[N. d. B.] "La notte psichica" presuppone la lettura di "Il servo fuggitivo", di cui è il commento critico, e che si trova in coda al post "Il libro di Attanasio",
“Finché il sole risplenderà sulle sciagure umane.” I Sepolcri, Ugo Foscolo
L’interrogativo retorico e allusivo con cui si chiude il testo del servo fuggitivo fa riferimento al demone dei misteri di tutti i tenebriones. L’espressione è di Jung, e di chi altri poteva essere se non di questo medico psichiatra, che stando a contatto ogni giorno con le anime oscure (quest’ultima espressione è mia) cercava di sondarne il buio profondo del loro inconscio? Appropriandomi del tocco misterico del nome, per farne maschera del mio personaggio di alchimista indefinibile, ponevo l’interrogativo su questa figura tenebrosa e sulle trame oscure ch’egli va tessendo come protagonista occulto. Ed allora seguiamo il filo della trama del racconto, attraverso cui si giunge fino a quest’ultimo interrogativo. Il “servo fuggitivo” si compone di due parti, la prima come narrazione, la seconda come riflessione. L’inizio descrive un’azione banale della realtà quotidiana, che subito scivola nel fantastico, secondo lo schema stilistico del genere, un fondere la realtà con l’immaginario, una tecnica poetica insuperata nell’arte visionaria di Borges, ma anche di Pessoa ed altri virtuosi della letteratura. Se nello stile del narrare della prima parte imitavo, o cercavo di farlo, i due poeti e gli altri, nell’andamento discorsivo della seconda parte, il mio intendimento era non solo d’illustrare certi contenuti di “La palla d’oro”, il post del mio Blog, che per errore avevo cancellato e poi ripristinato, ma anche la psicologia dell’inconscio di Jung, in relazione ai suoi studi sull’alchimia. Pretenziosamente, infatti, dicevo: “Spiegheremo meglio in seguito questo concetto, che riguarda la psicologia del profondo, di cui peraltro stiamo trattando, ora, in questa mia narrazione, come presto emergerà.” Era l’aspetto relativo al giudizio morale, che discende dall’ambiguità propria della natura umana, secondo la visione di Jung, alla luce della dottrina alchemica. Dovendo commentare la scissione che il dolore provoca nel cuore degli uomini, in cui si riversa con sentimenti contraddittori, nell’artificio narrativo scindevo la mia natura unica di creatore artistico (chiedo scusa della definizione che mi attribuisco) in due personaggi differenti, in cui si rivela la contraddizione tra bene e male: “Se non vi fosse il dolore di Aristarco, come potrebbe giungere l’insensibilità di Decio Livio di fronte al dolore altrui?” Come vuole Jung, seguendo certe dottrine gnostiche, l’indistinzione del bene e del male ha la sua radice nell’unitarietà del principio. Ed ecco allora la scissione dell’uomo primordiale, “l’uomo che era prima di venire smembrato, fatto a pezzi o separato, prima di diventare due entità separate… l’idea del superuomo è un’idea mistica estremamente antica che ricompare sempre di nuovo nel corso dei secoli… - Che cos’è Nietzsche, dopo tutto? Non è che il ripresentarsi di uno di quei vecchi alchimisti: Nietzsche è un prosecutore della filosofia alchimistica del Medioevo.” Senza discutere sulle verità dottrinarie dell’alchimia, consideriamo le conseguenze delle due entità separate dell’uomo, riferendoci alla sua ombra, quella notturna e passionale della notte e cerchiamo di addentrarci nelle buie profondità dell’Inconscio, dove si agita il demone dei misteri di tutti i tenebriones. È lui che muove questa massa oscura, gli “ottanta cavalli” impazziti nella notte del parco di Guglielmino?
Se vogliamo dare espressione alle tenebre del desiderio che possiedono l’uomo, possiamo rifarci a un’immagine da me evocata altrove, quella dell’onda nera della materia, che improvvisa si solleva ad afferrare per il collo, in una stretta mortale senza scampo, lo Spirito della luce disceso nei suoi oscuri fondali, dove rimane avvinto per sempre. È una figurazione che può riproporsi qui, dove la lotta non si svolge più sullo sfondo di scenari in grandezze su scala cosmica, la gigantesca allegoria gnostica che ci racconta l’alba del generarsi dei mondi, ma viene riferita all’individualità spirituale dell’uomo, la sua coscienza lacerata dalla contesa tra il bene e il male. È un conflitto interiore alimentato dalla sorgente di vitalità naturale, che trova espressione nella pienezza della libertà. Succede poi che la libertà, sull’orlo del precipizio, rivolgendo lo sguardo dalla sua altezza infinita al fondo dell’abisso, venga colta da vertigine e finisca per precipitarvi, realizzando la caduta nella materia finita, di cui rimane prigioniera. Ma la vertigine appartiene alla luce del giorno, che sola rende possibile lo sguardo nell’abisso, altrimenti insondabile. Ed è l’apertura solare del giorno che rende visibile il muoversi e l’agire dell’uomo, secondo le sue abitudini e i suoi costumi (mores) di vita, rendendo in tal modo possibile la pronuncia di un giudizio morale sulle sue azioni. Al contrario, il buio della notte nasconde nello spessore delle sue tenebre ogni nero desiderio, in tal guisa indistinto allo sguardo e quindi impossibile da giudicare. È la notte dei sensi priva della luce dell’intelletto a dissolvere tutte le differenze, fondendole nel magma di una massa oscura, l’onda nera impenetrabile della materia. Nella favola dei fratelli Grimm, lo spirito del genio maligno è sepolto sottoterra, dove si ramificano le radici dell’albero che rappresenta la vita. È solo quando viene liberato, che lo spirito può rivelare, grazie alla impietosa luce del giorno, il suo genio maligno, seppellito fino ad allora nell’oscurità della terra. La luce impietosa, in cui si rivela la malignità del genio, corrisponde alla grande ora mistica, l’ora del mezzogiorno, in cui secondo la mitologia greca, nel sogno meridiano di Pan, “come un improvviso scoppio di tuono nell’aria incandescente”, ha luogo l’apparizione degli spettri, le Sirene e le Ninfe. È l’ora della febbre che colpisce in pieno giorno, menzionata nel versetto biblico del Salmo 91/6, quella a cui si riferisce Giovanni Cassiano, monaco vissuto a cavallo del IV e V secolo: “I nostri antichi padri la chiamano del “demone meridiano”, del quale parla il salmo nonagesimo”. Accade allora che i delitti meditati nelle tenebre, “la peste che colpisce a mezzanotte”, secondo l’altro verso del distico biblico, Salmo 91, vengano compiuti “sotto il sole di Satana”. Se la notte cela il mistero, le tenebre del desiderio prendono forma alla luce del giorno. E in verità, i mostri generati dal sonno della ragione possono fare la loro apparizione soltanto di giorno, quando la luce li rende visibili. Ecco perché il più grande cantore delle epiche gesta dell’antichità è Omero, "colui che non vede" (ho mè horôn). Soltanto come visioni poetiche fantastiche, infatti, possiamo prestare lo sguardo agli spettacoli delittuosi della Storia, lo scorrere del sangue, gli assassinii, le guerre. Sono i sepolcri, i monumenti dei giardini di pietra, i viali di palme e cipressi a custodire la memoria poetica: “Un dì vedrete / mendico un cieco errar sotto le vostre / antichissime ombre, e brancolando / penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne / e interrogarle. Gemeranno gli antri / secreti, e tutta [la storia d’Ilio] narrerà la tomba.” Nella suggestiva successione romantica delle immagini poetiche del Foscolo è alla fine il trionfo di luce ad illuminare la tragica vicenda umana ordita nella sua notte psichica: “Finché il sole risplenderà sulle sciagure umane.”
L’INCONSCIO NELL’ARTE Non abbiamo potuto proseguire il nostro percorso nell’officina infernale della notte dei misteri custodita dal demone principe di tutti i tenebriones, perché siamo andati ad immergerci e quindi a fonderci nella massa oscura, l’onda nera della materia (la “selva oscura”), in cui fondendosi la nostra anima (psiche) si è smarrita. Qui il nostro inconscio individuale, immerso nelle acque buie dell’inconscio collettivo, avrebbe dovuto inviarci in forma simbolica il contenuto profondo delle immagini primordiali, gli archetipi junghiani, figurandoli nei nostri sogni. Soltanto così avremmo potuto vedere sfilare in immagini le forme tenebrose dei nostri desideri notturni. Ora, questo viaggio precluso alla mia fantasia psichica ha avuto la possibilità magari (eccome non l’ha avuta!) di essere compiuto da anime più profonde e geniali, grandi artisti che hanno saputo esprimere in pittura o in poesia le immagini dei sogni, i loro incubi e deliri, che appartengono a tutti noi, e ce ne hanno fatto partecipi. E allora come non potremmo riconoscere in “Caron dimonio, con occhi di bragia” il volto di un principe dei tenebrosi? E così per le tante altre infernali immagini dantesche che descrivono i patimenti dei dannati, il giusto contrappasso, che compone insieme il bene e il male. E che dire della “Chevauchée de Faust et de Méphistophélès devant le gibet de Montfaucon”, dipinto ad olio dell’artista Joseph Thierry, custodito nella Biblioteca del Museo dell’Opera di Parigi? Un quadro ispirato ai versi immortali di Goethe: “Nella campagna di notte Faust e Mefistofele al galoppo su cavalli neri”. Il dipinto è conservato nel tempio della musica, perché sogni, incubi e deliri trovano espressione in quell’elemento, il dionisiaco, che muove le passioni sotterranee, risplendenti nella luce apollinea del giorno. Bene lo sapeva Nietzsche autore della sua prima opera giovanile: “La nascita della tragedia dallo spirito della musica”. In musica, il poema di Goethe è stato adattato da Hector Berlioz: “La dannazione di Faust”, composizione per coro e orchestra, “una leggenda drammatica”. "Pianure, montagne e valli, la corsa verso l’abisso di Faust e Mefistofele, al galoppo su due cavalli neri". Le battute scambiate tra i due personaggi durante la cavalcata notturna, evocanti le stregonerie, nella musica di Berlioz diventano il momento principale, inventato dal compositore, alla fine del quale l'eroe, dannato, sarà trascinato nell'inferno. Non vengono risparmiati gli effetti: un ritmo sconvolgente delle corde evoca la cavalcata infernale, mescolata a un coro di contadini, i cui inni vengono disturbati dal galoppo dei cavalli. I "mostri orribili", i “grandi uccelli notturni", gli "scheletri danzanti" sono illustrati dalle basse note dei tromboni accompagnate da fagotti, clarinetti, oficleidi e tube. La caduta nell'abisso è seguita da un silenzio ancora più suggestivo, perché preparato da una progressione di tutte le forze dell'orchestra verso il “tutti fortissimo”. Nella sua “Storia della letteratura italiana”, Francesco De Sanctis ha scritto: “La lotta tra Dio e il demonio è la battaglia dei vizi e delle virtù. Questa è la base della leggenda del Dottor Faust che vendé l'anima al diavolo, leggenda così popolare al Medio Evo, e resa immortale da Goethe.”
‘Kde domov muj’? ‘Dov’è la mia patria?’ Non è un inno di guerra, non auspica la rovina di nessuno, canta senza retorica il paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, le pianure e le betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i piccoli ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra, è stato bello difendere questa terra, bello amare la nostra patria (Milena Jesenskà)
Copenaghen
Bruxelles Louiza
“Dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una prodigiosa marionetta realizzata dalla divinità, per gioco o per uno scopo serio, questo non lo sappiamo." (Platone, Leggi, 1, 644e)
5 commenti:
[N. d. B.]
"La notte psichica" presuppone la lettura di "Il servo fuggitivo", di cui è il commento critico, e che si trova in coda al post "Il libro di Attanasio",
LA NOTTE PSICHICA
“Finché il sole
risplenderà sulle sciagure umane.”
I Sepolcri, Ugo Foscolo
L’interrogativo retorico e allusivo con cui si chiude il testo del servo fuggitivo fa riferimento al demone dei misteri di tutti i tenebriones. L’espressione è di Jung, e di chi altri poteva essere se non di questo medico psichiatra, che stando a contatto ogni giorno con le anime oscure (quest’ultima espressione è mia) cercava di sondarne il buio profondo del loro inconscio? Appropriandomi del tocco misterico del nome, per farne maschera del mio personaggio di alchimista indefinibile, ponevo l’interrogativo su questa figura tenebrosa e sulle trame oscure ch’egli va tessendo come protagonista occulto. Ed allora seguiamo il filo della trama del racconto, attraverso cui si giunge fino a quest’ultimo interrogativo.
Il “servo fuggitivo” si compone di due parti, la prima come narrazione, la seconda come riflessione. L’inizio descrive un’azione banale della realtà quotidiana, che subito scivola nel fantastico, secondo lo schema stilistico del genere, un fondere la realtà con l’immaginario, una tecnica poetica insuperata nell’arte visionaria di Borges, ma anche di Pessoa ed altri virtuosi della letteratura.
Se nello stile del narrare della prima parte imitavo, o cercavo di farlo, i due poeti e gli altri, nell’andamento discorsivo della seconda parte, il mio intendimento era non solo d’illustrare certi contenuti di “La palla d’oro”, il post del mio Blog, che per errore avevo cancellato e poi ripristinato, ma anche la psicologia dell’inconscio di Jung, in relazione ai suoi studi sull’alchimia. Pretenziosamente, infatti, dicevo: “Spiegheremo meglio in seguito questo concetto, che riguarda la psicologia del profondo, di cui peraltro stiamo trattando, ora, in questa mia narrazione, come presto emergerà.” Era l’aspetto relativo al giudizio morale, che discende dall’ambiguità propria della natura umana, secondo la visione di Jung, alla luce della dottrina alchemica. Dovendo commentare la scissione che il dolore provoca nel cuore degli uomini, in cui si riversa con sentimenti contraddittori, nell’artificio narrativo scindevo la mia natura unica di creatore artistico (chiedo scusa della definizione che mi attribuisco) in due personaggi differenti, in cui si rivela la contraddizione tra bene e male: “Se non vi fosse il dolore di Aristarco, come potrebbe giungere l’insensibilità di Decio Livio di fronte al dolore altrui?” Come vuole Jung, seguendo certe dottrine gnostiche, l’indistinzione del bene e del male ha la sua radice nell’unitarietà del principio.
Ed ecco allora la scissione dell’uomo primordiale, “l’uomo che era prima di venire smembrato, fatto a pezzi o separato, prima di diventare due entità separate… l’idea del superuomo è un’idea mistica estremamente antica che ricompare sempre di nuovo nel corso dei secoli… - Che cos’è Nietzsche, dopo tutto? Non è che il ripresentarsi di uno di quei vecchi alchimisti: Nietzsche è un prosecutore della filosofia alchimistica del Medioevo.”
Senza discutere sulle verità dottrinarie dell’alchimia, consideriamo le conseguenze delle due entità separate dell’uomo, riferendoci alla sua ombra, quella notturna e passionale della notte e cerchiamo di addentrarci nelle buie profondità dell’Inconscio, dove si agita il demone dei misteri di tutti i tenebriones. È lui che muove questa massa oscura, gli “ottanta cavalli” impazziti nella notte del parco di Guglielmino?
Se vogliamo dare espressione alle tenebre del desiderio che possiedono l’uomo, possiamo rifarci a un’immagine da me evocata altrove, quella dell’onda nera della materia, che improvvisa si solleva ad afferrare per il collo, in una stretta mortale senza scampo, lo Spirito della luce disceso nei suoi oscuri fondali, dove rimane avvinto per sempre. È una figurazione che può riproporsi qui, dove la lotta non si svolge più sullo sfondo di scenari in grandezze su scala cosmica, la gigantesca allegoria gnostica che ci racconta l’alba del generarsi dei mondi, ma viene riferita all’individualità spirituale dell’uomo, la sua coscienza lacerata dalla contesa tra il bene e il male. È un conflitto interiore alimentato dalla sorgente di vitalità naturale, che trova espressione nella pienezza della libertà. Succede poi che la libertà, sull’orlo del precipizio, rivolgendo lo sguardo dalla sua altezza infinita al fondo dell’abisso, venga colta da vertigine e finisca per precipitarvi, realizzando la caduta nella materia finita, di cui rimane prigioniera. Ma la vertigine appartiene alla luce del giorno, che sola rende possibile lo sguardo nell’abisso, altrimenti insondabile. Ed è l’apertura solare del giorno che rende visibile il muoversi e l’agire dell’uomo, secondo le sue abitudini e i suoi costumi (mores) di vita, rendendo in tal modo possibile la pronuncia di un giudizio morale sulle sue azioni. Al contrario, il buio della notte nasconde nello spessore delle sue tenebre ogni nero desiderio, in tal guisa indistinto allo sguardo e quindi impossibile da giudicare. È la notte dei sensi priva della luce dell’intelletto a dissolvere tutte le differenze, fondendole nel magma di una massa oscura, l’onda nera impenetrabile della materia.
Nella favola dei fratelli Grimm, lo spirito del genio maligno è sepolto sottoterra, dove si ramificano le radici dell’albero che rappresenta la vita. È solo quando viene liberato, che lo spirito può rivelare, grazie alla impietosa luce del giorno, il suo genio maligno, seppellito fino ad allora nell’oscurità della terra.
La luce impietosa, in cui si rivela la malignità del genio, corrisponde alla grande ora mistica, l’ora del mezzogiorno, in cui secondo la mitologia greca, nel sogno meridiano di Pan, “come un improvviso scoppio di tuono nell’aria incandescente”, ha luogo l’apparizione degli spettri, le Sirene e le Ninfe. È l’ora della febbre che colpisce in pieno giorno, menzionata nel versetto biblico del Salmo 91/6, quella a cui si riferisce Giovanni Cassiano, monaco vissuto a cavallo del IV e V secolo: “I nostri antichi padri la chiamano del “demone meridiano”, del quale parla il salmo nonagesimo”.
Accade allora che i delitti meditati nelle tenebre, “la peste che colpisce a mezzanotte”, secondo l’altro verso del distico biblico, Salmo 91, vengano compiuti “sotto il sole di Satana”. Se la notte cela il mistero, le tenebre del desiderio prendono forma alla luce del giorno. E in verità, i mostri generati dal sonno della ragione possono fare la loro apparizione soltanto di giorno, quando la luce li rende visibili. Ecco perché il più grande cantore delle epiche gesta dell’antichità è Omero, "colui che non vede" (ho mè horôn). Soltanto come visioni poetiche fantastiche, infatti, possiamo prestare lo sguardo agli spettacoli delittuosi della Storia, lo scorrere del sangue, gli assassinii, le guerre. Sono i sepolcri, i monumenti dei giardini di pietra, i viali di palme e cipressi a custodire la memoria poetica: “Un dì vedrete / mendico un cieco errar sotto le vostre / antichissime ombre, e brancolando / penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne / e interrogarle. Gemeranno gli antri / secreti, e tutta [la storia d’Ilio] narrerà la tomba.”
Nella suggestiva successione romantica delle immagini poetiche del Foscolo è alla fine il trionfo di luce ad illuminare la tragica vicenda umana ordita nella sua notte psichica: “Finché il sole risplenderà sulle sciagure umane.”
L’INCONSCIO NELL’ARTE
Non abbiamo potuto proseguire il nostro percorso nell’officina infernale della notte dei misteri custodita dal demone principe di tutti i tenebriones, perché siamo andati ad immergerci e quindi a fonderci nella massa oscura, l’onda nera della materia (la “selva oscura”), in cui fondendosi la nostra anima (psiche) si è smarrita. Qui il nostro inconscio individuale, immerso nelle acque buie dell’inconscio collettivo, avrebbe dovuto inviarci in forma simbolica il contenuto profondo delle immagini primordiali, gli archetipi junghiani, figurandoli nei nostri sogni. Soltanto così avremmo potuto vedere sfilare in immagini le forme tenebrose dei nostri desideri notturni. Ora, questo viaggio precluso alla mia fantasia psichica ha avuto la possibilità magari (eccome non l’ha avuta!) di essere compiuto da anime più profonde e geniali, grandi artisti che hanno saputo esprimere in pittura o in poesia le immagini dei sogni, i loro incubi e deliri, che appartengono a tutti noi, e ce ne hanno fatto partecipi. E allora come non potremmo riconoscere in “Caron dimonio, con occhi di bragia” il volto di un principe dei tenebrosi? E così per le tante altre infernali immagini dantesche che descrivono i patimenti dei dannati, il giusto contrappasso, che compone insieme il bene e il male. E che dire della “Chevauchée de Faust et de Méphistophélès devant le gibet de Montfaucon”, dipinto ad olio dell’artista Joseph Thierry, custodito nella Biblioteca del Museo dell’Opera di Parigi? Un quadro ispirato ai versi immortali di Goethe: “Nella campagna di notte Faust e Mefistofele al galoppo su cavalli neri”. Il dipinto è conservato nel tempio della musica, perché sogni, incubi e deliri trovano espressione in quell’elemento, il dionisiaco, che muove le passioni sotterranee, risplendenti nella luce apollinea del giorno. Bene lo sapeva Nietzsche autore della sua prima opera giovanile: “La nascita della tragedia dallo spirito della musica”.
In musica, il poema di Goethe è stato adattato da Hector Berlioz: “La dannazione di Faust”, composizione per coro e orchestra, “una leggenda drammatica”. "Pianure, montagne e valli, la corsa verso l’abisso di Faust e Mefistofele, al galoppo su due cavalli neri". Le battute scambiate tra i due personaggi durante la cavalcata notturna, evocanti le stregonerie, nella musica di Berlioz diventano il momento principale, inventato dal compositore, alla fine del quale l'eroe, dannato, sarà trascinato nell'inferno. Non vengono risparmiati gli effetti: un ritmo sconvolgente delle corde evoca la cavalcata infernale, mescolata a un coro di contadini, i cui inni vengono disturbati dal galoppo dei cavalli. I "mostri orribili", i “grandi uccelli notturni", gli "scheletri danzanti" sono illustrati dalle basse note dei tromboni accompagnate da fagotti, clarinetti, oficleidi e tube. La caduta nell'abisso è seguita da un silenzio ancora più suggestivo, perché preparato da una progressione di tutte le forze dell'orchestra verso il “tutti fortissimo”.
Nella sua “Storia della letteratura italiana”, Francesco De Sanctis ha scritto: “La lotta tra Dio e il demonio è la battaglia dei vizi e delle virtù. Questa è la base della leggenda del Dottor Faust che vendé l'anima al diavolo, leggenda così popolare al Medio Evo, e resa immortale da Goethe.”
IMMAGINE
Georg Friedrich Kersting (Güstrow, 1785 – Meißen, 1847), pittore tedesco, autore del “Faust nel suo studio”.
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