venerdì 19 luglio 2024

Narrativa

 

        

         Il musicista del terzo piano




10 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

IL MUSICISTA DEL TERZO PIANO

Era un suo desiderio partecipare ad un veglione di Capodanno, e quella sera decisi di accontentarla. Lucilla aveva definitivamente abbandonato il marito, poi divenuto il suo ex-marito, per venire a vivere con me. Devo soltanto dire che quando l’ho conosciuta, mi aveva nascosto la circostanza di essere sposata ed avere una figlia liceale. Io ero un uomo solo, non soltanto in quel periodo della nostra conoscenza, ma da parecchi anni, soltanto una relazione di qualche mese con una mia coetanea in gioventù. Ancora non so come sono riuscito a troncare con quella mia giovane amica ed amante, in quanto lei era pazza, nel senso che aveva altri amici, oltre me. E non era una pazzia questa? Avevo accennato appena a Lucilla di questo episodio della mia gioventù, ma lei non era interessata al mio passato e nemmeno alla mia casa. Viveva con me, un ordinario appartamento di un condominio, soltanto perché nella causa di separazione dal marito, con addebito a suo carico, per l’infedeltà coniugale, la villa pur di sua proprietà era stata assegnata a lui. In seguito, ho capito che conducevano una vita di relazioni sociali, per bilanciare un’intesa che tra di loro non c’era più, lui viveva le sue avventure fugaci e lei alla fine aveva trovato me. E aveva deciso di iniziare la nostra nuova vita insieme, perché aveva scoperto che io ero l’uomo con il quale avrebbe passato il resto della sua vita. È una donna molto bella, nello splendore dei suoi quarant’anni, in verità è un po' più vicino ai cinquanta, ma la vita si è allungata, ed anche per me, che ho un anno soltanto più di lei. Sono passati sette anni, da quando conviviamo in questo appartamento al quarto ed ultimo piano di un condominio nei pressi del parco dell’Appia antica, in cui io vivevo con i miei genitori, morti vent’anni fa insieme in un incidente aereo. Quando ero solo, nei primi tempi, mi era toccato licenziare molte collaboratrici domestiche, perché non si facevano i fatti loro, e ho subito anche diversi furti in casa, in mia assenza, ma si tratta di coincidenze. Infine, avevo trovato una donna fedelissima e corretta, pagata bene, che se ne andò soltanto quando scoprì che nel mio armadio erano comparsi degli abiti femminili. Era una pazza di passaggio, che aveva cominciato a sistemare qualche suo vestito nel mio armadio; ma la scoperta bastò per mettere in fuga la mia fedele collaboratrice, chissà perché! Rimasto solo, era arrivata Lucilla, che in questi ultimi tempi ha deciso di divorziare dal marito, per potersi sposare con me, avendo io lo stato civile libero. Lucilla ha solo un cruccio, ed è anche il mio: non possiamo avere figli, per raggiunti limiti di età, diciamo così, imitando il gergo burocratico per i militari che vanno in pensione. Una notte ho sognato lei che mi guardava con un velo di tristezza, era quello il motivo, ed anch’io mi sono sentito triste al risveglio. Durante il nostro ménage, non avevo esaudito mai il suo desiderio, in verità mai espresso, di condurre vita mondana, ma sarà stato che quello era stato il motivo del fallimento del suo matrimonio, ed io non volevo far fallire quest’altro suo prossimo venturo con me. Poi mi decisi e le parlai della possibilità del veglione, si illuminò in viso, forse mi amava perché alla fine esaudivo ogni suo desiderio? Ero obbligato a farlo, prima di sera, prima che arrivasse di colpo la sera, il “subito sera” di Quasimodo.

Silvio Minieri ha detto...

Adesso, capisco di dire una cosa strana, e anche di ripetermi, ma nella mia vita precedente sono rimasto con il rimpianto di non avere esaudito quel desiderio della donna amata, un nostro figlio, e questo leggero rimpianto ogni tanto mi coglie nel tempo presente, la vita cosciente attuale che esclude altre realtà.
Fu così che andammo al veglione, e lì fummo colti da una sorpresa: incontrammo, per un puro caso, ossia la volontà del destino, quello che Lucilla riteneva fosse il musicista del terzo piano, un coinquilino del palazzo. Era in smoking, la moglie in abito da sera. Sorrise il presunto maestro di musica, Bassetti Sergio, quando ci vide, non sembrava sorpreso, era un uomo di mondo, abituato a inattesi incontri in società, come Lucilla, e anche io dovrei esserlo, ma non ci sono abituato né mi ci voglio abituare, per Ercole! Dopo i cenni di saluto ed i sorrisi, io andai rapidamente verso il buffet, Lucilla rimase a parlare con la coppia, li lasciò soltanto dopo un po', quando arrivarono un signore e una signora di età molto avanzata. La donna era la madre di lui, come seppi subito dopo, e faceva troppe domande, forse aveva domandato dove fossi io, perché vidi che a un certo momento, si erano voltati tutti nella direzione del buffet, dove stavo mangiando una tartina e bevendo un calice di spumante, servito dall’addetto.
Quando mi raggiunse, lasciando i suoi occasionali compagni, Lucilla non mi disse: perché non ti sei avvicinato, vieni andiamo da loro, ti presento a quei due signori. No, non mi disse così, però parlammo appunto di loro, e io dissi che si trattava di Bassetti Sergio. No, quello è il maestro di musica del terzo piano, disse Lucilla, con la moglie chirurgo al Policlinico, lei è la madre di lui, e l’altro l’accompagnatore della madre. Nella sua mente, Lucilla dissociava il nome Bassetti dalla figura del maestro di musica, come invece era mia convinzione. Ma io non potevo ulteriormente obiettare, in quanto era lei quella che possedeva più informazioni, d’altronde se avessi voluto informarmi meglio, perché mi ero allontanato? Preferivo stare in disparte?
E mentre così parlavamo tra noi, vedemmo loro che si avvicinavano, ecco potevamo chiarire. Ci sorrisero tutti e quattro, non parlarono, ma cominciarono a servirsi al buffet, solo la moglie di Bassetti, quella che in ragione del nome del marito, ritenevo fosse la signora Bassetti, il chirurgo tanto per intenderci, rivolgendosi a me fece qualche battuta sulla delizia delle tartine, un timido approccio tipicamente femminile. E a quel punto capivo che era indelicato fare domande chiarificatrici, magari parlando di musica, e meglio ancora della musica da pianoforte, quella di cui in diversi pomeriggi avevamo udito le note provenire dal piano di sotto, e mi vennero in mente i versi della prime strofe della poesia di Giovanni Pascoli: “Il passero solitario”.
Tu nella torre avita,
passero solitario,
tenti la tua tastiera,
come nel santuario
monaca prigioniera,
l’organo, a fior di dita;
che pallida, fugace,
stupì tre note, chiuse
nell’organo, tre sole,
in un istante effuse.

Silvio Minieri ha detto...

Il Pascoli si era espressamente ispirato alla lirica di Giacomo Leopardi, imitandone il titolo e in un certo senso il tema, declinandolo a modo suo: declinare, si dice così? Non svolgere? Che razza di dubbi! Forse ne nascondono altri, come quelli sulle note di pianoforte, che salivano fino a noi dal piano di sotto, il terzo. Ma non poteva essere il secondo? Così si accordavano le due tesi contrapposte: la mia, il musicista era Bassetti; quella di Lucilla, che non dava un nome al maestro di musica del terzo piano. Diciamo che “Bassetti” era il nome sulla targhetta della cassetta della posta, il cui numero corrispondeva a un certo piano del palazzo, non avevo mai riflettuto se fosse il secondo o terzo. Io, una volta, avevo visto dalla strada la moglie, il medico chirurgo, affacciata ad una finestra, che a ripensarci bene doveva essere quella del secondo piano. E con mia sorpresa, mia moglie, voglio dire Lucilla, un giorno che discutevamo ancora su questa identità tra nome e immagine della persona, mi domandò: “Ma chi è Bassetti?” Non replicai, pensai soltanto: “Quello con cui hai parlato al veglione, il nostro coinquilino, che ogni tanto incontriamo nel palazzo, e a volte lui e la moglie insieme.” Lucilla aveva risolto il suo dubbio o forse no, non lo so; io, invece, ancora non capivo: se Bassetti non era il maestro di musica, perché abitante al secondo piano, come poi accertai, allora questo fantomatico musicista del terzo piano chi era?
In verità, questo mio dubbio, rimasto in sospeso e irrisolto dal veglione di Capodanno, e che affiorava ancora qualche volta nello scambio di battute sull’argomento tra me e Lucilla, l’identità del musicista del terzo piano, finì per perdersi, perché le note del pianoforte si diradarono e non le sentimmo più fino ad una sera, di cui devo dire. Era quasi notte, Lucilla dormiva di sopra, il nostro appartamento è su due piani, io ero in salotto, dove scrivevo il mio articolo sulla giornata di ciclismo, sono cronista sportivo di un giornale online, di mia proprietà. E qui voglio ricordare un flash, che compare nella mia memoria, quando ad una festa – era il matrimonio di mia sorella Laura? A Borgaretto, un paesino della Val di Susa, in Piemonte – alla televisione trasmettevano una partita di pallacanestro, forse del campionato italiano o europeo. L’apparecchio televisivo era messo in disparte, su un tavolino in un angolo della grande sala del banchetto di nozze. Un giocatore aveva fatto canestro, quando l’arbitro aveva già fischiato: “Nettamente fuori tempo.” Il commento mi raggiunse alle spalle, mi voltai e convenni sul fuori tempo. La battuta era stata pronunciata da un signore alto, bianco di capelli, barba curata e baffi, l’espressione seria ed arguta a un tempo: era il marito o accompagnatore che fosse della madre di Bassetti Sergio. Ma il convito di nozze di Laura in Piemonte, dove per strani destini viveva fin dall’infanzia con dei miei zii e cugini, la zia era una contessa napoletana, era avvenuto anni prima, diversi anni prima, del veglione romano. E allora? Una fantasia che si sovrappone ad un’altra, o meglio un ricordo anteriore che si fonde con un ricordo recente, lasciando dileguare la dimensione del tempo? Così pare, anzi così deve certo essere, e come potrebbe essere altrimenti? Certe mie convinzioni vacillano sulla figura di Bassetti musicista. Ma poi che importanza ha se lui sia o meno il suonatore di pianoforte del terzo piano?

Silvio Minieri ha detto...

Ritorniamo invece a quella sera in cui stavo scrivendo il resoconto della tappa del Tour da Pinerolo al Galibier, la terza, in cui erano stati scalati in successione il Sestriere, il Monginevro e appunto il Galibier, ma dal lato più facile. Ero seduto al computer, e avevo messo in sottofondo il notturno di Chopin, poi mi interruppi mentre scrivevo e fermai la musica, per una pausa di silenzio nella notte. Credetti di averlo fatto, mi sbagliavo, le note sonore echeggiavano nell’aria. Forse avevo cliccato male, per arrestare lo scorrere del file musicale, controllai, era in standby. Le note di pianoforte del notturno di Chopin salivano dal piano di sotto: era il musicista del terzo piano, e non era Bassetti, che abitava al secondo. Chi era allora? Lucilla era stata nella casa a fianco, tempo prima, quando il proprietario aveva lamentato una perdita d’acqua dal nostro terrazzino, che macchiava il soffitto della sua cucina. Ci accordammo per la riparazione, Carloni salì su da noi, era un funzionario della Ragioneria di Stato, un esperto economista, mi fece un piccolo sconto. Non ho mai capito chi fosse la moglie di Carloni, forse era una signora bionda, che avevo intravisto una volta, o un’altra donna bionda, un po' sciatta, magari la loro collaboratrice domestica. Oppure, quella prima intravista era una familiare di Cavalli, questo il nome sulla targhetta della posta dei vicini di pianerottolo dei Carloni. Io avevo visto nel palazzo, al terzo piano, un disabile in carrozzella, e ritenevo fosse Cavalli, oppure pensavo fosse l’uomo alto e longilineo, magari il marito o il compagno della donna bionda, che io presumevo fosse la moglie di Carloni. Una gran confusione di nomi, immagini e persone: ma chi di costoro suonava il pianoforte? Non potendo essere Carloni e consorte, allora bisognava individuare il musicista tra i loro vicini. In verità, questi dubbi mi sfioravano soltanto quando avevo occasione di incontrare ognuno di loro, solo ogni tanto; ma forse la ragione vera era quella di stabilire chi avesse ragione tra me e Lucilla. Eh, sì! Io non dubitavo di lei, ma dei suoi possibili fraintendimenti. Sta di fatto che un giorno Carloni sparì, la sua assenza si prolungò nel tempo, e di fronte a certi miei interrogativi su di lui posti a Lucilla, lei rispondeva in maniera vaga e assente. Perché insistevo? Che cosa importava a lei di Carloni e della sua sparizione? Poi un giorno, a sorpresa, mi disse che il nostro economista si era separato dalla moglie, ed era andato ad abitare altrove. Come l’aveva saputo? Il figlio di Eleonora, la nostra vicina di casa, nonché gazzetta del condominio, lavorava in un laboratorio di analisi, dove aveva raccolto la notizia, poi girata alla madre. Lucilla sapeva sempre più cose di me, ma non mi tolse dalla testa che Bassetti Sergio fosse il musicista del terzo piano, anche se abitava al secondo, una mia evidente contraddizione mentale. Infatti, ebbi la certezza di tale circostanza, una domenica, in occasione di un fatto abbastanza inquietante.

Silvio Minieri ha detto...

Quella mattina del giorno festivo, ero andato a fare una passeggiata, e rientrando, avevo preso l’ascensore che conduce al quarto piano. Uscito dall’ascensore, mentre mi accingevo ad aprire la porta di casa, fui raggiunto sul pianerottolo dall’inquilino del secondo piano. Mi invitò a scendere con lui, in fretta, voleva farmi vedere qualche cosa di particolare e spiacevole. Tra il secondo e il terzo piano, vi erano grandi macchie di sangue abbastanza fresco, in piedi stava quella donna minuta che avevo visto altre volte, ed era la sua consorte. Osservai che poteva trattarsi del sangue di un animale, un cane o un gatto, alcuni erano nel palazzo e in quelli vicini. Scosse la testa, e mi domandò se era il caso di fare una denuncia, dissi di avvertire Bassetti, che abitava al terzo piano, ma lui disse di no, che non c’era, io mi sbagliavo. Scendemmo alcuni gradini e mi indicò la porta di fronte a quella del suo appartamento: “È andato fuori Roma,” disse, “torna martedì.” Ero abbastanza sorpreso: “Pensavo abitasse al terzo piano” dissi. Speroni o Spadoni, così mi sembra doveva chiamarsi il coinquilino, poi convenne con me di dover avvertire Bassetti. Io dissi che potevo testimoniare di quelle macchie di sangue, e che si poteva far intervenire il veterinario dell’ufficio provinciale. Dopo gli accertamenti, la moglie di Speroni s’impegnò a lavare e pulire il tratto di scale, senza aspettare l’uomo delle pulizie il seguente lunedì mattina. Aveva sempre un’aria seria, al contrario di quella più distesa del marito, e nell’occasione sembrava accettare di mala voglia di svolgere compiti non suoi, magari come anche tra le sue mura domestiche. Qualche giorno dopo, nella mail listing, Bassetti diede la sua spiegazione dell’episodio ai condomini, ascrivendo alla mancanza di sicurezza della porta d’ingresso in vetro del palazzo la vulnerabilità dell’edificio. Nella notte, era verosimile, qualcuno si era introdotto nel condominio con un animale sgozzato, forse un capretto o un cane, un gatto, un pollo, un coniglio, macchiando di sangue quel tratto di scale. Comunque le analisi della sostanza ematica avrebbero stabilito a quale specie umana o animale apparteneva quel sangue. Non seguii più la vicenda, ma non so perché, ogni tanto in proposito, mi venivano in mente il Conte di Sangermano o leggende su usanze di banchetti di carne umana: “Tiens tiens tiens, je sens une odeur de petit chrétien.” Ma il Conte di Sangermano che relazione aveva con Mordecaï, “qui marmotte en salivant, lubrique: tiens tiens tiens, je sens une odeur de petit chrétien”?
Una certa relazione, sulle ali di una contiguità alchemica, doveva avercela oppure era soltanto l’arbitrio di una mia fantasia? “ – Se non fai il buono e non vai a dormire subito questa notte ti visiterà l’orribile Mordechai. Così mi minaccia il nonno. E io stento ad addormentarmi, nella mia stanzetta sotto il tetto, tendendo l’orecchio ad ogni scricchiolio della vecchia casa, quasi sentendo per la scaletta di legno i passi del terribile vecchio che viene a prendermi per trascinarmi nel suo infernale abitacolo, a farmi mangiare pani azzimi impastati col sangue dei martiri infanti. Confondendo con altri racconti che ho udito da mamma Teresa, la vecchia serva che ha già allattato mio padre e ciabatta ancora per casa, odo Mordechai che biascica salivando lubrico: - Ucci ucci ucci, sento odore di cristianucci.”

Silvio Minieri ha detto...

È un passo del “Cimitero di Praga” di Eco, che evoca quelle che Jung definisce “voci calunniose riguardanti l’assassinio rituale che si riteneva praticato all’interno dei circoli gnostici, così come tra i cristiani e gli ebrei.” E prosegue: “Anticamente si diceva che praticassero il gioco della palla utilizzando un bambino che si lanciavano l’un l’altro finché infine non cessava di vivere. Il bambino rappresentava il dio. Si trattava di un sacrificio del dio e di un sacrificio umano compiuto al fine di rinnovare la vita del dio. Era come mettere a morte il dio dell’anno passato… in quanto dio dell’anno venturo.” Jung va avanti, parlando del “bambino d’oro, la sostanza preziosa e perfetta che è creata dall’uomo o nata dall’uomo. E si tratta ovviamente dell’oro alchimistico… Si gioca con questa sostanza oppure la si maneggia all’interno di un cerchio mistico, e il significato di ciò è che questo cerchio di persone in cui esiste una tale relazione mistica è tenuto insieme dal germe solare, da quella palla d’oro perfetta, quel germe che si sposta tra loro, mosso in parte o principalmente dalle persone stesse e tuttavia secondo un disegno preesistente.”
(Prima Conferenza, Sessione Invernale (1936) del Seminario sullo “Zarathustra”)
Il Conte di Sangermano, “L’uomo che sa tutto e che non muore mai”, come l’aveva definito Federico II di Prussia, a Casanova aveva detto di avere più di trecento anni, ed aveva fama di essere un alchimista. Ecco, la scienza alchemica legava il Conte di Sangermano ai riti narrati da Jung sull’oro alchimistico, la sostanza preziosa e perfetta creata dall’uomo, il bambino d’oro del divino sacrificio.
Io non voglio dire che su quelle scale del condominio apparivano tracce evidenti di un rito sacrificale, in cui la vittima era un appartenente alla specie animale, meno che mai umana. L’allusione al bambino d’oro è soltanto un riferimento all’opera di Jung, “Psicologia e alchimia”, pubblicata a Zurigo dopo 15 anni di studi nel 1944. Il Conte di Sangermano, invece, non si riferisce al profilo storico di un personaggio, nella sua aria misterica immortale, più avventuriero, come il suo contemporaneo Casanova, che alchimista, come Paracelso, predecessore di tre secoli. E dobbiamo notare che un tale ultimo dato, quello dell’arco temporale dei tre secoli, può essere annullato dall’età plurisecolare di Sangermano, in questo molto simile al venerabile Agilè, suo consimile personaggio letterario, nato dalla fantasia di uno scrittore, che sono io e non sono io, autore di un racconto, “Dei ladri notturni, dei viaggiatori e delle ombre”, compreso nella raccolta: “Il nero della scrittura”. E Agilè non è una copia del Conte Sangermano del “Pendolo di Foucault”(1988), e nemmeno di quello del romanzo (Der Graf von Saint Germain, 1948) dello scrittore viennese Alexander Lernet-Holenia. Il debito con quest’ultimo trova origine dal pensiero espresso nel suo romanzo dal suo Conte di Sangermano, da me preso a prestito e in un certo modo travasato in quel mio racconto.

Silvio Minieri ha detto...

E qui svelo di non limitarmi ad essere un improbabile cronista di ciclismo, ma anche di dilettarmi a scrivere racconti, e pertanto di potermi definire scrittore dilettante. E allora riprendo il passo, tratto da “Il nero della scrittura”: “È mattina e mi sono svegliato molto presto, con nelle orecchie il sinistro gracchiare delle cornacchie; questi volatili, come ricorda il conte Sangermano, pur vivendo nell’ambiente plasmato dall’uomo, non hanno sviluppato caratteristiche simili a lui, come invece altri animali domestici, per esempio il porco da cortile, che condivide con gli umani la rosea nudità della pelle ed anche altri tratti del carattere, quali un certo modo di cedere all’istinto sessuale, la propensione a rivoltolarsi nel sudiciume, la fiacchezza e più in generale la mancanza di difesa davanti alla natura; così il cane che come l’uomo ha paura degli spettri oppure il cavallo che facilmente si adombra di fronte a visioni fantasmatiche; le cornacchie invece volano in bassi circoli radenti l’habitat umano, per allontanarsi poi in più ampi giri, con quel cupo e ostinato gracchiare, in cui risuona tutta la loro avversione di fauna aerea.” E se fosse stato di un suino quel sangue di animale sulle scale tra il secondo e il terzo piano? Quel che di oscuro e tenebroso raccoglieva la mia fantasia nei suoi incontri con i fantasmi letterari colti da terribili insonnie oppure ombre o ladri notturni, schiariva alla luce della realtà. Il risultato delle analisi furono portate a nostra conoscenza da Bassetti, sempre attivo sulla mail listing condominiale, donde il suo carisma e autorità. Ma forse queste derivavano da altre qualità o relazioni sociali di quello che avevo ritenuto fosse il musicista del terzo piano. E se fosse stato imparentato con personaggi di alto rango e indiscusso ruolo sociale, come quello di un presidente di Corte d’appello? Questa mia illazione derivava dalla figura, divenuta l’immagine di una mia reminiscenza o rammemorazione – spiegherò oltre il significato aristotelico dei termini – dell’accompagnatore della madre della signora Bassetti, il medico chirurgo, indebitamente collegata all’invitato del matrimonio di Laura a Borgaretto, in Piemonte. Qualche volta mi era sembrato di individuare questo signore come un alto magistrato della Repubblica, che veniva intervistato in televisione. E se invece si fosse trattato di una presenza psichica della mia mente, una di quelle entità esistenti come spiriti? “Veduti sotto il profilo psicologico, gli spiriti sono complessi autonomi inconsci, che appaiono in forma di proiezione perché non hanno una diretta associazione con l’ego.” Questo è il pensiero di Jung nella sua psicologia dei fenomeni occulti. In tal senso il presidente della Corte d’appello, e non so perché lo associo al presidente Schreiber (quello delle memorie di un malato di nervi), sarà per il suo ruolo professionale – ma non tutti i presidenti di Corte d’appello sono come il presidente Schreiber così come non tutti i medici chirurghi sono il dottor Frankenstein o il dottor Mabuse – ebbene questo verosimile suocero di Bassetti, ovvero l’immagine che io ho di lui, potrebbe anche essere una possibile riviviscenza di personaggi come il Conte di Sangermano o di quella figura balenante di una luce ambigua, Giuseppe Balsamo, detto Cagliostro, o di quella non mena ambigua, il venerabile professore Rosario Agilè dei miei “gigli funebri”.

Silvio Minieri ha detto...

Codesti spiriti – spiega Jung – non sono realtà esistenti in sé: “La questione se gli spiriti esistano in sé è ben lungi dall’essere risolta. La psicologia non si occupa delle cose quali sono “in sé stesse”, ma soltanto del modo in cui sono pensate dall’individuo.” E quindi la visita di codesti fantasmi, che ci vengono a trovare in maniera inattesa, ma a volte anche attesa, nel senso che vengono da noi evocati, sta a significare che non si tratta di eventi soprannaturali, ma di eventi naturali della nostra psiche, di proiezioni esterne alla nostra mente. Chi di voi o di noi non ha mai incontrato sulla metropolitana di Roma, che so, la linea da Termini a Laurentina, un angelo di Berlino? Uno degli angeli del cielo sopra Berlino di Wim Wanders, una di quelle figure invisibili quali sono gli spiriti angelici, ma visibili come uomini qualunque, viaggiatori su una linea della metro? Chi? Come chi! È che forse uno non ci fa caso, per Diana! Ed è ovvio che sto mischiando sacro e profano, evocando gli angeli delle religioni abramitiche e gli dèi della religione romana, contaminando la mia scrittura e rendendola in tal modo profana. Eppure ricordo bene di avere una volta evocato l’immagine di un angelo, vestito in maniera casual, accanto alla fontana delle Api, all’angolo tra via Veneto e piazza Barberini: “Aveva le sembianze di un giovane dall’aria accattivante, con i capelli lunghi inanellati sul collo, di un colore castano scuro, gli occhi azzurri, il viso abbronzato, l’espressione sorridente, il corpo se non proprio massiccio di certo niente affatto magro; ispirava con tutta la sua persona un senso di fiducia e amicizia. Colsi anche alcuni aspetti particolari del suo abbigliamento: indossava, sebbene fosse estate, un leggero soprabito color antracite, allacciato con una cinta di stoffa, su un vestito blu scuro, con camicia bianca e cravatta scura; ed anche un altro particolare mi colpì: calzava ai piedi scarpe da ginnastica. Il giovane mi guardò a lungo negli occhi, esprimendo tutta la sua comprensione ed amicizia per il mio stato d’animo, preda di Nostalghìa e di Sophrosine a un tempo, ed espresse tali suoi sentimenti in una maniera così intensa e fraterna che io fui colto da un sincero senso di gratitudine, che m’invase l’animo, cancellando per il momento ogni impronta delle due dee che brevemente si eclissarono.”
Questi spiriti angelici contrastano fortemente con certe realtà materiali, quali ad esempio un maialino nel frigorifero, consegnato a un “norcinaro”, versione umbro-romana di norcino, per la dissezione e i tagli opportuni in porzioni commestibili per una buona cucina, donde la nota porchetta. In seguito ebbi occasione di conoscere il contenuto di un messaggio recapitato ai condomini da Bassetti sul risultato delle analisi del sangue rinvenuto sulle scale tra il secondo e terzo piano. Estratti di reperti della sostanza ematica, messi a reagire in agar-agar, erano stati confrontati con sieri anti-proteine totali di un uomo, di un cane, di un gatto, di un bue, di un suino, di un pollo e di un cavallo. E si riteneva fosse il sangue fresco di maiale, quello che si usa anche per fare il sanguinaccio.

Silvio Minieri ha detto...

Ma in quel periodo ero troppo concentrato su un frammento letterario, la critica di un racconto struggente: “Bisogna dire infine che l’equilibrio tra la sostanza della vita e il desiderio, la realtà ed il sogno, i due sfondi in cui si raccolgono rispettivamente le storie narrate, raggiunge forse il suo culmine, dolente e sublime, in “Lettre à ma fille”, breve storia, intrisa di nostalgia e rimpianto per il non vissuto ed il sempre atteso e desiderato, che si dipana tra veglia e sogno in una figurazione di luce in lento affievolimento, un chiarore nella notte scura, dove l’immagine si tende all’indietro per non perdersi e sparire nella lontananza: “Dans ces images tu rayonnes, petit bout de femme unique et merveilleuse, qui tend la main à la femme vieillissante que je suis”. “In queste immagini risplendi, una giovane donna unica e meravigliosa, che tende la mano alla donna anziana che sono.” Era la rievocazione della figura di una giovane creatura desiderata, che sembra voler trattenere da lontano l’anziana donna del presente: questo sembrava il significato del frammento letterario.
Quella sera in cui sentii provenire le note di pianoforte dal piano di sotto, era passato molto tempo dall’episodio delle macchie di sangue, e l’appartamento in questione, che a suo tempo per errore avevo creduto fosse abitato da Bassetti, era ormai andato deserto. Non si vedevano più le figure di un tempo e più nessuno frequentava quella casa, ed erano spariti anche i nomi dalla targhetta della posta. E allora chi suonava il pianoforte? E le note musicali che risalivano dal piano inferiore erano quelle della “Sonata al chiaro di luna” di Beethoven o il “Notturno” di Chopin?
Nell’incipit del “De memoria et reminiscentia” uno dei “Parva naturalia”, Aristotele scrive: “Riguardo alla memoria e al ricordare, bisogna dire che cos’ è, per quale motivo si produce e quale parte dell’anima interessa tale affezione e il rammemorare.” In tal senso distingue tra due facoltà: la memoria o ricordo e il rammemorare ovvero la reminiscenza. L’aristotelico Tommaso spiega bene la differenza: “Memorari nihil aliud est quam bene conservare semel accepta, […] reminisci est quaedam reinventio prius acceptorum non conservatorum.” (Sancti Thomae de Aquino. Sentencia libri De sensu et sensato. Tractatus II, De memoria et reminiscentia, Lectio 1.)
Ricordare è nient’altro che tenere bene a mente quanto percepito […] reminiscenza è un qualche ritrovare quanto precedentemente percepito, ma non tenuto a mente. Analogo nel ricordo e nella reminiscenza è il tratto del tempo passato, in quanto l’uomo vive nel tempo. “Del presente nel presente non c’è memoria, del futuro attesa, del passato, invece, si dà memoria. Perciò la memoria implica sempre che sia trascorso del tempo.” Così dice Aristotele e trae la conclusione: “ Di conseguenza gli esseri che percepiscono il tempo, essi solo ricordano.”

Silvio Minieri ha detto...

Ora, se il tratto del trascorrere del tempo caratterizza memoria e reminiscenza, per quest’ultima deve aggiungersi un’interruzione di coscienza, una lacuna che solo uno sforzo mentale può riuscire a riempire, superando così il vuoto stesso della mente.
Quando io penso a quella sera in cui rimasi in ascolto, nel silenzio della notte, alla musica che proveniva non più dal mio computer, ma dal terzo piano, il mio pensiero è senz’altro un ricordo. Io non devo fare nessuno sforzo mentale per ricordare la sorpresa di quella sera, il mio essere rimasto in ascolto. Lucilla dormiva di sopra, ecco, il mio ricordo si associa al sonno di Lucilla, che dormiva al livello superiore della nostra casa, sotto il soggiorno e la cucina, di sopra la zona notte con le camere da letto. E quel ricordo ne trascina un altro, riempie la lacuna, l’interruzione di coscienza, e mi riporta ad una reminiscenza, quel periodo della mia vita, che è diventata triste. Lucilla si ritirava sempre più spesso di sopra, prima mezze giornate, poi giornate intere e le sue notti. Ricordo quando mi chiamò per andarle a comperare delle caramelle al limone, girai l’intero quartiere, non le trovai, presi nel negozio vicino casa delle caramelle all’arancia, poi salii in fretta da Lucilla. La camera era in penombra, lei era distesa immobile sul letto, in assoluto silenzio, non si sentiva il respiro, il volto bianco, gli occhi chiusi. Lucilla, dissi, lei non rispose, Lucilla, chiamai, nulla, silenzio, la toccai leggermente, non si mosse. Si era ritirata dal grande Universo, in cui dimoriamo tutti insieme, noi la grande famiglia dei viventi, uomini, piante, animali, nei grandi spazi della terra e del cielo, dei pianeti, il sole e le stelle, perduti nella lontananza degli infiniti mondi. Restai fermo in quella stanza, seduto accanto a lei a contemplarla in quella sua ultima definitiva positura. Quanto tempo? Non so, ne ho perduto memoria, devo compiere uno sforzo per rammemorare, rintracciare il ricordo nella coscienza. Un reminiscenza? Le razionali distinzioni di Aristotele su memoria e rammemorazione non corrispondono più ai registri della mia anima. La musica di Beethoven e di Chopin al pianoforte cominciò a provenire regolarmente quasi ogni sera, fino a quando mi decisi di verificare. Scesi al piano di sotto, rimasi in ascolto, distintamente sentii le note del notturno di Chopin. Infine, mi riscossi, suonai il campanello ed attesi, la musica venne interrotta, aspettai ancora un po', mi sembrò di sentire dei passi che si avvicinavano all’uscio, un attimo ancora, poi aprì la porta e non c’era nessuno.