! la bottiglia le si rompe contro il cancello del giardino! Si è rovinata tutta la gonna, e tirava certi moccoli!... E lui, poverino, si vede che è scivolato ed è andato a finire sulle rotaie.”