MENZOGNA E FINZIONE Commento alla traduzione di alcune frasi di Goethe sull’arte del Palladio e brevi note di filosofia estetica.
La pubblicazione sul Blog di frammenti del “Viaggio in Italia” di Goethe è più che altro un invito alla lettura dell’opera, e inoltre per me, un lavoro di lettura rapida, in questo senso distratta. Questo non toglie che si possa estrapolare qualche osservazione di rilievo, rispetto alle altre, tra le tante del poeta tedesco. Nel post dell’1 febbraio 2025, “Viaggio in Italia”, consultando il paragrafo “Vicenza, 19 settembre”, viene in rilievo la riflessione di Goethe sull’arte del Palladio: “Con quanta abilità non seppe egli superare cotale difficoltà! quanto non impone l’aspetto delle sue opere, e come si dimentica, ch’egli non ebbe altro in mira se non il farvi illusione! Si scorge veramente un non so che di divino nelle sue linee, armoniche quanto i versi di un gran poeta, il quale dalla verità e dalla menzogna sa trarre un terzo elemento affatto nuovo, il quale incanta, rapisce!” (Traduzione di Augusto Nomis di Cossilla, 1875).Questa traduzione non appare soddisfacente. Che cosa significa: “dalla verità e dalla menzogna sa trarre un terzo elemento”? Di quale verità e menzogna dell’arte del Palladio, parla Goethe? Consultiamo il testo originale: “Aber wie er das unter einander gearbeitet hat, wie er durch die Gegenwart seiner Werke imponirt und vergessen macht, dass er nur überredet ! Es ist wirklich etwas Gottliches in seinen Anlagen , vollig wie die Form des grossen Dichters , der aus Wahrheit und Lüge ein drittes bildet, dessen erborgtes Dasein uns bezaubert.” La frase “incriminata” è la seguente: “der aus Wahrheit und Luge ein drittes bildet”. La traduzione letterale è perfetta: “il quale (der) aus (dalla) Wahrheit (verità) und (e) Lüge (menzogna) ein (un) drittes (terzo [elemento]) bildet (forma, sa trarre). Se consultiamo il vocabolario, apprendiamo che “Lüge” significa “menzogna”, “bugia”, quella appunto che si contrappone alla “verità” (Wahrheit). E allora? È chiaro che io non mi sarei mai accorto della rilevata incongruenza, se non avessi letto un’altra traduzione della stessa frase, quella del testo stampato in mio possesso: “Viaggio in Italia” (Italienische Reise), Mondadori 1983, ristampa 2017. «Ma come ha saputo collegare bene i due elementi! come ci s’impone con la realtà delle sue costruzioni e ci fa dimenticare che vuol fare solo opera di persuasione! Vi è davvero alcunché di divino nei suoi progetti, né più né meno della forza del grande poeta, che dalla verità e dalla finzione trae una terza realtà, affascinante nella sua fittizia esistenza.» (Traduzione di Emilio Castellani) Questa traduzione rende conto di quello che vuol dire Goethe, almeno per quello che ho capito io, anche in relazione alla teoria dei tre mondi di Popper, come meglio vedremo: la verità è il mondo della natura, la finzione è il mondo dell’arte, la terza realtà è l’opera d’arte. È ovvio che questa semplificazione va approfondita, ma prima vorrei intrattenermi ancora sulla traduzione, avendone consultate altre due, per chiarire ulteriormente il pensiero espresso da Goethe.
“Eppure, come egli ha saputo abilmente associare le une e gli altri, e come imporsi con la realtà delle sue opere, riuscendo a farci dimenticare che il suo scopo è semplicemente di affascinarci! C'è qualche cosa di veramente divino nei suoi disegni: perfettamente come è la forma per un grande poeta, che dalla verità e dalla finzione plasma una terza cosa, la cui esistenza fittizia ci rapisce.” (Eugenio Zaniboni, 1924) “E pure, come ha saputo combinar per bene l’una cosa con l’altra! Come impone con le opere sue, e come sa farci dimenticare che egli ad altro non mira, che a produrre su di noi un’illusione! C’è veramente qualche cosa di divino nei suoi disegni; e si può dire di questi ciò che si dice della forma di un gran poeta ; questo, dalla verità e dalla finzione, fa scaturire una terza cosa, la cui fittizia esistenza ci seduce e ci incanta.” (Prof. G. Schwarz, 1895) Quest’ultima traduzione merita un discorso a parte, per ora comunque approfondiamo il pensiero di Goethe. Parlando dell’opera d’arte, il Teatro Olimpico di Vicenza del Palladio, egli ammira la mirabile capacità artistica dell’architetto veneto nel conciliare i due elementi dei muri e delle colonne, il primo soltanto edile, il secondo strettamente artistico: “La massima difficoltà con cui quest’uomo, come tutti i moderni architetti, ebbe a lottare, è quella d’una conveniente applicazione degli ordini di colonne nell’architettura civile; perché l’unione dei muri e delle colonne sarà sempre una vera contraddizione.” (Schwarz) In quest’opera complicata di conciliazione architettonica, Goethe riconosce lo stile poetico, che ispira l’opera del Palladio: l’atto creativo, “qualche cosa di divino nei suoi disegni”, che dalla “verità” (mondo reale) alla “finzione” (mondo fittizio dell’arte), trae “la terza cosa”, l’opera d’arte, ovvero il Teatro Olimpico, che si rivela davanti agli occhi incantati dell’ammiratore: “la cui fittizia esistenza ci seduce e ci incanta”. Nella creazione artistica figurativa, ma anche letteraria, il circolo (mimetico) è quello della presenza di una realtà osservata, che attraverso l’attività dell’artista (poiesis), viene generata come opera d’arte. È lo svolgersi dell’azione del Demiurgo, che guardando alle eterne Idee (per Platone, la vera realtà) plasma l’Universo. La visione del Palladio è quella delle opere dell’antichità classica, in particolare la costruzione dei templi dell’epoca greca, ellenistica e romana. Ma come avevamo premesso, vorremmo ora occuparci più dettagliatamente della traduzione del brano originale del testo goethiano, servendoci dell’opera del prof. G. Schwarz, non tanto – o forse, meglio, non solo – per semplice pedanteria o sfoggio di erudizione, ma per poter poi cogliere le conclusioni sulla differenza tra menzogna e finzione, il nostro tema, che nella sua enunciazione finale esaurisce e rinvia il vero inizio di una trattazione specifica di questo argomento, relativo alla filosofia dell’arte. Riproduciamo le diciture della copertina dell’opera: “W. Goethe – Viaggio in Italia – (Italienische Reise) – Testo tedesco e traduzione italiana interlineare – illustrata ed annotata dal – Prof. G. Schwarz del Regio Istituto Tecnico di Ancona – Genova – A. Donath Editore – 1895” [L’opera è consultabile on-line]
Nella Premessa indirizzata agli studiosi, l’autore espone i motivi che l’hanno indotto a comporre la sua opera. Come insegnante della lingua tedesca, consapevole delle difficoltà dell’idioma tedesco per gli Italiani, ha scelto l’opera di Goethe, Italienische Reise, un testo pur del secolo precedente (1786-88), che “tuttavia offre dei pregi incontestabili, sia per la grande varietà del contenuto, sia per la ricchezza della sua lingua. In essa gli studiosi potranno anche imparare come si narri e si descriva, e come si deve procedere nel fare osservazioni e nel giudicare delle persone e delle cose; ed avranno altresì occasioni di lontano confrontarsi tra gl'Italiani del secolo passato e quelli d'oggi.” Quindi passa a descrivere il suo metodo di lavoro: “Il sistema da me scelto è l'interlineare, benché sino ad ora poco usato in Italia, fatta eccezione per i classici greci e latini. Le prime 64 pagine del testo sono accompagnate, parola per parola, da una traduzione interlineare, nella quale ho badato meno a rendere il senso, attenendomi scrupolosamente alla traduzione d'ogni parola. Le 60 pagine seguenti sono accompagnate ognuna da note e spiegazioni, che, numerose in principio, vanno man mano diminuendo, e ciò per esercizio dello studioso. Nelle ultime 28 pagine il testo fu lasciato tal quale. Alla fine del volume ho aggiunto una traduzione libera di tutto il testo, in modo da rendere il senso dell'autore, e spiegare chiaramente certe frasi che con la necessità della traduzione letterale erano riuscite in parte oscure.” Quindi conclude: “Ho creduto anche utile far seguire l'opera da una tabella cronologica, dove si espongono in riassunto i dati principali sulla vita e sulle opere dell'autore. Così facendo ho creduto riuscire nel mio intento. Al lettore il giudizio. Qualora fosse così, sarà per me incoraggiamento vivissimo a proseguire nella via intrapresa, pubblicando con lo stesso metodo altre opere di autori classici tedeschi.” Abbiamo voluto trascrivere quasi per intero la presentazione della sua opera di traduzione da parte dell’autore, per mostrare come difficilmente ogni minimo particolare del testo tedesco e della sua traduzione italiana sia potuto sfuggire ad una così attenta e scrupolosa trattazione. E quindi, per il nostro intento, l’opera del prof. G. Schwarz, si è rivelato come uno strumento abbastanza prezioso ed anche una riscoperta del lavoro certosino, che ogni traduzione da una lingua all’altra comporta. Ritornando sul passo, che abbiamo sottoposto al nostro esame, occupiamoci di altri due vocaboli della lingua tedesca – überredet, bezaubert – che in esso compaiono e della loro traduzione. E quindi, riprendiamo il testo originale in tedesco, come ce lo presenta Schwarz, tenendo presente che la sua opera di traduzione si limita ai primi quattro capitoli del diario di viaggio di Goethe, avendo il suo lavoro un carattere principalmente didascalico, per la conoscenza della lingua tedesca, come abbiamo appreso dalla sua presentazione. E dobbiamo rilevare che proprio questo carattere didascalico è quello strumento che meglio si addice al nostro scopo.
Ora, abbiamo visto, che le prime 64 pagine del testo sono accompagnate, parola per parola, dalla traduzione interlineare, mentre nelle 60 pagine seguenti, quelle in cui si trova il passo sottoposto al nostro esame, gran parte delle parole sono invece accompagnate ognuna da note e spiegazioni. Ho messo quindi in atto la traduzione interlineare, che riporto qui di seguito, facendo seguire ogni vocabolo tedesco da quello italiano tra parentesi. Aber (Ma) wie (come) er (egli) das (questo) unter (tra) einander (l’un l’altro) Gearbeitet (combinato) hat (ha), wie (come) er (egli) durch (mediante) die (la) Gegenwart (presenza) seiner (delle sue) Werke (opere) imponirt (impressiona) und (e) vergessen (dimenticare) macht (fa), dass (che) er (egli) nur (solo) überredet! (convince!) Es (Esso) ist (è) wirklich (veramante) etwas (qualcosa) Gottliches (di divino) in (in) seinen (suoi) Anlagen (disegni), völlig (affatto) wie (come) die (la) Form (forma) des (del) grossen (grande) Dichters (poeta) der (che) aus (da) Wahrheit (verità) und (e) Lüge (menzogna) ein (un) drittes (terzo) bildet (forma), dessen (la cui) erborgtes (fittizia) Dasein (esistenza) uns (ci) bezaubert (incanta). E adesso possiamo proporre la nostra traduzione, rinviando a dopo le osservazioni. “Ma come ha ben combinato l’un e l’altro elemento tra loro, come con la realizzazione delle sue opere impressiona e fa dimenticare, che tende soltanto a persuaderci! C’è davvero qualcosa di divino nei suoi disegni, la vera arte del grande poeta, il quale dalla verità e la finzione genera un terzo elemento, la cui fittizia esistenza ci affascina.” Ho compiuto una traduzione un po' troppo letterale, forse per compensare quella del professor Schwarz, che giudichiamo un po' troppo creativa, come ad esempio quando traduce con due verbi italiani, “rapire” ed “incantare”, il verbo tedesco “bezaubern”, nel testo la voce è alla terza persona dell’indicativo presente: “bezaubert”. E in verità, la sua traduzione è migliore, secondo quel certo canone, che indica come forma migliore di traduzione quella che meglio risponde allo stile della lingua in cui il testo originale viene tradotto. In tal senso la traduzione letterale, seppure più fedele alla forma lessicale della lingua da cui si traduce, non è conveniente con l’altra. Ora, però, vorrei soffermarmi su alcuni vocaboli, a cominciare dai due segnalati, che meglio rendono il pensiero di Goethe, la sua teoria estetica, peraltro espressa in quei suoi termini poetici, a loro volta pieni di meraviglia e di fascino, come l’arte del Palladio oggetto della sua ammirazione.
La voce überredert è la terza persona singolare, indicativo presente, di überredern, che significa persuadere, convincere. Ecco, la persuasione è lo scopo principale dell’arte retorica, e in tal senso la retorica si può definire l’arte della persuasione. Nel suo trattato, Aristotele sostiene che l’oggetto della retorica non è la verità (aletheia), ma il verosimile (eikos) ovvero l’immagine della realtà, quello che viene figurato. La tesi aristotelica riguarda il discorso, l’oratoria, dove il retore propone l’alternativa più valida nella maggior parte dei casi, rispetto all’ammissibilità di una realtà differente dalla tesi sostenuta. (“Retorica” 1357b) Il nostro riferimento ad Aristotele, per quanto possa apparire improprio, serviva a mettere in luce il concetto di figurazione della realtà, quella raffigurazione del reale appunto che tende a creare l’illusione del vero. Noi, all’inizio del nostro discorso, presentando la traduzione di Augusto Nomis di Cossilla (1875), l’avevamo giudicata non soddisfacente, in verità avevamo detto “non appare soddisfacente”, in quanto avevamo estrapolato dal contesto i due termini “verità” e “menzogna”, trovando incongruente questa coppia dei contrari. Una tale opposizione, invece, appare congruente con la linearità della traduzione, che mette appunto in relazione l’illusione con la verità e la menzogna: “Con quanta abilità non seppe egli superare cotale difficoltà! quanto non impone l’aspetto delle sue opere, e come si dimentica, ch’egli non ebbe altro in mira se non il farvi “illusione”! Si scorge veramente un non so che di divino nelle sue linee, armoniche quanto i versi di un gran poeta, il quale dalla “verità” e dalla “menzogna” sa trarre un terzo elemento affatto nuovo, il quale incanta, rapisce!” Anche Schwarz traduce überredert con “illusione”: “produrre su di noi un’illusione”, guardando più all’effetto che alla causa, anche se, come vedremo, accennando a Popper, lo scarto fra questi due poli si può ridurre fino all’unificazione. È come dire che l’intenzione persuasiva, quale elemento interiore dell’artista, viene a coincidere con l’aspetto esteriore, l’effetto illusorio prodotto. E ora possiamo esaminare l’altro verbo, oggetto della nostra attenzione: bezaubern. Stando ai vocabolari, bezaubern significa: affascinare, sedurre, incantare. Intanto, precisiamo, che non è casuale che uno degli autori (anche il traduttore è in un certo senso autore, autore del testo originato dalla sua traduzione) abbia tradotto con il concetto di fascino il verbo überredert : “scopo… di affascinarci”. (Zaniboni, 1924) E possiamo dire che soltanto una versione ha reso la fedeltà del significato di questo verbo: “fare … opera di persuasione” (Castellani, 1983)
Ora, questo nostro continuo gioco dei confronti tra le diverse traduzioni dello stesso termine ha finito per rivelarci un accostamento di significato tra i due verbi usati da Goethe, dove il persuadere (überredern) si fonde con l’affascinare (bezaubern). E ancora una volta dobbiamo cogliere la fusione tra il mondo interiore dell’artista, l’intenzione persuasiva, e quello esteriore del prodotto artistico, il fascino e incanto. Cogliamo quindi l’occasione per poter infine presentare in linee schematiche la teoria di Karl Popper ( 1902-1994). Secondo il filosofo viennese, esistono “tre” mondi: il mondo “uno”, quello esteriore, costituito dalle entità fisiche, il mondo della natura e delle cose; il mondo “due”, quello interiore dell’esperienza soggettiva, rientrante nella sfera dei pensieri e dei sentimenti; infine, il mondo “tre”, risultante dal mondo “due”, contenente i prodotti dello spirito, oggettivi e invariabili. E qui, Popper fa l’esempio di un libro, che come ente materiale, fa parte del modo “uno”, e come prodotto di un’attività dello spirito, il mondo “due”, risulta esistente nel mondo “tre”. Il libro, dice Popper, è il medium linguistico per la comunicazione di idee e pensieri, che può essere tradotto nelle altre diverse lingue, L’elemento “invariabile”, che non varia nella traduzione tra una lingua e l’altra, è quello costituito dal mondo “tre”. Nel commento di Goethe, “ein drittes”, “un terzo”, elemento o cosa, indica appunto quel prodotto dello spirito, che per Popper appartiene al mondo “uno”, come entità fisica, e al mondo “tre” come risultato del mondo “due”, l’attività creativa dell’artista. Ora, lasciando da parte le diverse implicazioni di carattere filosofico, che questa teoria comporta, sul problema ontologico dell’esistenza dei tre mondi e della possibilità di interazione tra essi, continuiamo l’esame terminologico, al fine di cogliere quegli aspetti di carattere estetico presenti nella riflessione di Goethe. “Gegenwart” significa “presenza”, ed è stato reso nelle varie traduzioni con aspetto e realtà, Schwarz ne omette la traduzione. Io avevo pensato, influenzato dal pensiero di Heidegger, alla presenza come l’essere presente dell’ente, l’essere dell’ente, la cui presenza implica il suo venire alla luce, e quindi l’attività che realizza l’effetto. In tal senso, avevo pensato di tradurre Gegenwart con ”realizzazione”, evidenziando più l’aspetto del mondo “due”, l’attività creativa di progettazione, rispetto al risultato, mondo “tre”, della messa in atto dell’opera. Dico questo, per voler meglio cogliere certe sfumature del linguaggio poetico di Goethe. Infatti, se mettiamo in relazione Gegenwart con il resto della frase, possiamo accorgerci come con la “presenza” delle sue opere, egli (l’artista) vuol far dimenticare, come dire nascondere la realtà sensibile del materiale architettonico, muri e colonne, sotto il velo illusorio dell’arte, e quindi persuaderci della verità dell’opera, la realtà artistica. Queste esclamazioni di meraviglia suscitate dalla contemplazione dal vero dell’opera d’arte sono il registro di vere emozioni avvertite nella sua anima dal poeta tedesco. Infatti, tali sentimenti vanno collegati alle sue aspettative e al suo desiderio del viaggio in Italia, dovute al racconto di una tale esperienza realizzata dal padre.
Johan Caspar Goethe, padre del poeta, grande ammiratore dell’Italia e della lingua italiana, compì un viaggio in Italia nel 1740, il cui resoconto fu tradotto in italiano con il titolo “Viaggio per l’Italia” (1932), J.C. Goethe riportò dal viaggio quelle incisioni di vedute di Roma, che Wolfang vide fin da bambino appese alle pareti della casa natale di Francoforte. Si può capire come per il bambino, l’Italia fu sempre una terra sognata e desiderata, e come e ne rimase affascinato ed emozionato, quando da grande riuscì a realizzare quel suo desiderio. Un tale entusiasmo lo invase emotivamente, quando registrò sul suo diario le prime impressioni del suo arrivo a Venezia: “Sul libro del destino era dunque scritto alla mia pagina che il 28 settembre 1786, alle cinque di sera, secondo la nostra ora, entrando dal Brenta nella laguna, avrei visto per la prima volta Venezia, e subito dopo avrei toccato e visitato questa meravigliosa città insulare.” Quello che emoziona Goethe è la visione della realtà, la verità del reale, in confronto alla verità illusoria del desiderio e del sogno, un vuoto di immagini, un nulla: “Dunque, grazie a Dio, Venezia per me non è più una semplice parola, non è più un puro nome che così spesso ha angosciato me, che son tanto nemico di vuoti suoni.” Se le parole devono suscitare immagini specchio della realtà, se di questa realtà non si è avuta visione, allora le parole che la descrivono rispecchiano il vuoto nulla. Solo in questo senso alla Wahrheit, verità del reale, realtà del vero, si oppone la Lüge, la menzogna, assenza del vero. Ora, il verbo mentire, da cui menzogna, riprende il latino mentiri, alla cui radice troviamo mens, “mente”, quindi “mentire” è “inventare con la mente”, con il significato analogo di fingere, dal latino fingĕre, che significa costruire, creare, fabbricare (anche in senso figurato), foggiare, modellare, rappresentare, tracciare, raffigurare, delineare, ma anche fingere, simulare, contraffare, falsificare. In quest’ultimo senso, il relativo sostantivo di fingere, “finzione”, è sinonimo di falsità, menzogna, inganno, ma in termini positivi, si riferisce anche all’attività creativa del costruire, formare, strutturare, e anche immaginare, ideare, inventare.
Quindi, se come contrario del vero, la menzogna è la sua negazione e sostituzione con una falsa realtà, data per verità, la finzione, oltre a questo senso negativo, ha anche quello positivo di inventivo, costruttivo, creativo. Ora, se un parallelo tra menzogna e finzione appare chiaro in chiave discorsiva, dove il mentire e il fingere, come simulazione del vero, hanno lo stesso significato, diversamente appare nel campo delle arti sia letterarie che raffigurative, dove la finzione è scontata come menzogna, diremo per definizione. In tal senso tradurre letteralmente Lüge con menzogna, significa voler dare a questo termine il significato di finzione, proprio secondo l’arte della retorica – si intende la finzione come scoperta menzogna. In letteratura, ad esempio, il titolo del libro di Elsa Morante, “Menzogna e sortilegio”, esprime in maniera aperta lo scontro tra il vero della realtà della vita e la menzogna del mondo immaginario e illusorio dei personaggi, un sortilegio. Restando nel campo dell’attività artistica, come attività creativa, possiamo quindi intendere il senso del divino attribuito alle creazioni del Palladio: etwas Gottliches. E la sua arte (Form) viene definita in tutto (vollig) come quella di un grande poeta (des grossen Dichters), che dalla verità e dalla sua imitazione crea l’elemento nuovo, la cui esistenza fittizia ci seduce ed incanta. Restiamo affascinati dalla visione dell’opera d’arte, pur avvertendo il carattere illusorio del suo essere presente al nostro sguardo. Esaurito il tema da noi proposto, la traduzione di alcuni termini di una riflessione estetica di Goethe sull’architettura del Palladio, dovremmo continuare sulla traccia del pensiero della relazione tra verità ed opera d’arte, ma come avevamo detto, ci fermiamo, concludendo proprio all’inizio di una discussione sulla filosofia dell’arte.
‘Kde domov muj’? ‘Dov’è la mia patria?’ Non è un inno di guerra, non auspica la rovina di nessuno, canta senza retorica il paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, le pianure e le betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i piccoli ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra, è stato bello difendere questa terra, bello amare la nostra patria (Milena Jesenskà)
Copenaghen
Bruxelles Louiza
“Dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una prodigiosa marionetta realizzata dalla divinità, per gioco o per uno scopo serio, questo non lo sappiamo." (Platone, Leggi, 1, 644e)
8 commenti:
MENZOGNA E FINZIONE
Commento alla traduzione di alcune frasi di Goethe sull’arte del Palladio e brevi note di filosofia estetica.
La pubblicazione sul Blog di frammenti del “Viaggio in Italia” di Goethe è più che altro un invito alla lettura dell’opera, e inoltre per me, un lavoro di lettura rapida, in questo senso distratta. Questo non toglie che si possa estrapolare qualche osservazione di rilievo, rispetto alle altre, tra le tante del poeta tedesco. Nel post dell’1 febbraio 2025, “Viaggio in Italia”, consultando il paragrafo “Vicenza, 19 settembre”, viene in rilievo la riflessione di Goethe sull’arte del Palladio: “Con quanta abilità non seppe egli superare cotale difficoltà! quanto non impone l’aspetto delle sue opere, e come si dimentica, ch’egli non ebbe altro in mira se non il farvi illusione! Si scorge veramente un non so che di divino nelle sue linee, armoniche quanto i versi di un gran poeta, il quale dalla verità e dalla menzogna sa trarre un terzo elemento affatto nuovo, il quale incanta, rapisce!” (Traduzione di Augusto Nomis di Cossilla, 1875).Questa traduzione non appare soddisfacente. Che cosa significa: “dalla verità e dalla menzogna sa trarre un terzo elemento”? Di quale verità e menzogna dell’arte del Palladio, parla Goethe?
Consultiamo il testo originale: “Aber wie er das unter einander gearbeitet hat, wie er durch die Gegenwart seiner Werke imponirt und vergessen macht, dass er nur überredet ! Es ist wirklich etwas Gottliches in seinen Anlagen , vollig wie die Form des grossen Dichters , der aus Wahrheit und Lüge ein drittes bildet, dessen erborgtes Dasein uns bezaubert.” La frase “incriminata” è la seguente: “der aus Wahrheit und Luge ein drittes bildet”. La traduzione letterale è perfetta: “il quale (der) aus (dalla) Wahrheit (verità) und (e) Lüge (menzogna) ein (un) drittes (terzo [elemento]) bildet (forma, sa trarre). Se consultiamo il vocabolario, apprendiamo che “Lüge” significa “menzogna”, “bugia”, quella appunto che si contrappone alla “verità” (Wahrheit).
E allora? È chiaro che io non mi sarei mai accorto della rilevata incongruenza, se non avessi letto un’altra traduzione della stessa frase, quella del testo stampato in mio possesso: “Viaggio in Italia” (Italienische Reise), Mondadori 1983, ristampa 2017.
«Ma come ha saputo collegare bene i due elementi! come ci s’impone con la realtà delle sue costruzioni e ci fa dimenticare che vuol fare solo opera di persuasione! Vi è davvero alcunché di divino nei suoi progetti, né più né meno della forza del grande poeta, che dalla verità e dalla finzione trae una terza realtà, affascinante nella sua fittizia esistenza.» (Traduzione di Emilio Castellani)
Questa traduzione rende conto di quello che vuol dire Goethe, almeno per quello che ho capito io, anche in relazione alla teoria dei tre mondi di Popper, come meglio vedremo: la verità è il mondo della natura, la finzione è il mondo dell’arte, la terza realtà è l’opera d’arte. È ovvio che questa semplificazione va approfondita, ma prima vorrei intrattenermi ancora sulla traduzione, avendone consultate altre due, per chiarire ulteriormente il pensiero espresso da Goethe.
“Eppure, come egli ha saputo abilmente associare le une e gli altri, e come imporsi con la realtà delle sue opere, riuscendo a farci dimenticare che il suo scopo è semplicemente di affascinarci! C'è qualche cosa di veramente divino nei suoi disegni: perfettamente come è la forma per un grande poeta, che dalla verità e dalla finzione plasma una terza cosa, la cui esistenza fittizia ci rapisce.” (Eugenio Zaniboni, 1924)
“E pure, come ha saputo combinar per bene l’una cosa con l’altra! Come impone con le opere sue, e come sa farci dimenticare che egli ad altro non mira, che a produrre su di noi un’illusione! C’è veramente qualche cosa di divino nei suoi disegni; e si può dire di questi ciò che si dice della forma di un gran poeta ; questo, dalla verità e dalla finzione, fa scaturire una terza cosa, la cui fittizia esistenza ci seduce e ci incanta.” (Prof. G. Schwarz, 1895) Quest’ultima traduzione merita un discorso a parte, per ora comunque approfondiamo il pensiero di Goethe.
Parlando dell’opera d’arte, il Teatro Olimpico di Vicenza del Palladio, egli ammira la mirabile capacità artistica dell’architetto veneto nel conciliare i due elementi dei muri e delle colonne, il primo soltanto edile, il secondo strettamente artistico: “La massima difficoltà con cui quest’uomo, come tutti i moderni architetti, ebbe a lottare, è quella d’una conveniente applicazione degli ordini di colonne nell’architettura civile; perché l’unione dei muri e delle colonne sarà sempre una vera contraddizione.” (Schwarz)
In quest’opera complicata di conciliazione architettonica, Goethe riconosce lo stile poetico, che ispira l’opera del Palladio: l’atto creativo, “qualche cosa di divino nei suoi disegni”, che dalla “verità” (mondo reale) alla “finzione” (mondo fittizio dell’arte), trae “la terza cosa”, l’opera d’arte, ovvero il Teatro Olimpico, che si rivela davanti agli occhi incantati dell’ammiratore: “la cui fittizia esistenza ci seduce e ci incanta”.
Nella creazione artistica figurativa, ma anche letteraria, il circolo (mimetico) è quello della presenza di una realtà osservata, che attraverso l’attività dell’artista (poiesis), viene generata come opera d’arte. È lo svolgersi dell’azione del Demiurgo, che guardando alle eterne Idee (per Platone, la vera realtà) plasma l’Universo. La visione del Palladio è quella delle opere dell’antichità classica, in particolare la costruzione dei templi dell’epoca greca, ellenistica e romana.
Ma come avevamo premesso, vorremmo ora occuparci più dettagliatamente della traduzione del brano originale del testo goethiano, servendoci dell’opera del prof. G. Schwarz, non tanto – o forse, meglio, non solo – per semplice pedanteria o sfoggio di erudizione, ma per poter poi cogliere le conclusioni sulla differenza tra menzogna e finzione, il nostro tema, che nella sua enunciazione finale esaurisce e rinvia il vero inizio di una trattazione specifica di questo argomento, relativo alla filosofia dell’arte.
Riproduciamo le diciture della copertina dell’opera: “W. Goethe – Viaggio in Italia – (Italienische Reise) – Testo tedesco e traduzione italiana interlineare – illustrata ed annotata dal – Prof. G. Schwarz del Regio Istituto Tecnico di Ancona – Genova – A. Donath Editore – 1895” [L’opera è consultabile on-line]
Nella Premessa indirizzata agli studiosi, l’autore espone i motivi che l’hanno indotto a comporre la sua opera. Come insegnante della lingua tedesca, consapevole delle difficoltà dell’idioma tedesco per gli Italiani, ha scelto l’opera di Goethe, Italienische Reise, un testo pur del secolo precedente (1786-88), che “tuttavia offre dei pregi incontestabili, sia per la grande varietà del contenuto, sia per la ricchezza della sua lingua. In essa gli studiosi potranno anche imparare come si narri e si descriva, e come si deve procedere nel fare osservazioni e nel giudicare delle persone e delle cose; ed avranno altresì occasioni di lontano confrontarsi tra gl'Italiani del secolo passato e quelli d'oggi.” Quindi passa a descrivere il suo metodo di lavoro: “Il sistema da me scelto è l'interlineare, benché sino ad ora poco usato in Italia, fatta eccezione per i classici greci e latini. Le prime 64 pagine del testo sono accompagnate, parola per parola, da una traduzione interlineare, nella quale ho badato meno a rendere il senso, attenendomi scrupolosamente alla traduzione d'ogni parola. Le 60 pagine seguenti sono accompagnate ognuna da note e spiegazioni, che, numerose in principio, vanno man mano diminuendo, e ciò per esercizio dello studioso. Nelle ultime 28 pagine il testo fu lasciato tal quale. Alla fine del volume ho aggiunto una traduzione libera di tutto il testo, in modo da rendere il senso dell'autore, e spiegare chiaramente certe frasi che con la necessità della traduzione letterale erano riuscite in parte oscure.” Quindi conclude: “Ho creduto anche utile far seguire l'opera da una tabella cronologica, dove si espongono in riassunto i dati principali sulla vita e sulle opere dell'autore. Così facendo ho creduto riuscire nel mio intento. Al lettore il giudizio. Qualora fosse così, sarà per me incoraggiamento vivissimo a proseguire nella via intrapresa, pubblicando con lo stesso metodo altre opere di autori classici tedeschi.”
Abbiamo voluto trascrivere quasi per intero la presentazione della sua opera di traduzione da parte dell’autore, per mostrare come difficilmente ogni minimo particolare del testo tedesco e della sua traduzione italiana sia potuto sfuggire ad una così attenta e scrupolosa trattazione. E quindi, per il nostro intento, l’opera del prof. G. Schwarz, si è rivelato come uno strumento abbastanza prezioso ed anche una riscoperta del lavoro certosino, che ogni traduzione da una lingua all’altra comporta.
Ritornando sul passo, che abbiamo sottoposto al nostro esame, occupiamoci di altri due vocaboli della lingua tedesca – überredet, bezaubert – che in esso compaiono e della loro traduzione. E quindi, riprendiamo il testo originale in tedesco, come ce lo presenta Schwarz, tenendo presente che la sua opera di traduzione si limita ai primi quattro capitoli del diario di viaggio di Goethe, avendo il suo lavoro un carattere principalmente didascalico, per la conoscenza della lingua tedesca, come abbiamo appreso dalla sua presentazione. E dobbiamo rilevare che proprio questo carattere didascalico è quello strumento che meglio si addice al nostro scopo.
Ora, abbiamo visto, che le prime 64 pagine del testo sono accompagnate, parola per parola, dalla traduzione interlineare, mentre nelle 60 pagine seguenti, quelle in cui si trova il passo sottoposto al nostro esame, gran parte delle parole sono invece accompagnate ognuna da note e spiegazioni. Ho messo quindi in atto la traduzione interlineare, che riporto qui di seguito, facendo seguire ogni vocabolo tedesco da quello italiano tra parentesi.
Aber (Ma) wie (come) er (egli) das (questo) unter (tra) einander (l’un l’altro) Gearbeitet (combinato) hat (ha), wie (come) er (egli) durch (mediante) die (la) Gegenwart (presenza) seiner (delle sue) Werke (opere) imponirt (impressiona) und (e) vergessen (dimenticare) macht (fa), dass (che) er (egli) nur (solo) überredet! (convince!) Es (Esso) ist (è) wirklich (veramante) etwas (qualcosa) Gottliches (di divino) in (in) seinen (suoi) Anlagen (disegni), völlig (affatto) wie (come) die (la) Form (forma) des (del) grossen (grande) Dichters (poeta) der (che) aus (da) Wahrheit (verità) und (e) Lüge (menzogna) ein (un) drittes (terzo) bildet (forma), dessen (la cui) erborgtes (fittizia) Dasein (esistenza) uns (ci) bezaubert (incanta).
E adesso possiamo proporre la nostra traduzione, rinviando a dopo le osservazioni. “Ma come ha ben combinato l’un e l’altro elemento tra loro, come con la realizzazione delle sue opere impressiona e fa dimenticare, che tende soltanto a persuaderci! C’è davvero qualcosa di divino nei suoi disegni, la vera arte del grande poeta, il quale dalla verità e la finzione genera un terzo elemento, la cui fittizia esistenza ci affascina.”
Ho compiuto una traduzione un po' troppo letterale, forse per compensare quella del professor Schwarz, che giudichiamo un po' troppo creativa, come ad esempio quando traduce con due verbi italiani, “rapire” ed “incantare”, il verbo tedesco “bezaubern”, nel testo la voce è alla terza persona dell’indicativo presente: “bezaubert”. E in verità, la sua traduzione è migliore, secondo quel certo canone, che indica come forma migliore di traduzione quella che meglio risponde allo stile della lingua in cui il testo originale viene tradotto. In tal senso la traduzione letterale, seppure più fedele alla forma lessicale della lingua da cui si traduce, non è conveniente con l’altra.
Ora, però, vorrei soffermarmi su alcuni vocaboli, a cominciare dai due segnalati, che meglio rendono il pensiero di Goethe, la sua teoria estetica, peraltro espressa in quei suoi termini poetici, a loro volta pieni di meraviglia e di fascino, come l’arte del Palladio oggetto della sua ammirazione.
La voce überredert è la terza persona singolare, indicativo presente, di überredern, che significa persuadere, convincere. Ecco, la persuasione è lo scopo principale dell’arte retorica, e in tal senso la retorica si può definire l’arte della persuasione. Nel suo trattato, Aristotele sostiene che l’oggetto della retorica non è la verità (aletheia), ma il verosimile (eikos) ovvero l’immagine della realtà, quello che viene figurato. La tesi aristotelica riguarda il discorso, l’oratoria, dove il retore propone l’alternativa più valida nella maggior parte dei casi, rispetto all’ammissibilità di una realtà differente dalla tesi sostenuta. (“Retorica” 1357b) Il nostro riferimento ad Aristotele, per quanto possa apparire improprio, serviva a mettere in luce il concetto di figurazione della realtà, quella raffigurazione del reale appunto che tende a creare l’illusione del vero.
Noi, all’inizio del nostro discorso, presentando la traduzione di Augusto Nomis di Cossilla (1875), l’avevamo giudicata non soddisfacente, in verità avevamo detto “non appare soddisfacente”, in quanto avevamo estrapolato dal contesto i due termini “verità” e “menzogna”, trovando incongruente questa coppia dei contrari. Una tale opposizione, invece, appare congruente con la linearità della traduzione, che mette appunto in relazione l’illusione con la verità e la menzogna: “Con quanta abilità non seppe egli superare cotale difficoltà! quanto non impone l’aspetto delle sue opere, e come si dimentica, ch’egli non ebbe altro in mira se non il farvi “illusione”! Si scorge veramente un non so che di divino nelle sue linee, armoniche quanto i versi di un gran poeta, il quale dalla “verità” e dalla “menzogna” sa trarre un terzo elemento affatto nuovo, il quale incanta, rapisce!” Anche Schwarz traduce überredert con “illusione”: “produrre su di noi un’illusione”, guardando più all’effetto che alla causa, anche se, come vedremo, accennando a Popper, lo scarto fra questi due poli si può ridurre fino all’unificazione. È come dire che l’intenzione persuasiva, quale elemento interiore dell’artista, viene a coincidere con l’aspetto esteriore, l’effetto illusorio prodotto.
E ora possiamo esaminare l’altro verbo, oggetto della nostra attenzione: bezaubern. Stando ai vocabolari, bezaubern significa: affascinare, sedurre, incantare. Intanto, precisiamo, che non è casuale che uno degli autori (anche il traduttore è in un certo senso autore, autore del testo originato dalla sua traduzione) abbia tradotto con il concetto di fascino il verbo überredert : “scopo… di affascinarci”. (Zaniboni, 1924) E possiamo dire che soltanto una versione ha reso la fedeltà del significato di questo verbo: “fare … opera di persuasione” (Castellani, 1983)
Ora, questo nostro continuo gioco dei confronti tra le diverse traduzioni dello stesso termine ha finito per rivelarci un accostamento di significato tra i due verbi usati da Goethe, dove il persuadere (überredern) si fonde con l’affascinare (bezaubern). E ancora una volta dobbiamo cogliere la fusione tra il mondo interiore dell’artista, l’intenzione persuasiva, e quello esteriore del prodotto artistico, il fascino e incanto. Cogliamo quindi l’occasione per poter infine presentare in linee schematiche la teoria di Karl Popper ( 1902-1994). Secondo il filosofo viennese, esistono “tre” mondi: il mondo “uno”, quello esteriore, costituito dalle entità fisiche, il mondo della natura e delle cose; il mondo “due”, quello interiore dell’esperienza soggettiva, rientrante nella sfera dei pensieri e dei sentimenti; infine, il mondo “tre”, risultante dal mondo “due”, contenente i prodotti dello spirito, oggettivi e invariabili. E qui, Popper fa l’esempio di un libro, che come ente materiale, fa parte del modo “uno”, e come prodotto di un’attività dello spirito, il mondo “due”, risulta esistente nel mondo “tre”. Il libro, dice Popper, è il medium linguistico per la comunicazione di idee e pensieri, che può essere tradotto nelle altre diverse lingue, L’elemento “invariabile”, che non varia nella traduzione tra una lingua e l’altra, è quello costituito dal mondo “tre”.
Nel commento di Goethe, “ein drittes”, “un terzo”, elemento o cosa, indica appunto quel prodotto dello spirito, che per Popper appartiene al mondo “uno”, come entità fisica, e al mondo “tre” come risultato del mondo “due”, l’attività creativa dell’artista. Ora, lasciando da parte le diverse implicazioni di carattere filosofico, che questa teoria comporta, sul problema ontologico dell’esistenza dei tre mondi e della possibilità di interazione tra essi, continuiamo l’esame terminologico, al fine di cogliere quegli aspetti di carattere estetico presenti nella riflessione di Goethe.
“Gegenwart” significa “presenza”, ed è stato reso nelle varie traduzioni con aspetto e realtà, Schwarz ne omette la traduzione. Io avevo pensato, influenzato dal pensiero di Heidegger, alla presenza come l’essere presente dell’ente, l’essere dell’ente, la cui presenza implica il suo venire alla luce, e quindi l’attività che realizza l’effetto. In tal senso, avevo pensato di tradurre Gegenwart con ”realizzazione”, evidenziando più l’aspetto del mondo “due”, l’attività creativa di progettazione, rispetto al risultato, mondo “tre”, della messa in atto dell’opera. Dico questo, per voler meglio cogliere certe sfumature del linguaggio poetico di Goethe. Infatti, se mettiamo in relazione Gegenwart con il resto della frase, possiamo accorgerci come con la “presenza” delle sue opere, egli (l’artista) vuol far dimenticare, come dire nascondere la realtà sensibile del materiale architettonico, muri e colonne, sotto il velo illusorio dell’arte, e quindi persuaderci della verità dell’opera, la realtà artistica. Queste esclamazioni di meraviglia suscitate dalla contemplazione dal vero dell’opera d’arte sono il registro di vere emozioni avvertite nella sua anima dal poeta tedesco. Infatti, tali sentimenti vanno collegati alle sue aspettative e al suo desiderio del viaggio in Italia, dovute al racconto di una tale esperienza realizzata dal padre.
Johan Caspar Goethe, padre del poeta, grande ammiratore dell’Italia e della lingua italiana, compì un viaggio in Italia nel 1740, il cui resoconto fu tradotto in italiano con il titolo “Viaggio per l’Italia” (1932), J.C. Goethe riportò dal viaggio quelle incisioni di vedute di Roma, che Wolfang vide fin da bambino appese alle pareti della casa natale di Francoforte. Si può capire come per il bambino, l’Italia fu sempre una terra sognata e desiderata, e come e ne rimase affascinato ed emozionato, quando da grande riuscì a realizzare quel suo desiderio. Un tale entusiasmo lo invase emotivamente, quando registrò sul suo diario le prime impressioni del suo arrivo a Venezia: “Sul libro del destino era dunque scritto alla mia pagina che il 28 settembre 1786, alle cinque di sera, secondo la nostra ora, entrando dal Brenta nella laguna, avrei visto per la prima volta Venezia, e subito dopo avrei toccato e visitato questa meravigliosa città insulare.” Quello che emoziona Goethe è la visione della realtà, la verità del reale, in confronto alla verità illusoria del desiderio e del sogno, un vuoto di immagini, un nulla: “Dunque, grazie a Dio, Venezia per me non è più una semplice parola, non è più un puro nome che così spesso ha angosciato me, che son tanto nemico di vuoti suoni.”
Se le parole devono suscitare immagini specchio della realtà, se di questa realtà non si è avuta visione, allora le parole che la descrivono rispecchiano il vuoto nulla. Solo in questo senso alla Wahrheit, verità del reale, realtà del vero, si oppone la Lüge, la menzogna, assenza del vero. Ora, il verbo mentire, da cui menzogna, riprende il latino mentiri, alla cui radice troviamo mens, “mente”, quindi “mentire” è “inventare con la mente”, con il significato analogo di fingere, dal latino fingĕre, che significa costruire, creare, fabbricare (anche in senso figurato), foggiare, modellare, rappresentare, tracciare, raffigurare, delineare, ma anche fingere, simulare, contraffare, falsificare. In quest’ultimo senso, il relativo sostantivo di fingere, “finzione”, è sinonimo di falsità, menzogna, inganno, ma in termini positivi, si riferisce anche all’attività creativa del costruire, formare, strutturare, e anche immaginare, ideare, inventare.
Quindi, se come contrario del vero, la menzogna è la sua negazione e sostituzione con una falsa realtà, data per verità, la finzione, oltre a questo senso negativo, ha anche quello positivo di inventivo, costruttivo, creativo. Ora, se un parallelo tra menzogna e finzione appare chiaro in chiave discorsiva, dove il mentire e il fingere, come simulazione del vero, hanno lo stesso significato, diversamente appare nel campo delle arti sia letterarie che raffigurative, dove la finzione è scontata come menzogna, diremo per definizione. In tal senso tradurre letteralmente Lüge con menzogna, significa voler dare a questo termine il significato di finzione, proprio secondo l’arte della retorica – si intende la finzione come scoperta menzogna. In letteratura, ad esempio, il titolo del libro di Elsa Morante, “Menzogna e sortilegio”, esprime in maniera aperta lo scontro tra il vero della realtà della vita e la menzogna del mondo immaginario e illusorio dei personaggi, un sortilegio.
Restando nel campo dell’attività artistica, come attività creativa, possiamo quindi intendere il senso del divino attribuito alle creazioni del Palladio: etwas Gottliches. E la sua arte (Form) viene definita in tutto (vollig) come quella di un grande poeta (des grossen Dichters), che dalla verità e dalla sua imitazione crea l’elemento nuovo, la cui esistenza fittizia ci seduce ed incanta. Restiamo affascinati dalla visione dell’opera d’arte, pur avvertendo il carattere illusorio del suo essere presente al nostro sguardo.
Esaurito il tema da noi proposto, la traduzione di alcuni termini di una riflessione estetica di Goethe sull’architettura del Palladio, dovremmo continuare sulla traccia del pensiero della relazione tra verità ed opera d’arte, ma come avevamo detto, ci fermiamo, concludendo proprio all’inizio di una discussione sulla filosofia dell’arte.
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