martedì 11 novembre 2025

 


          Il piolo dell'esistenza



4 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

IL PIOLO DELL’ESISTENZA

15 x 15 x 100 = 10 x 10 + 125 x 100
25 x 25 x 100 = 20 x 20 + 225 x 100
35 x 35 x 100 = 30 x 30 + 325 x 100
45 x 45 x 100 = 40 x 40 + 425 x 100
55 x 55 x 100 = 50 x 50 + 525 x 100

Allora, li hai guardati, sì o no, questi testimoni? – Sì. – E quindi? – Ho trovato una variazione. – Quale? – L’aggiunta di una prima e di un’ultima riga. – E questa variazione che cosa ti suggerisce? – Dimmelo tu. – Επιμαρτυραί δερκευ. Guarda i testimoni. Così Empedocle, nel primo verso del frammento 21. – E questo che cosa vuol dire? – Nel δερκoμαί, nel significato di questo verbo cioè, come in Omero, così in Empedocle, lo sguardo s’impadronisce del veduto e non se lo lascia sfuggire. – E quindi, grecista insigne, che cosa vuoi dire? – “Non lasciatevi sfuggire dallo sguardo i testimoni”, dice Empedocle. – Quindi non tu. – Io ripeto. – E da chi sei andato a ripetizione, ripetente? – Da Severino. – Ah, ecco! – “I testimoni sono – nominati nel frammento 21 – il Fuoco, l’Aria, l’Acqua, la Terra, la Discordia, l’Amore. Da essi sono generate “tutte le cose che furono, che sono e che saranno. E generate dai testimoni, tutte queste cose sono a loro volta testimoni. Sono le cose del mondo: alberi, animali, uomini, dèi.” – E allora? – “Guarda i testimoni. L’intensità dell’invito esprime la grandezza del compito che Empedocle per primo deve affrontare una volta che Parmenide ha parlato.” – E Parmenide che ha detto? – “Parmenide ha guardato l’Essere: lo sguardo ne è rimasto abbagliato e si è lasciato sfuggire i testimoni del mondo: le cose molteplici e divenienti.” – E quindi? – Per questo l’invito di Empedocle dice: “Guarda con il pensiero, non restare lì con gli occhi abbagliati.” – Non ho capito niente. – Ma tu hai mai capito qualcosa? – Sì, una cosa l’ho capita. – E non la dire. – È meglio. – Ma tu guarda che cosa mi tocca sopportare! Allora, in questo suo saggio, “Il parricidio mancato” (1985), il filosofo Emanuele Severino, partendo dal pensiero di Empedocle, che divide (“Discordia”) l’uno dell’Essere parmenideo nel molteplice del Divenire delle cose del mondo, per poi ricomporlo (“Amore”) di nuovo nell’Uno, ripropone il suo cavallo di battaglia. – Quale cavallo? – La filosofia fin dal suo nascere ha iniziato a percorrere il sentiero dove errano i mortali, quello che si fonda sulla persuasione che l’Essere è il Nulla. – Ma questo è contrario alla proibizione di Parmenide, per Zeus! – Non ti indignare, pagliaccio, e non prendere la cosa troppo alla leggera! O ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato. – Io non sto accovacciato e non sono uno sciancato, e soprattutto non sono un nano. – Appunto! Sei un clown! – Ehi, Zarathustra, parla come badi! – Eccolo là! Imita Totò, e crede di far ridere. – Ma non sono un clown? – Sì, lo sei. – E tu sei un pazzo.

Silvio Minieri ha detto...

– Stavo parlando di Empedocle, che è stato il primo, a modo di vedere di Severino, a confrontarsi con il pensiero di Parmenide: “Il responso della Necessità (Ananke), antica legge degli dèi, è eterno, suggellato da ampi giuramenti.” – Questa è una mera asserzione. – Stai zitto, nano! – Questo è il frammento 116 di Empedocle, che si è assunto un compito “gigantesco”, e in questo senso tu, e le tue mere asserzioni, siete dei nani. – Sì, ma solo del pensiero. – Meglio mi sento! – Ma tu sei soltanto un buffone che va scopiazzando dai libri. – In questo caso, è il filosofo Severino che parla, anzi scrive nel citato saggio: “Ippolito commenta: “Empedocle chiama Necessità (Ananke) il mutamento che conduce dall’uno al molteplice, per opera della Discordia, e dal molteplice all’uno, per opera dell’Amore.” – E anche Plutarco… – Taci! – So copiare anch’io. – Tu non sei nessuno. – Il niente non esiste, per Zeus! – Sì, è vero tu non esisti. – E nemmeno tu. – Ne parliamo dopo. – Va bene. – “E anche Plutarco rileva che la Necessità di Empedocle è l’unità di Amore e Discordia, cioè delle forze che costituiscono il divenire.” – Ehi, blogger, lettore di Severino! – Che cosa vuoi? – Sintesi, che facciamo notte! – “Ma proprio la potenza con la quale Empedocle esprime la “Necessità” di affermare il divenire delle cose, proprio il modo con cui si esprime questa potenza impedisce che lo sforzo gigantesco di Empedocle giunga al proprio compimento.” – Ma come? Il gigante non riesce. – Zitto, nano. – Continua, copista. – Se, per chi pensa dopo Parmenide, affermare l’evidenza del molteplice, cioè l’evidenza dell’essere dei non essenti, significa compiere un “parricidio”, quello compiuto da Empedocle è un parricidio mancato.” – Te l’avevo detto! – Che cosa? – Che il gigante non riesce. – A fare che cosa? – Raggiungere l’obiettivo di colpire il padre. – Severino dice un’altra cosa. – Che cosa? – “Il padre è stato colpito,” – Ma come? – “ma la sua agonia può durare all’infinito.” – Hai visto? – Che cosa? – Parmenide è ancora agonizzante. – E allora come possiamo fare per rimediare a quest’infinita agonia? – Devi digrignare i denti. – Io? – E chi se no? – Tu. – E perché? – Devi interpretare la Volontà, che di fronte al macigno all’immodificabilità del passato, digrigna i denti. – Praticamente, mi inviti a fare il buffone? – Non sei capace? – No. – Non sai recitare la tua parte? – Quale? – La tua moira, il tuo destino. – No, perché io non ho un destino, un “così fu”. – Ma un “così volli”. – No! Sì! – Sì o No? – Dimmelo tu. – Qui finiamo per entrare nell’infinità del cerchio. – Quello che eternamente ruota? – Veramente, in quello, ci stiamo già dentro. – L’eterno ritorno dell’identico? – Quale identico? – L’identità del sempre nuovo. – Ma così non finisce mai? – Che cosa? – Il venire di nuovo del nuovo, cioè l’identico, essendo il nuovo uguale al nuovo. – Ma anche differente. – Perché? – Se il nuovo che viene è uguale al nuovo che è passato, allora il venire del nuovo non è più nuovo, e quindi non può tornare? – Come? – Il venire di nuovo, cioè il rivenire, come dire il Divenire non può più divenire, e pertanto il divenire non diviene, ma è. – Come? – È, ma questo presente “è” all’infinito è essere. – Non capisco più niente. – Ricominciamo daccapo. – Tu sei pazzo, e vuoi fare impazzire anche me. – Non è possibile, perché tu, essendo già pazzo, non puoi divenire pazzo, o meglio torni ad essere pazzo all’infinito. – Io eternamente pazzo? – Sei legato al piolo dell’esistenza.

Silvio Minieri ha detto...

– E mo’ da dove è uscito questo piolo? – Non è uscito, ma torna eternamente. – Sento odore di bruciato. – Fuocherello. – Nietzsche! – Fuoco! – Boom! – Ma che hai fatto? – Ho fatto fuoco. – L’eterno buffone. – Non posso togliermi la maschera? – No. – Spiega il “piolo”. – La prossima volta. – No, ora. – Va bene. – Copia e incolla. – Ecco. “Osserva il gregge che pascola davanti a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi: salta intorno, mangia, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piolo dell’istante, e perciò né triste né tediato. […] L’uomo chiese una volta all’animale: perché non mi parli della tua felicità e soltanto mi guardi? L’animale dal canto suo voleva rispondere e dire: ciò deriva dal fatto che dimentico subito quel che volevo dire – ma subito dimenticò anche questa risposta e tacque; sicché l’uomo se ne meravigliò. Ma egli si meravigliò anche di sé stesso, di non poter imparare a dimenticare e di essere sempre legato al passato: per quanto lontano per quanto rapidamente egli corra, corre con lui la catena. […] Continuamente si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade, vola via – e improvvisamente rivola indietro, in grembo all’uomo. Allora l’uomo dice ‘mi ricordo’. […] Ma sia nella massima, sia nella minima felicità, è sempre una cosa sola quella per cui la felicità diventa la felicità: il poter dimenticare o, con espressione più dotta, la capacità di sentire, mentre essa dura, in modo “non storico”. Chi non sa mettersi a sedere sulla soglia dell’attimo dimenticando tutte le cose passate, chi non è capace di stare ritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria, non saprà mai cosa sia la felicità, e ancor peggio, non farà mai alcunché che renda felici gli altri.” Friedrich Nietzsche.
"La seconda inattuale" di Nietzsche, “Sull'utilità e il danno della storia per la vita”, argomenta che un'eccessiva dipendenza dalla storia soffoca la vita, schiavizzando l'individuo al passato e annullando la sua capacità di agire e creare nel presente. Nietzsche critica lo storicismo, la tendenza a voler spiegare ogni cosa con una prospettiva storica, sostenendo che questo eccesso di sapere storico paralizza l'azione e genera un senso di disperazione e passività, trasformando le persone in "eruditi ambulanti" e privandole della forza di "diventare sé stessi".
Danno della storia (eccesso di storicismo) – Paralisi dell'azione: Un'eccessiva consapevolezza del passato può impedire la creatività e la libertà di agire nel presente, poiché l'individuo si sente determinato e schiacciato dal peso degli eventi passati. Passività e disperazione: L'eccesso di storia può portare a una sfiducia nelle proprie capacità e a un senso di disperazione, poiché ci si sente impotenti di fronte a un passato che sembra aver già deciso tutto. "Uomini colti": Si rischia di diventare "eruditi ambulanti" che si limitano a ripetere nozioni senza possedere una vera personalità o capacità creativa. Si assume la maschera del dotto, ma si perde l'autenticità del proprio essere.
Utilità della storia (solo quando al servizio della vita) – Funzione critica: La storia deve servire la vita, non dominarla. L'utilità non è nella semplice imitazione del passato, ma nella capacità critica di analizzarlo per superarlo. Bisogno di oblio: Per vivere nel presente, è necessario anche "dimenticare" il passato. L'oblio è necessario per non essere schiacciati dal peso della memoria. Conosci te stesso: L'indagine storica deve essere subordinata alla conoscenza di sé e al proprio bisogno di affermare la vita. Prima di chiedersi "cosa fu", bisogna chiedersi "chi sono io" e "cosa voglio diventare". Funzione di orientamento: Solo se al servizio di un nuovo slancio vitale e di una profonda trasformazione di sé, la storia può essere salutare e promettere un futuro.

Silvio Minieri ha detto...

[N. d. B.]
Nel testo di Nietzsche si parla di piolo dell’istante, il post invece è intitolato: “Il piolo dell’esistenza”. L’istante è il discrimine tra passato e futuro, e quindi paradossalmente non esiste. In proposito, ci riserviamo di pubblicare di nuovo un commento al pensiero di Kierkegaard, di cui qui presentiamo alcuni brani iniziali.

EXAIPHNES
L’angoscia dell’istante e la vertigine della libertà
“In verità questo sembra il significato della parola “istante” (“exaiphnes”), quello da cui partono i cambiamenti nelle due opposte direzioni. Non si ha cambiamento a partire da uno stato di quiete ancora immobile e neppure a partire da uno stato di movimento ancora in movimento. Invece questo è straordinario (atopon) dell’istante, che si trova in mezzo tra il movimento e la quiete, perché non è in nessun tempo. È quello verso cui e da cui quanto si muove muta nella quiete e quanto è nella quiete muta in movimento.” (Platone, Parmenide, 156d)
Nel suo testo, “Il concetto dell’angoscia”, il filosofo danese Søren Kierkegaard sofferma la sua attenzione su questo passo del dialogo platonico, per contestare l’uso della categoria del “passaggio” da parte di Hegel, in modo da poter dare inizio al suo sistema filosofico, partendo dalla realtà storica nel tempo. “La difficoltà di introdurre il “passaggio” nella metafisica pura, l’ha vista molto bene Platone”, dice Kierkegaard, soffermandosi quindi sulla definizione di “istante” data nel “Parmenide”.
Questo “istante” senza tempo, impossibile da misurare e come tale mai in quiete né in movimento, evidenziato da Kierkegaard, secondo l’interpretazione di Gadamer, è il mistero della nostra presenza psichica e spirituale, che trascende tutte le differenze. È l’angoscia dell’istante l’aspetto fondante della filosofia del pensatore danese, che rifiutando la logica astratta del sistema hegeliano, porta all’attenzione e riconduce il pensiero alla dimensione esistenziale del singolo individuo. Ha avuto così inizio quella corrente filosofica che va sotto il nome di “esistenzialismo”, nella cui scia incontriamo Heidegger, con la sua analisi esistenziale di “Essere e Tempo”, e Sartre con il suo testo “L’Essere e il Nulla”. Entrambi si rivelano indebitati con Kierkegaard, soprattutto per quanto riguarda la traccia filosofica della condizione esistenziale, data dall’insorgenza dell’angoscia di fronte al nulla, che dispone alla possibilità e quindi alla libertà.
(Segue)