STATUTO EPISTEMOLOGIOCO DELLA PSICHIATRIA “La psichiatria è la disciplina, che nel contesto delle discipline mediche, si occupa dei fenomeni e dei disturbi della vita psichica. L’appartenenza della psichiatria al dominio delle scienze mediche, e delle scienze della natura più in generale, non è tuttavia qualcosa di univoco e scontato. Storicamente, essa nasce, certo, da quest’ultimo ceppo e mantiene a lungo una marcata dipendenza da quell’insieme di saperi e discipline legate alla neurologia, e in senso più lato, a quella matrice materialistica e organicistica, che ancora oggi tende a prevalere nel suo impianto e nelle sue opzioni di fondo. Non vi è, nondimeno, psichiatria, se non quando essa assume a oggetto della propria osservazione, a tema della propria comprensione, a destinatario delle proprie pratiche terapeutiche non tanto o soltanto un complesso di sintomi, un’alterazione organica, un quadro patologico biologicamente inteso e connotato, ma l’insieme della vita psichica del paziente, la complessità vivente della sua esistenza, l’interezza delle sue espressioni umane, nelle molteplici e stratificate fondazioni di senso, che le sorreggono e le animano. La psichiatria si trova quindi costitutivamente in bilico tra le scienze della natura e le scienze dello spirito, secondo la distinzione che tanto rilievo assume già nella riflessione di Dilthey e che nel capolavoro psichiatrico di Karl Jaspers (1913), Allgemeine Psychopathologie (trad. ital. “Psicopatologia generale”, 1964), segna un’articolazione e un’esigenza epistemologica decisiva. La psichiatria, nata come scienza della natura, sconfina peraltro fuori da questo suo statuto naturalistico non soltanto in direzione della psicologia, ma anche in direzione, per es., della sociologia e della filosofia. Non c’è, infatti, possibile comprensione di una vita psichica, normale o alterata, se non alla di una più allargata comprensione del mondo di significati sociali e culturali entro cui essa si colloca e di cui essa si nutre. Che cosa sia un corpo e che cosa sia una psiche, che cosa sia la normalità di una vita psichica o di una funzione cerebrale e che cosa sia la loro anormalità, la loro follia, la loro sofferenza, sono sempre e soltanto l’esito di grandi opzioni sommerse, di scelte di campo, di costruzioni e convenzioni, che solo in apparenza rispondono ai criteri di un progetto scientifico specialisticamente chiuso e autofondato entro i propri confini. Più radicalmente, tali opzioni derivano alla psichiatria dalla sua preliminare Einstellung filosofica, dalla sua integrale appartenenza alla vicenda dei saperi e delle scienze, che la filosofia ha inaugurato e promosso lungo una storia che va “da Aristotele ad Hegel”, per usare una celebre, icastica formula di Heidegger.
A tale complesso statuto epistemologico della psichiatria, infine, non sono estranee, come hanno via via mostrato, gli studi di Foucault, influssi, prestiti e debiti, che risultano esterni sia all’ambito delle scienze della natura sia all’ambito delle scienze dello spirito, o delle scienze umane, come oggi sono più spesso definite, quando siano intese nel loro significato anzitutto filosofico, psicologico, antropologico. Influssi, prestiti, debiti, nati nel contesto di pratiche sociali, culturali, politiche, nel cui intreccio soltanto sono potute emergere quelle peculiari figure del sapere e della pratica scientifica che sono lo psichiatra, l’ospedale psichiatrico, il paziente psichiatrico, come noi oggi li conosciamo. Ciascuna di queste polarità risente infatti di una complessa genealogia storica, che ne ha più volte cancellato e ridelineato lo statuto, ora includendo ora escludendo valutazioni morali e religiose, preoccupazioni sociali (si pensi, ancora oggi, al complesso statuto di una disciplina di confine come la psichiatria forense) e ambizioni filantropiche, metodologie mediche e approcci detentivi o addirittura repressivi, sino a plasmare questo mobile intreccio nella figura che ci è familiare , e che ci appare, alla superficie, come un blocco di “realtà” monolitica e aproblematica.” Eugenio Borgna, (1930 – 2024) psichiatra e saggista italiano, autore della voce “Psichiatria” dell’Enciclopedia filosofica, Bompiani, 2010.
L’OTTOCENTO Stabilite così le fondamenta (statuto) di una scienza (epistemologia) psichiatrica, l’autore traccia i profili di sviluppo storico dell’800 e del ‘900 della psichiatria ovvero dei diversi modi di fare psichiatria, derivati da quel suo statuto epistemologico. Nella “Storia della follia nell’età classica” (1963), Michel Foucault studia l’idea e il significato della follia nell’epoca storica dal Medioevo al XVIII secolo, che egli definisce “l’età del grande internamento”. Si tratta della confluenza in luoghi di raccolta di un insieme di figure umane marginali, mendicanti, eccentrici, sofferenti, malati, derelitti, una pratica incerta di presa in carico e assistenza. Simbolo di questo assortimento e assemblamento di umanità emarginata in unico spazio lontano dalla vita sociale è il Narrenschiff, la “nave dei folli”. [1] È soltanto nel tardo ‘800 di Emil Kraepelin ed Ernst Kretschmer ed il primo ‘900 di Eugene Bleuler e di Kurt Schneider che si afferma la psichiatria clinica, con la sua configurazione scientifica, la moderna terminologia, gli schemi classificatori e i criteri diagnostici, tuttora praticati e condivisi. In tal modo l’enigmatico fenomeno della follia, con i suoi riferimenti mitologici e antropologici, espressi nella densità letteraria trova soluzione nella sua configurazione di malattia, stato patologico, che si articola nei due grandi settori della schizofrenia e della sindrome maniaco-depressiva, nella sua varierà di allucinazioni e deliri. Ancora nell’800, Wilhelm Griesinger elabora una interpretazione neurologica della psichiatria organicistica, trattando lo stato morboso psichico come malattia cerebrale. In tal modo si rischiava una pericolosa deriva verso pratiche d’intervento ingenue e insostenibili, ma si inaugurava anche una direttrice, che ha portato alla nascita della moderna farmaco-psichiatria, con la scoperta del primo antipsicotico triciclico da parte di Roland Khun, e la prospettiva di nuove pratiche di supporto terapeutico.
[1] Rimandiamo ad una migliore illustrazione del pensiero di Foucault nella prossima pubblicazione della raccolta di alcuni passi tratti dalla sua opera, che hanno come tema: “La follia e la morte”.
IL NOVECENTO Il secolo segna un radicale rinnovamento filosofico e culturale della psichiatria, nella duplice direzione della psicoanalisi di Freud e della Fenomenologia di Husserl. Freud ha aperto la via a una comprensione rivoluzionaria delle dinamiche psichiche, riportandole a quella fonte originaria e oscura, che è l’Inconscio [2], analizzandone la dimensione pulsionale, in particolare quale si delinea e cristallizza nella prima infanzia. Tra i suoi discepoli e continuatori sono da menzionare Melanie Klein, Anna Freud, Françoise Dolto, Daniel Stern. In una direzione diversa, invece, si muove il lavoro di Jean Piaget e quello della sua scuola ginevrina. In direzione della radice profonda della vita della coscienza si rivolge la fenomenologia di Husserl, che fa riemergere nella dimensione cartesiana del cogito uno più antico strato, la Lebenswelt, il “mondo della vita”, legato alle dimensioni della corporeità, della percezione e della passività. E se la psicanalisi di Freud si è indirizzata nello specifico ambito della nevrosi, la fenomenologia di Husserl, e anche di Max Scheler, ha consentito progressi nella comprensione della psicosi. Decisivo per ottenere un tale risultato si è rivelato l’approccio eidetico [3], come esercizio di individuazione di strutture fondamentali per atti e formazioni categoriali e precategoriali, quali sono la percezione, l’immaginazione, il ricordo, la coscienza del tempo e dello spazio, le idealità matematiche e scientifiche. In seguito, la psichiatria fenomenologica ha sviluppato autonomamente questo metodo, come ad esempio nella comprensione eidetica o strutturale di Minkowski dei fenomeni psicopatologici. Sempre all’interno della linea della fenomenologia, va collocato il percorso iniziale della speculazione di Heidegger (“Sein un Zeit”), che l’ha declinata nei due versanti dell’ontologia e dell’analisi esistenziale. Nella psichiatria, la Daseinanalyse (analisi esistenziale) heideggeriana è servita a Binswanger, per una più attenta comprensione del concreto “essere-nel-mondo” dell’uomo, e quindi dei fenomeni psicopatologici: allucinazioni, deliri, malinconie, manie, schizofrenie. Sono sempre da ricondurre alla tematica fenomenologico-esistenziale le ricerche di autori come Lang, Foucault, Basaglia. A quest’ultimo deve ascriversi l’introduzione in Italia del modello di assistenza psichiatrica presso singole strutture territoriali, Centri di Igiene Mentale (CIM), per il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), al di fuori dei manicomi e degli ospedali psichiatrici, che sono stati dismessi. La riforma è stata introdotta con la “legge Basaglia” (1978), meglio conosciuta come “legge 180”.
[2] Cfr. il post del 30 giugno: “Il fondo enigmatico e buio”.
PSICHIATRIA FENOMENOLOGICA La psichiatria fenomenologica è quella corrente della psichiatria, che nelle sue premesse e nelle sue metodologie si ispira alla fenomenologia di Husserl e alla ontologia e analisi esistenziale di Heidegger. Nel 1913, con la pubblicazione del suo trattato “Psicopatologia generale”, è il filosofo e psichiatra Karl Jaspers ad inaugurare e circoscrivere l’intero campo tematico, in cui verrà ad ispirarsi la psichiatria fenomenologica. Sul filo del metodo husserliano della descrizione e della variazione eidetica, egli delinea le strutture essenziali del vissuto dell’allucinazione e del delirio, e delle forme psicopatologiche della schizofrenia e della psicosi maniaco-depressiva. Decisiva è l’opzione per il metodo del Verstehen, il “comprendere”, ovvero l’avvicinarsi alla vita psichica del paziente, intuirne i contenuti attraverso l’empatia stabilita tra lui e lo psichiatra. Non si tratta, quindi, di un Erklären, spiegare un fenomeno dall’esterno, secondo gli schemi e i nessi causali esterni, propri delle scienze della natura e delle psichiatrie che ad esse si ispirano. Dieci anni più tardi, al congresso svizzero di psichiatria del 1922, emersero le relazioni sul metodo fenomenologico di due autori: Minkowski e Binswanger, che aprirono la strada a questa specialità della psichiatria, nel trattamento pratico dei pazienti. Il tentativo era quello, sospendendo ogni giudizio sulla tesi naturalistica, in accordo con il metodo fenomenologico husserliano, di cogliere l’esperienza psicopatologica nelle sue strutture più profonde, spaziali, temporali, intenzionali, corporee, percettive, immaginative e linguistiche. Non vi è comprensione possibile, né relativa pratica terapeutica attuabile, se non si considera la condizione umana ed esistenziale del paziente, la Lebenswelt, il suo vissuto. In tale contesto, vanno intese e fronteggiate espressioni e forme deliranti, bizzarre gestualità, rivelatrici della minaccia di un mondo incombente, che nell’ambito della schizofrenia, portano a sprofondare nel gorgo di una interiorità e solitudine, dimentica del proprio essere nel mondo. Il metodo fenomenologico mette fuori gioco ogni posizione pregiudizievole, ogni distinzione normativa o teorica tra normale e patologico, si limita ad osservare e riconoscere il puro fenomeno della follia, la realtà della follia presa in sé stessa. (E. Borgna, “Psichiatria fenomenologica”, Enciclopedia filosofica, Bompiani, 2010) Nel Novecento italiano, un massimo esperto della materia è il filosofo Umberto Galimberti, autore del libro: “Psichiatria e Fenomenologia” (1979) (Segue)
‘Kde domov muj’? ‘Dov’è la mia patria?’ Non è un inno di guerra, non auspica la rovina di nessuno, canta senza retorica il paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, le pianure e le betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i piccoli ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra, è stato bello difendere questa terra, bello amare la nostra patria (Milena Jesenskà)
Copenaghen
Bruxelles Louiza
“Dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una prodigiosa marionetta realizzata dalla divinità, per gioco o per uno scopo serio, questo non lo sappiamo." (Platone, Leggi, 1, 644e)
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STATUTO EPISTEMOLOGIOCO DELLA PSICHIATRIA
“La psichiatria è la disciplina, che nel contesto delle discipline mediche, si occupa dei fenomeni e dei disturbi della vita psichica. L’appartenenza della psichiatria al dominio delle scienze mediche, e delle scienze della natura più in generale, non è tuttavia qualcosa di univoco e scontato. Storicamente, essa nasce, certo, da quest’ultimo ceppo e mantiene a lungo una marcata dipendenza da quell’insieme di saperi e discipline legate alla neurologia, e in senso più lato, a quella matrice materialistica e organicistica, che ancora oggi tende a prevalere nel suo impianto e nelle sue opzioni di fondo. Non vi è, nondimeno, psichiatria, se non quando essa assume a oggetto della propria osservazione, a tema della propria comprensione, a destinatario delle proprie pratiche terapeutiche non tanto o soltanto un complesso di sintomi, un’alterazione organica, un quadro patologico biologicamente inteso e connotato, ma l’insieme della vita psichica del paziente, la complessità vivente della sua esistenza, l’interezza delle sue espressioni umane, nelle molteplici e stratificate fondazioni di senso, che le sorreggono e le animano. La psichiatria si trova quindi costitutivamente in bilico tra le scienze della natura e le scienze dello spirito, secondo la distinzione che tanto rilievo assume già nella riflessione di Dilthey e che nel capolavoro psichiatrico di Karl Jaspers (1913), Allgemeine Psychopathologie (trad. ital. “Psicopatologia generale”, 1964), segna un’articolazione e un’esigenza epistemologica decisiva. La psichiatria, nata come scienza della natura, sconfina peraltro fuori da questo suo statuto naturalistico non soltanto in direzione della psicologia, ma anche in direzione, per es., della sociologia e della filosofia. Non c’è, infatti, possibile comprensione di una vita psichica, normale o alterata, se non alla di una più allargata comprensione del mondo di significati sociali e culturali entro cui essa si colloca e di cui essa si nutre. Che cosa sia un corpo e che cosa sia una psiche, che cosa sia la normalità di una vita psichica o di una funzione cerebrale e che cosa sia la loro anormalità, la loro follia, la loro sofferenza, sono sempre e soltanto l’esito di grandi opzioni sommerse, di scelte di campo, di costruzioni e convenzioni, che solo in apparenza rispondono ai criteri di un progetto scientifico specialisticamente chiuso e autofondato entro i propri confini. Più radicalmente, tali opzioni derivano alla psichiatria dalla sua preliminare Einstellung filosofica, dalla sua integrale appartenenza alla vicenda dei saperi e delle scienze, che la filosofia ha inaugurato e promosso lungo una storia che va “da Aristotele ad Hegel”, per usare una celebre, icastica formula di Heidegger.
A tale complesso statuto epistemologico della psichiatria, infine, non sono estranee, come hanno via via mostrato, gli studi di Foucault, influssi, prestiti e debiti, che risultano esterni sia all’ambito delle scienze della natura sia all’ambito delle scienze dello spirito, o delle scienze umane, come oggi sono più spesso definite, quando siano intese nel loro significato anzitutto filosofico, psicologico, antropologico. Influssi, prestiti, debiti, nati nel contesto di pratiche sociali, culturali, politiche, nel cui intreccio soltanto sono potute emergere quelle peculiari figure del sapere e della pratica scientifica che sono lo psichiatra, l’ospedale psichiatrico, il paziente psichiatrico, come noi oggi li conosciamo. Ciascuna di queste polarità risente infatti di una complessa genealogia storica, che ne ha più volte cancellato e ridelineato lo statuto, ora includendo ora escludendo valutazioni morali e religiose, preoccupazioni sociali (si pensi, ancora oggi, al complesso statuto di una disciplina di confine come la psichiatria forense) e ambizioni filantropiche, metodologie mediche e approcci detentivi o addirittura repressivi, sino a plasmare questo mobile intreccio nella figura che ci è familiare , e che ci appare, alla superficie, come un blocco di “realtà” monolitica e aproblematica.” Eugenio Borgna, (1930 – 2024) psichiatra e saggista italiano, autore della voce “Psichiatria” dell’Enciclopedia filosofica, Bompiani, 2010.
L’OTTOCENTO
Stabilite così le fondamenta (statuto) di una scienza (epistemologia) psichiatrica, l’autore traccia i profili di sviluppo storico dell’800 e del ‘900 della psichiatria ovvero dei diversi modi di fare psichiatria, derivati da quel suo statuto epistemologico.
Nella “Storia della follia nell’età classica” (1963), Michel Foucault studia l’idea e il significato della follia nell’epoca storica dal Medioevo al XVIII secolo, che egli definisce “l’età del grande internamento”. Si tratta della confluenza in luoghi di raccolta di un insieme di figure umane marginali, mendicanti, eccentrici, sofferenti, malati, derelitti, una pratica incerta di presa in carico e assistenza. Simbolo di questo assortimento e assemblamento di umanità emarginata in unico spazio lontano dalla vita sociale è il Narrenschiff, la “nave dei folli”. [1]
È soltanto nel tardo ‘800 di Emil Kraepelin ed Ernst Kretschmer ed il primo ‘900 di Eugene Bleuler e di Kurt Schneider che si afferma la psichiatria clinica, con la sua configurazione scientifica, la moderna terminologia, gli schemi classificatori e i criteri diagnostici, tuttora praticati e condivisi. In tal modo l’enigmatico fenomeno della follia, con i suoi riferimenti mitologici e antropologici, espressi nella densità letteraria
trova soluzione nella sua configurazione di malattia, stato patologico, che si articola nei due grandi settori della schizofrenia e della sindrome maniaco-depressiva, nella sua varierà di allucinazioni e deliri.
Ancora nell’800, Wilhelm Griesinger elabora una interpretazione neurologica della psichiatria organicistica, trattando lo stato morboso psichico come malattia cerebrale. In tal modo si rischiava una pericolosa deriva verso pratiche d’intervento ingenue e insostenibili, ma si inaugurava anche una direttrice, che ha portato alla nascita della moderna farmaco-psichiatria, con la scoperta del primo antipsicotico triciclico da parte di Roland Khun, e la prospettiva di nuove pratiche di supporto terapeutico.
[1] Rimandiamo ad una migliore illustrazione del pensiero di Foucault nella prossima pubblicazione della raccolta di alcuni passi tratti dalla sua opera, che hanno come tema: “La follia e la morte”.
IL NOVECENTO
Il secolo segna un radicale rinnovamento filosofico e culturale della psichiatria, nella duplice direzione della psicoanalisi di Freud e della Fenomenologia di Husserl.
Freud ha aperto la via a una comprensione rivoluzionaria delle dinamiche psichiche, riportandole a quella fonte originaria e oscura, che è l’Inconscio [2], analizzandone la dimensione pulsionale, in particolare quale si delinea e cristallizza nella prima infanzia. Tra i suoi discepoli e continuatori sono da menzionare Melanie Klein, Anna Freud, Françoise Dolto, Daniel Stern. In una direzione diversa, invece, si muove il lavoro di Jean Piaget e quello della sua scuola ginevrina.
In direzione della radice profonda della vita della coscienza si rivolge la fenomenologia di Husserl, che fa riemergere nella dimensione cartesiana del cogito uno più antico strato, la Lebenswelt, il “mondo della vita”, legato alle dimensioni della corporeità, della percezione e della passività. E se la psicanalisi di Freud si è indirizzata nello specifico ambito della nevrosi, la fenomenologia di Husserl, e anche di Max Scheler, ha consentito progressi nella comprensione della psicosi. Decisivo per ottenere un tale risultato si è rivelato l’approccio eidetico [3], come esercizio di individuazione di strutture fondamentali per atti e formazioni categoriali e precategoriali, quali sono la percezione, l’immaginazione, il ricordo, la coscienza del tempo e dello spazio, le idealità matematiche e scientifiche. In seguito, la psichiatria fenomenologica ha sviluppato autonomamente questo metodo, come ad esempio nella comprensione eidetica o strutturale di Minkowski dei fenomeni psicopatologici.
Sempre all’interno della linea della fenomenologia, va collocato il percorso iniziale della speculazione di Heidegger (“Sein un Zeit”), che l’ha declinata nei due versanti dell’ontologia e dell’analisi esistenziale. Nella psichiatria, la Daseinanalyse (analisi esistenziale) heideggeriana è servita a Binswanger, per una più attenta comprensione del concreto “essere-nel-mondo” dell’uomo, e quindi dei fenomeni psicopatologici: allucinazioni, deliri, malinconie, manie, schizofrenie.
Sono sempre da ricondurre alla tematica fenomenologico-esistenziale le ricerche di autori come Lang, Foucault, Basaglia. A quest’ultimo deve ascriversi l’introduzione in Italia del modello di assistenza psichiatrica presso singole strutture territoriali, Centri di Igiene Mentale (CIM), per il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), al di fuori dei manicomi e degli ospedali psichiatrici, che sono stati dismessi. La riforma è stata introdotta con la “legge Basaglia” (1978), meglio conosciuta come “legge 180”.
[2] Cfr. il post del 30 giugno: “Il fondo enigmatico e buio”.
PSICHIATRIA FENOMENOLOGICA
La psichiatria fenomenologica è quella corrente della psichiatria, che nelle sue premesse e nelle sue metodologie si ispira alla fenomenologia di Husserl e alla ontologia e analisi esistenziale di Heidegger.
Nel 1913, con la pubblicazione del suo trattato “Psicopatologia generale”, è il filosofo e psichiatra Karl Jaspers ad inaugurare e circoscrivere l’intero campo tematico, in cui verrà ad ispirarsi la psichiatria fenomenologica. Sul filo del metodo husserliano della descrizione e della variazione eidetica, egli delinea le strutture essenziali del vissuto dell’allucinazione e del delirio, e delle forme psicopatologiche della schizofrenia e della psicosi maniaco-depressiva. Decisiva è l’opzione per il metodo del Verstehen, il “comprendere”, ovvero l’avvicinarsi alla vita psichica del paziente, intuirne i contenuti attraverso l’empatia stabilita tra lui e lo psichiatra. Non si tratta, quindi, di un Erklären, spiegare un fenomeno dall’esterno, secondo gli schemi e i nessi causali esterni, propri delle scienze della natura e delle psichiatrie che ad esse si ispirano.
Dieci anni più tardi, al congresso svizzero di psichiatria del 1922, emersero le relazioni sul metodo fenomenologico di due autori: Minkowski e Binswanger, che aprirono la strada a questa specialità della psichiatria, nel trattamento pratico dei pazienti. Il tentativo era quello, sospendendo ogni giudizio sulla tesi naturalistica, in accordo con il metodo fenomenologico husserliano, di cogliere l’esperienza psicopatologica nelle sue strutture più profonde, spaziali, temporali, intenzionali, corporee, percettive, immaginative e linguistiche. Non vi è comprensione possibile, né relativa pratica terapeutica attuabile, se non si considera la condizione umana ed esistenziale del paziente, la Lebenswelt, il suo vissuto. In tale contesto, vanno intese e fronteggiate espressioni e forme deliranti, bizzarre gestualità, rivelatrici della minaccia di un mondo incombente, che nell’ambito della schizofrenia, portano a sprofondare nel gorgo di una interiorità e solitudine, dimentica del proprio essere nel mondo.
Il metodo fenomenologico mette fuori gioco ogni posizione pregiudizievole, ogni distinzione normativa o teorica tra normale e patologico, si limita ad osservare e riconoscere il puro fenomeno della follia, la realtà della follia presa in sé stessa.
(E. Borgna, “Psichiatria fenomenologica”, Enciclopedia filosofica, Bompiani, 2010)
Nel Novecento italiano, un massimo esperto della materia è il filosofo Umberto Galimberti, autore del libro: “Psichiatria e Fenomenologia” (1979)
(Segue)
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