lunedì 2 settembre 2024

Giallistica

            Una donna bianca



12 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

[N. d. B.]
Pubblico questo racconto: “Una donna bianca”, scritto tre anni fa, compreso un post-scriptum ad un precedente racconto giallo, in cui se ne annunciava la pubblicazione in realtà non avvenuta, in quanto allora ritenevo il racconto inconcludente nel finale o meglio inconcluso. In verità è la cronaca nera ad essere sempre inconclusa, e ad un certo punto, interviene una certa stanchezza a doverla seguire e quindi raccontare, raffigurandola in (fingendo) storie immaginarie, perché come diceva Pessoa: “Il poeta è un fingitore”. Hai capito? No. Va bene lo stesso: comunque raccontare significa fingere, dal latino figere, fissare, raffigurare. Bravo! Grazie. Abbiamo finito? Sì. Fine.

Silvio Minieri ha detto...

UNA DONNA BIANCA

1. La denuncia
Stava in piedi, affacciato al terrazzino della sua casa al quarto piano, e guardava la scalinata di fronte che divideva due immobili tra loro collegati in una struttura contigua con un’altra fila di stabili, parallela alla linea continua di fabbricati, in cui era compresa la sua abitazione. Guardò giù in strada, era una strada chiusa che confinava con la campagna verde del parco dell’Appia Antica, le automobili parcheggiate e allineate ordinatamente, a ridosso delle aiuole. Non si vedeva nessuno, soltanto il panorama di case e finestre, in quel pomeriggio di fine di agosto, nel silenzio più generale. Sentì squillare il telefono di casa e rientrò nel salotto, prese il portatile dal tavolo dove era appoggiato: “Pronto, sono Magrini” disse. “Sono l’assassino di una donna bianca” rispose una voce dall’altra parte. Il commissario non si scompose, era abituato a telefonate improvvise e inusuali, in tutti gli orari più inopportuni, sia di giorno che di notte. “Non mi ricordo chi sei, scusami, non ti riconosco.” La battuta era anodina, valida sia per un amico in vena di scherzi, di cui non riconosceva la voce, ma adatta anche per quella notizia che uno sconosciuto gli recava, impropria per altri, ma non per lui. “Commissario, lei non mi conosce, sto dicendo che ho ucciso una donna bianca a coltellate. È morta.” L’annuncio doveva essere preso in considerazione: “Dove stai? Ti vuoi costituire?” Solo pochi attimi di silenzio, poi lo sconosciuto parlò: “Non l’ho uccisa adesso. Stava a casa sua, all’Eur.” La voce dello sconosciuto era calma, fredda, senza venature d’ironia. “Adesso che vuoi fare?” domandò Magrini. “Volevo dirtelo, era quella piccola, magra, con il bikini bianco, commissario.” Lo sconosciuto interruppe la comunicazione. Magrini attese alcuni attimi, poi chiuse subito anche lui, magari l’altro richiamava. Posò il portatile sul tavolo e aspettò ancora, mentre rifletteva, ma l’apparecchio non squillò più. Chi era quello sconosciuto, che parlava con tono familiare? L’assassino di una donna bianca, confidava il suo delitto, si corresse, riferiva di un delitto, dichiarandosi responsabile. Era indeciso, cercava di memorizzare quello che l’altro aveva detto. Prese il telefono e andò all’angolo studio del salone, dove c’era il tavolinetto con il computer fisso. Si sedette, l’accese e attese l’immagine del desktop, quindi digitò la password d’accesso.
Una donna bianca uccisa a coltellate, a casa sua, all’Eur, piccola, magra, con il bikini bianco. Doveva comporre una relazione di servizio, riferendo queste notizie. Si accorse che nel colloquio c’era incongruenza. Mancava un passaggio nella descrizione del fatto, quello tra l’accoltellamento in casa e il bikini bianco, un abbigliamento da mare. L’incongruenza l’aveva meglio colta, mentre lo sconosciuto parlava, o meglio l’aveva registrata oscuramente e ora gli veniva in chiaro: il tizio presumeva che lui, Magrini, il commissario, avesse conosciuto quella donna bianca. Ma che cosa ha di particolare una donna bianca a Roma? Una vichinga con i capelli biondi? No, era piccola e magra. Sul video si era aperto il programma word della video scrittura, subito Magrini scrisse i passaggi della telefonata, che aveva memorizzato.

Silvio Minieri ha detto...

Guardava lo schermo e la lampada accanto spenta, c’era la luce del sole nella stanza, poi d’un tratto vide la scena: una donna in bikini bianco che giaceva supina in acqua, le braccia e le gambe allargate a croce, come di chi cade o si abbandona. Uno spot pubblicitario, un film? Dove aveva visto questo film? Non era la scena di un film, era una scena immaginata, creata dalla sua fantasia. Rivide la scena: quella donna piccola e magra in bikini bianco l’aveva conosciuta o vista da qualche parte, lo sconosciuto informatore, il sedicente assassino aveva ragione: “Volevo dirtelo, era quella piccola, magra, con il bikini bianco, commissario.” Stava scivolando nel fantastico?
Si riprese e scrisse la sua relazione, quindi la rilesse, correggendo le parole per meglio adattare i particolari a quanto ricordava del colloquio, poi la salvò in memoria. Stava per spedirla subito, poi ci ripensò e la tenne in standby. La televisione era accesa, il volume basso, cambiò canale, per cercare il Tour de France, poi si ricordò che sarebbe partito all’indomani, tempo di pandemia. Spense il televisore e fissò lo schermo grigio. “Sono l’assassino di una donna bianca.” L’espressione evocava uno sfondo razziale, poteva essere attribuita a un uomo di colore italiano, eppure il tono della voce non aveva tradito nessuna enfasi, era più che altro quello di chi fa un’ammissione. Una confessione? Oppure una rivendicazione? C’era qualcosa di non attendibile. Quindi ebbe come una strana percezione, quella di stare inseguendo un pensiero, un ricordo di qualcosa che gli sfuggiva. Aveva la mente troppo occupata dalla telefonata, rifletteva troppo, meglio pensare ad altro, ma non riusciva a distrarsi.
Sono i pensieri di fondo che spingono su quelli poi affioranti in superficie, ecco l’espediente dell’associazione di idee, per far riemergere ricordi. Sul tavolinetto davanti al divano c’era una rivista di enigmistica, il segno di passaggio nella sua casa di Giuseppina Lapenna. Magrini s’illuminò: Josephine! Vide il cruciverba lasciato incompiuto dalla ragazza, lo prese: “AB-U-“ cinque lettere orizzontale. Cercò l’incrocio per l’ultima casella, risolse la definizione della parola verticale, risultava: “AB-UL”. Era “ABDUL”, nome che rimanda all’arabo. E se si trattava di un maghrebino romano? Guardò l’orologio: le quattro, telefonò al suo Commissariato. “È arrivato Zanetti?” Non ancora, forse tra poco. “Fammi chiamare, appena viene.”
Il telefonino squillò alle quattro e un quarto circa: “Sono l’ispettore Zanetti, mi cercava?” La voce era sorridente, quella di una amico. “Ah, Vincenzo, tra un po' ti spedisco una relazione di servizio sull’email dell’ufficio. Stampala, apri un fascicolo, e poi chiamami.” Il giovane ispettore domandò di che cosa si trattasse. “Una telefonata anonima su un omicidio, poi ne parliamo” rispose il commissario.
Adesso, più sollevato, andò a rileggersi la relazione con calma, considerò la frase: “piccola, magra, con il bikini bianco”. Era una descrizione precisa, anche se generica e incompleta, mancava l’età, il colore dei capelli. Infine si decise, stampò il foglio, firmò in calce, scannerizzò la relazione firmata e la salvò sul desktop. Quindi la inviò come allegato all’email del suo ufficio.

Silvio Minieri ha detto...

2. Il salto con l’asta
Si erano accesi i riflettori con le luci bianche al neon, che illuminavano il campo sportivo delle Tre Fontane all’Eur. Attraverso la rete, Magrini guardava l’amico Bernardi che si esercitava al salto con l’asta, era un po' distante. Entrò e si portò a bordo pista, era in tuta e scarpe ginniche, un abbigliamento consono. Bernardi lo vide e lo salutò con un cenno della mano, poi si concentrò, restò fermo diversi istanti, allungandosi in avanti e dietro, quindi prese la rincorsa, arrivò sotti i ritti, imbucò l’asta e saltò. Mentre valicava, colpì con le gambe la barra, che oscillò e poi cadde con lui sul saccone, dove Bernardi rimase disteso supino qualche attimo, prima di rialzarsi. Poco dopo, andò verso Magrini sorridente, asciugandosi il sudore sulla spalla e il collo con un panno bianco. Non smise di ridere, mentre diceva: “Mino, sto provando i quattro metri, adesso faccio l’ultimo salto.” “Certo, Franco, hai il favore degli dèi, non stasera forse.” Franco guardò il cielo serale, guardò l’amico, scosse la testa, finì di asciugarsi con il panno, e ritornò in campo verso la pedana. Dopo un po' era pronto, concentrazione, respiro, partenza, corsa, spiccò il salto e oplà! Le gambe avevano sfiorato oppure toccato la barra, che vibrò, oscillò, infine cadde, dopo la caduta del saltatore. Franco si rialzò a sedere sul saccone, fece un gesto sconsolato all’amico a bordo campo, quindi ricadde supino, sconfitto.
Quando uscirono insieme dallo stadio delle Tre Fontane, andando verso le loro automobili, Mino tentò di incoraggiarlo, ma Franco Bernardi cambiò discorso: “No, Massimino, adesso pensiamo alla serata, ho invitato due amiche.” Magrini sospirò: “Mi dispiace, ma non posso, ti avevo detto che martedì mattina devo partire.” Franco Bernardi era appoggiato con i gomiti allo sportello aperto della sua automobile. “Stanno arrivando, aspetta, che te le presento, dobbiamo festeggiare l’addio al celibato.” Magrini lo aveva messo al corrente del suo progetto: un viaggio in crociera, tre settimane, Atlantico, Usa, Messico, matrimonio ad Acapulco, rientro in aereo. Erano arrivate due ragazze in motocicletta, si fermarono, si tolsero i caschi: “Allora, dove andiamo?” Franco si voltò verso Magrini: “Dai, Mino, andiamo!” Magrini andò verso le ragazze e si presentò: “Sono Massimo” allargò le braccia, “incontrarsi e dirsi addio, no, arrivederci.” Le ragazze non risposero, intervenne Bernardi: “Mariagrazia e Silvia” disse, indicando prima l’una e poi l’altra. “È un peccato, non posso, un peccato mortale.” Le ragazze scesero dalla moto, Bernardi le prese sotto braccio: “Mi lasci solo, con queste due bellezze.” Magrini scosse la testa: “Ciao” disse rivolto al terzetto: “Sono un peccatore”, sorrise, voltò le spalle e si avviò verso il parcheggio, dov’era la sua automobile. “Peccatore!” sentì il richiamo di una delle due, era stata Silvia. Si fermò e si voltò e le inviò un bacio a distanza, poi anche all’amico e all’altra, salutò con la mano. “Ciao, commissario,” disse Silvia. Magrini era salito in macchina, anche il terzetto, si salutarono dal finestrino, poi le due automobili si allontanarono nella stessa direzione, lui stava dietro, poi girò a sinistra, loro tirarono dritto.

Silvio Minieri ha detto...

Prima di conoscere Josephine, alias Giuseppina Lapenna da Napoli, Magrini non aveva mai commesso peccato di omissione, solo qualche volta non gli era riuscito, per via dei suoi impegni di servizio come commissario di polizia. Ma quelle piccole avventure erano state brevi fiammate. Josephine era l’amore della sua vita. Bisognava sperimentarlo giorno per giorno, dopo la fedeltà di un anno e mezzo di fidanzamento. E se non gli davano la licenza di matrimonio? Il timore nasceva da quella telefonata dell’assassino di una donna bianca. Perché proprio a lui?”
Nel pomeriggio, prima di andare a salutare l’amico Franco Bernardi, era passato dal commissariato, dove aveva a lungo dibattuto il problema con Vincenzo. “Devi conoscere anche i miei ricordi,” disse. “Ma te li devi ricordare, Massimo.” Alla fine rivide una scena, ma non stava forse costituendosi un falso ricordo? Nella piscina dell’Eur, una ragazza, magra, piccola, con un bikini bianco, era salita dalla scaletta e si era portata sul bordo, dove aveva raccolto il lenzuolo per asciugarsi. Perché l’aveva osservata? Poco prima, dall’altro lato, nell’acqua, un bambino riccioluto dalla pelle nera aveva tentato di seguirla, chiamandola più volte, ma lei non si era fermata ed era uscita. Il neretto allora aveva cominciato a piangere, qualcuno, più d’uno, doveva aver osservato come lui la scena, o forse meglio di lui, perché aveva sentito sussurrare: “La mamma non lo vuole.” Altri due ragazzi più grandi, anche loro neri di pelle, nuotavano vicino, senza dire nulla. Ecco, se non fosse stato per il colore della pelle, bianco quello della madre, nero quello dei tre figli, nessuno si sarebbe meravigliato, il bambino più piccolo faceva i capricci, la madre si era stancata e voleva stare un po' in pace. Notò un suo vicino, che aveva osservato la scena, e gli aveva fatto un ghigno d’intesa. Quello che ora ricordava era un ghigno senza volto.
Passando in rassegna la cronaca degli ultimi tempi, Zanetti gli aveva segnalato il caso dell’omicidio di una madre di famiglia bianca sposata con un africano di razza nera e con tre figli, assassinata a coltellate nella sua abitazione del Torrino, che si può considerare Eur. Era indubbiamente lei, la vittima, a cui si riferiva l’autore della telefonata anonima. E Magrini allora aveva ricostruito quel suo ricordo della vittima, anche se guardando l’immagine al computer quel volto non gli diceva niente, c’erano immagini confuse della stanza con la donna uccisa, non molto distinguibile.
Chi aveva dato il suo numero di telefono di casa allo sconosciuto? Dal suo ufficio, ne aveva dato sempre ampia disponibilità a tutti, niente da tenere riservato. Infatti, aveva ricevuto quella segnalazione. Chi era l’anonimo? Di sicuro il tizio della piscina. Bastava consultare i tabulati per risalire a chi e da dove aveva telefonato? Di sicuro zona Eur e sicuramente un telefonino con scheda anonima. Bisognava accertare, ma lui doveva andare a sposarsi in Messico. L’autorizzazione alla licenza gli arrivò quella sera stessa a casa, per telefono dal suo ufficio. Chiuse la comunicazione, aveva tutto il tempo l’indomani di completare i preparativi del viaggio, e arrivare quindi martedì mattina al porto di Napoli, molo Beverelli, l’inizio della prossima vita coniugale con Josephine. L’inchiesta l’avrebbe condotta un altro collega, con la collaborazione del sostituto commissario Zanetti.

Silvio Minieri ha detto...

LA FICTION
Fu il commissario Ilde Carboni a ereditare l’inchiesta di Magrini e a risolvere il caso dell’assassino della donna bianca, anche se limitatamente ai suoi risvolti di polizia investigativa. In verità, il caso aveva già avuto due esiti, poi rivelatisi infondati, nel senso che i due indiziati furono poi subito scagionati. La telefonata anonima ricevuta dal commissario partito in viaggio di nozze si riferiva al caso di cronaca di un mese e mezzo prima, di cui si erano occupati altri investigatori, quello dell’uccisione di Teresa Morzillo sposata con l’imprenditore senegalese Idris Mbacke e madre di tre figli. In un primo tempo era stato sospettato il marito, delitto di gelosia, perché la moglie aveva un amante, Gaetano Rizzi, un giovane play-boy romano, con cui s’incontrava in un pied-à-terre del quartiere Monteverde. Alcuni inquilini e il portiere dello stabile avevano testimoniato di aver visto alcune volte un uomo di colore aggirarsi lì intorno e la circostanza era stata ammessa dal Mbacke, che avendo scoperto il tradimento della moglie, si stava separando. Tra l’altro, lamentandosi della disumanità della vita in Europa, aveva dichiarato di voler tornarsene in Africa con i figli, a fine inchiesta. Era comunque riuscito a dimostrare di essere estraneo al delitto, perché nel giorno e nelle ore presumibili del delitto, si trovava al consolato. Il giovane romano fermato aveva ammesso la sua relazione con Teresa Morzillo, ma anche lui aveva esibito un alibi, quel giorno si trovava in vacanza sulle Dolomiti. L’inchiesta era rimasta inconclusa, ma ora era sopravvenuto questo nuovo elemento. Bisognava prima accertare l’identità dell’anonimo autore della telefonata di rivendicazione del delitto e poi verificare se fosse falsa o meno. Queste erano le incombenze a cui doveva adempiere la nuova titolare dell’inchiesta, che come primo atto si installò nell’ufficio di Magrini assente, avvalendosi della stretta collaborazione di Vincenzo Zanetti.
Sentendo la storia della piscina, la Morzillo volle subito compiere un sopralluogo, e in forma anonima, lei e Zanetti, si recarono sul posto. Erano seduti in disparte sulla piccola gradinata sovrastante la piscina, osservandosi intorno. “Siamo come in una fiction, una recita da copione” disse Zanetti, come a indicare la loro finta situazione di una coppia in un momento di relax. “O è straordinario o è la pausa pranzo, fuori servizio, dipenderà dal risultato” disse con tono professionale il commissario Ilde Carboni. “È straordinario” replicò lui. “Mica tanto” commentò lei.
Zanetti continuava a osservare i frequentatori, la maggior parte donne con bambini, molti ragazzi, qualche coppia come loro, alcune uomini e donne, soli o in compagnia. Che cosa voleva dire “Mica tanto”? Il commissario l’aveva guardato, lui aveva soltanto una leggera pancetta, e poi lei? Normale, forse un po' magra, voleva tenersi in forma, non ostante i quaranta o più. Volle precisare: “Dicevo che recitavamo un copione, non perché credo che stiamo girando un film.” Lei lo guardò in silenzio. “Ma seguiamo le norme della legge.” Il commissario volle far valere il suo grado: “La legge è quello che dico io. Sei d’accordo?” Quindi femminilmente distese il corpo. “D’accordissimo.” Lei era contenta, per l’espressione allegra del giovane: “Andiamo a farci una nuotata.” “È d’obbligo” disse lui. Così apparivano (o erano) più naturali, non finti.

Silvio Minieri ha detto...

Quando lasciarono l’impianto sportivo, rimasero d’accordo che Zanetti sarebbe tornato nei pomeriggi successivi, per notare qualche frequentatore solitario, come uno di quelli che si erano segnalati tra loro. Rientrarono nel loro ufficio. Abdul, Magrini aveva nominato Abdul, poteva anche essere un arabo. “Potrebbe essere un uomo di colore” disse Zanetti. “Di colore bianco” sentenziò il commissario Esposito, con tono autoritario. Era lui il responsabile dell’attività di polizia della zona, anche se non conduceva le indagini che delegava volta per volta agli altri commissari del Distretto.
La mattina dopo, Ilde Carboni si presentò in ufficio tutta truccata e vestita con cura, pronta ad ascoltare e ricevere le altre segnalazioni sul caso, che alcuni dei suoi nuovi collaboratori le presentavano. L’ispettore Zanetti era impegnato nel pomeriggio, la informarono, lei assentì, e cominciò a leggersi tutte le carte.
Dopo alcuni giorni, l’ispettore si rifece vivo e riferì di due persone che lui riteneva di segnalare. “Due maghrebini?” domando lei. “No, uno giovane, l’altro anziano.” Il pomeriggio dopo, lui sarebbe andato in piscina, se c’erano i due sospettati, le avrebbe telefonato. Ilde Carboni spiegò all’ispettore Zanetti come si sarebbe svolta l’azione. Il copione prevedeva che sarebbe stata presente anche la sua amica Shelley, una modella americana di colore, che però noi fingiamo di non conoscere. Quando passa e inciampa su di noi stesi al sole, litighiamo e lei ti molla un ceffone. “A me!” “E che ti credevi? E non difenderti, mi raccomando.”
Andò proprio in quel modo, con il risultato da lei previsto. Arrivò subito, non appena lui le telefonò, un po' dopo entrò Shelley, che tanto per rimanere nel suo ruolo si fece un intero giro attorno alla vasca, sfilando con il suo costume bianco che spiccava sulla sua pelle nera. Non si può dire che non fosse stata notata dai presenti, anche l’uomo giovane e quello anziano indicati da Zanetti. Un po' dopo, i due, Vincenzo e Ilde, erano distesi a prendere il sole a bordo vasca, quando Shelley passando inciampò su di loro, e lanciò degli improperi. Ilde si alzò e cominciò a redarguirla, il litigio s’infiammò, tra lo sguardo sorpreso e divertito degli altri intorno. Le due donne si accapigliarono, la nera diede uno spintone alla bianca, l’accompagnatore intervenne e ricevette uno schiaffone. Mentre Shelley si allontanava indignata verso l’uscita, lei rimproverò l’uomo di non aver reagito, lui rimase imbambolato (ma non doveva non reagire?), Ilde gli indicò che quella se ne andava, ma in suo favore intervenne un giovane, corse e bloccò la nera, strattonandola forte, mentre lei si agitava. L’arrivo di Ilde e Vincenzo calmò un po' quell’ulteriore diverbio, andiamo tutti alla polizia.

Silvio Minieri ha detto...

HOLZWEGE
Quando comprese di essere caduto in una trappola, Gianni Basile non riuscì a nascondere il suo stupore, non per il tranello, ma per il fatto che i due della polizia non condividessero le sue idee. Dichiarò di essere un informatore anonimo della polizia e non ebbe nessuna remora a proclamarsi un suprematista bianco. Era lui che aveva fatto la telefonata anonima a Magrini, sapendo che era un commissario di polizia. Perché proprio a lui? L’aveva visto in piscina, ed era di zona. E aveva ucciso lui Teresa Morzillo? Sì, l’aveva accoltellata con il suo pugnale malese, e la perquisizione a casa sua permise il sequestro dell’arma. Sembrava tutto troppo semplice. E perché aveva ucciso una donna bianca? Sposando un nero, aveva tradito la sua razza, era ovvio. Ma i conti non tornavano. Perché proprio lei? Quando l’aveva vista in piscina, aveva deciso di passare all’azione, l’aveva seguita, per scoprire dove abitava, e nei giorni seguenti l’aveva spiata, e al momento opportuno l’aveva sorpresa da sola in casa uccidendola. Era necessario verbalizzare la deposizione, fu chiamato il giudice di turno, che giunse al commissariato assieme all’avvocato d’ufficio nominato dal giudice. Il Basile riferì che aveva già detto tutto alla polizia e quindi non rilasciava ulteriori dichiarazioni, in pratica si avvaleva della facoltà di non rispondere. Il giudice non convalidò l’arresto, toccavano alla polizia gli ulteriori accertamenti. Scrivendo con la stilografica si era macchiato d’inchiostro le dita, e quindi chiese di lavarsi le mani. Era un gesto simbolico? No, le piccole macchie d’inchiostro sulle dita erano reali.
Si era fatto tardi, tutti andarono a casa, soltanto il commissario rimase nel suo ufficio, che era quello di Magrini. Non era un delitto dovuto a motivi razziali o un crimine politico, e allora? Ripassò mentalmente le ipotesi del movente, che aveva discusso con Zanetti: “Si uccide per amore, per vendetta o per denaro.” Aveva detto lui. “E basta?” “Relata refero, l’ho sentito dire in televisione in una fiction poliziesca di produzione tedesca.” Il commissario Carboni non aveva risposto. Poteva insistere, Zanetti, dicendo che in quella serie televisiva i commissari di polizia citavano Schiller, Goethe, Brecht? No, e infatti non insistette. A sorpresa, Ilde aveva citato Dante, forse un po' a sproposito: “Amor che a nullo amato amar perdona.”

Silvio Minieri ha detto...

Gelosia, il movente era la gelosia, come dire amore malato, pazzia. Basile aveva ucciso per gelosia, ed era anche bipolare. E la prove? Il giudice era stato categorico, alla polizia toccano gli accertamenti, un invito all’azione. E lei che cosa stava facendo? Pensava. Bisognava agire, prese la pistola la mise nella fondina, spense la luce e scese a piano terra. Al corpo di guardia, il piantone le chiese se voleva essere accompagnata a casa dall’autoradio. Lei disse di no e uscì in strada, salì sulla sua autovettura lì parcheggiata, prese la strada di casa e partì. Ogni tanto guardava nello specchietto retrovisore, dietro comparve una moto, erano in due, i caschi neri, accelerò, la moto restò incollata. Prese la pistola e rallentò, la moto iniziò il sorpasso, lei diede un colpo di freni e si chinò, sentì il rombo della motocicletta, che concluso il sorpasso, si allontanava. Si rialzò e istintivamente accelerò, quasi a voler raggiungere di nuovo il motomezzo, poi guardò nello specchietto retrovisore, era comparsa un’autovettura bianca, ma ormai si era rilassata e riprese un’andatura regolare. Era arrivata quasi sotto casa, diede un’occhiata allo specchietto retrovisore, l’autovettura bianca era ancora là dietro, fece un giro vizioso e ritornò dove stava prima, l’autovettura bianca l’aveva seguita. Si allontanò dalla via di casa, giunse in un viale poco illuminato, accostò e scese con la pistola in pugno. Dall’autovettura bianca scese Gianni Basile, il commissario lo riconobbe, si avvicinò, lei allungò il braccio, tenendolo sotto tiro e gli intimò di fermarsi. Il giovane si fermò, allargò le braccia, rideva: “Vuole spararmi?” “Vattene!” “La stavo scortando fino a casa, io sto dalla parte vostra.” “Vattene subito o sparo!” Il giovane si voltò a metà, le braccia aperte a mezz’aria, guardava di sottecchi. La donna abbassò il braccio, mirando alle gambe, lui finì di voltarsi e ritornò in macchina. Ilde mirò alla autovettura, Basile fece manovra e si allontanò.
La mattina dopo, l’ispettore Zanetti entrò nel suo ufficio: “Buongiorno.” Ilde sembrava distratta: “Ieri sera, Basile l’ha seguita.” Il commissario lo guardò sorpresa. “Mi ha telefonato e mi ha raccontato di averlo fatto, per proteggerla.” Ilde sospirò, non parlava. “Stalking, commissario, vogliamo denunciarlo?” Ilde rimase in silenzio, poi disse: “Vediamo se continua.” Zanetti stava per andar via: “Vincenzo!” Lui si voltò: “Shelley ha accettato il tuo invito a cena.” “Ma io non l’ho invitata!” Ilde sorridente gli tese un foglietto con scritto un numero: “Questo è il suo telefonino.”
Basile non si fece più vedere, la settimana dopo ritornò Magrini, Ilde Carboni lo mise a parte degli ultimi sviluppi dell’indagine, il fascicolo lo teneva l’ispettore, quindi lei se ne tornò al suo ufficio centrale. E ora l’inchiesta? Zanetti disse che forse bisognava seguire nuove piste. “Holzwege” commentò sorridendo Magrini. “Qualcuno mi ha detto che i commissari di polizia tedeschi citano i loro poeti.” Zanetti rise. “Heidegger non era contento della traduzione italiana: “Sentieri interrotti”, disse Magrini, poi aggiunse : “È uscita un’ultima edizione: “Sentieri erranti nella selva”. Ma la traduzione migliore è quella francese: “Chemins qui ne mènent nulle part.” Mino, tu sei un commissario di polizia italiano. Hai ragione: “Mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.”

Silvio Minieri ha detto...

Post scriptum
Avevo pubblicato, ieri, senza rileggerla, la prima parte di questo racconto, scritto una dozzina d’anni fa, perché la ricordavo troppo noiosa, poca azione rispetto ai commenti. Nell’averla letta ora, non ho cambiato parere, soltanto ho scoperto di avere usato allora inconsapevolmente un malriuscito stile manzoniano, anche se don Francesco non è don Abbondio, che legge Carneade. Leggendo però la seconda parte, mi rendo conto che nella trama generale del racconto, quella prima parte era richiesta in tal modo, almeno nei contenuti. Infine, nel precisare che questo “Cause leggiere di precedenza” è il terzo racconto del trittico dei gialli d’estate, annuncio che domani sarà pubblicato “Una donna bianca”, racconto pur esso giallo, ma di recente fattura, finito l’altro giorno. Il prologo l’ho scritto l’estate scorsa, e in questo senso esso è recente rispetto ai gialli dell’estate di qualche anno fa, anche se i gialli d’estate sono un po' tutti simili, in quanto tutti stanno in vacanza fuori città e leggono la cronaca di quello che accade nelle città vuote, appunto i delitti d’estate.
Specifico tutti questi dati, e il lettore sono certo che lo capirà, perché debbo esaurire questa rubrica di giallistica del Blog entro e non oltre il 32 agosto. Perché questa data? Perché, come tutti sappiamo, il 32 agosto è troppo vicino al 10,5 (il 10,5 sta tra il 10 e l’11) settembre, o non è così?

Silvio Minieri ha detto...

CAMBIAMENTO DI REGISTRO
– Blogger, che cos’è questa storia del 32 agosto? – Quale storia? – Quella di cui parli nell’altro post. – Il post scriptum vuoi dire? – Sì, alla fine dell’ultimo racconto: “Cause leggiere di precedenza.” – Credo di essere stato chiaro, che cosa non hai capito? – Tu dici: “Debbo esaurire questa rubrica di giallistica del Blog entro e non oltre il 32 agosto. Perché questa data? Perché, come tutti sappiamo, il 32 agosto è troppo vicino al 10,5 (il 10,5 sta tra il 10 e l’11) settembre, o non è così?” – E allora? – Che significa questo termine perentorio, come fosse un ultimatum? A settembre è ancora estate, o mi sbaglio? – No, non ti sbagli, ma forse hai dimenticato che si riaprono le scuole. – E allora? – Si cambia registro. – Quale registro? – Si passa dalla fiction alla filosofia. – Ah! Eccolo là! – Ehi, asino! – Blogger, non cominciamo a offendere. – Hai iniziato tu. – Mi meravigliavo che la riapertura delle scuole ti avesse indotto al cambiamento di registro. – Ma è richiesto dalle scuole che riaprono! – Quali scuole? – L’Accademia di Platone e il Liceo di Aristotele. – Ah! Adesso comincio a capire. – E quindi? – Io vado al mare. – Io al computer e tu al mare? – Sì, ciao Blogger, ci vediamo.

Silvio Minieri ha detto...

L’ESTATE TARDIVA
Per la data 32 agosto, si può intendere un giorno inesistente o meglio invisibile, quindi esistente e nascondibile, come termine ultimo ideale della stagione estiva, situabile ad libitum tra due giorni di settembre oppure ottobre, in casi di estate tardiva. È stato uno scherzo del destino questo riciclo di date coincidenti con il finire della stagione? Io non l’ho capito. E nemmeno io. Speriamo solo noi due. E gli altri? Chi altri? Non lo so. Tu non sai mai niente. No, sono Socrate, so di non sapere. Beh! Ti offro un amaro. È ghiacciato? No. Allora non lo bevo. Ecco lo spunto per un altro giallo estivo. Ma le giornate si accorciano, imbrunisce prima. Ci vedremo nelle “notti serene”. Quando? Quando, alzando lo sguardo, nel cielo notturno, potrai distinguere le stelle dell’Orsa. Che bello! No, bellissimo! Fa male al cuore. Hai bevuto un filtro magico? Non ancora. Poi spieghiamo. Sì, però dobbiamo prima vivere queste fantasie. D’accordo. Allora, ciao. Ci vediamo, ciao. Eh? Te ne vuoi andare? No, anzi sì. Fine.