Luna blanca de febrero Voces de la tarde sombras en el parque Sonidos ilusorios de memoria vana Luna en la oscuridad discreta brillante En vacíos oscuros caminas en silencio Noche húmeda y profunda Luna íntima necesaria A primera hora del amanecer En el cielo oscuro y brillante Luna blanca brillante Luces del parque en el jardín oscuro El escape de las sombras persigue la mañana Casas de terracota esmaltada en rojo Rojo brillante de las fachadas El sol sale a la segunda hora Rojo ladrillo de los edificios En el alto azul claro y límpido Luna plateada transparente Luz del día radiante Luna desvanecida entre nubes blancas Su huella no descifrada ha desaparecido
Fernando Pérez de Palacio Buenos Aires, 30 de febrero de 2025
LUNA BIANCA DI FEBBRAIO a Ignacia Álvarez de Luján
Luna bianca di febbraio Voci di sera ombre nel parco Suoni illusori di vana memoria Luna nel buio discreta brillante In vuoti oscuri passi in silenzio Umida notte profonda Luna intima necessaria Alla prima hora dell’alba Nel cielo scuro splendente luminosa Luna bianca Luci del parco nel buio giardino Fuga di ombre insegue il mattino Rosso smaltato il cotto di case Rosso acceso delle facciate Sorge il sole all’hora seconda Rosso mattone dei caseggiati Nell’alto terso limpido azzurro Luna argentea trasparente Irraggiante luce del giorno Luna sbiadita tra nuvole bianche Svanita l’impronta sua indecifrata
Fernando Pérez de Palacio Buenos Aires, 30 febbraio 2025
Iside ineffabile, Tu che percorri gli eterni sentieri del silenzio e che dall'infinita lontananza della Tua insondabile giovinezza vegli sul riposo delle nostre notti mortali, volgi il Tuo imperscrutabile sguardo all'irrequietudine dei miei affanni, per placare l'orrore della mia solitudine! Salvami dal vuoto di questa disperazione senza fine, sciogliendomi dall'angoscia della colpa e sollevandomi dalla caduta, ed accoglimi nella Tua luce divina, Tu che da sempre Ti muovi al di sopra di ogni abisso, donde eternamente vai! Divina Selene, discendente di Eurimone, la Dea del Tutto, che all'inizio si avvolse nuda col Vento del Nord e depose nel grembo dell'Oscurità l'Uovo d'argento, da cui schiudendosi nacque Fanete, l'ermafrodito dalle ali d'oro, che diede origine all'Universo e a Tutte le Cose, orfica Luna, io Ti prego dalla mia condizione mortale, abbracciato all'umida Terra, di sollevarmi fino a Te, alla tua uranica bellezza. Tu, gelida Luna, che nel corso del Tuo cammino perenne governi dall'alto della Tua suprema indifferenza tutte le cose mortali, specchiate nell'imperturbabilità del Tuo volto misterioso, ascolta il sospiro del mio essere nudo avvinghiato alle viscere della Grande Madre. Non allontanare il Tuo olimpico sguardo, nella notte profonda, dal battito del mio cuore mortale, che invoca il Tuo divino conforto ed implora, Luna splendente, la consolazione della Tua inaccostabile giovinezza. Affondato nel ventre molle della Terra Madre, su cui inorridito giaccio madarós [1] madido, inzuppato d'umore materno nel lordo connubio con la materia, che insudicia l'umana bassezza della mia condizione, io Ti prego di sollevarmi fino alle irraggiungibili altezze del Tuo intatto splendore. Il silenzio della Luna, che passa tra le nuvole, rivelando l'indifferenza del volto imperscrutabile, chiude la mia preghiera.
Lafleur, Briançon, 30 febbraio 2005
[1] “Oltre al simbolismo del vaso, che come il grembo materno contiene l’oscurità primitiva, il cielo notturno generatore, la forza ctonia (Terra, Khtón), capace di dare alla luce, la Grande madre viene rappresentata anche come albero della vita, che saldamente piantato con le sue radici nella terra che lo nutre, s’innalza verso l’alto, e con i suoi rami e le sue foglie, genera quell’ombra protettiva, dove la materia vivente trova il suo rifugio. Non a caso la parola madera (legno) ha parentele con “madre”, “materia”, a cui pure si connette il greco madarós (umido, inzuppato) e il latino madidus (madido, bagnato). (Umberto Galimberti, “Le origini del pensiero greco”, “Storia del pensiero occidentale”, Volume I, Curcio Editore, Roma.
‘Kde domov muj’? ‘Dov’è la mia patria?’ Non è un inno di guerra, non auspica la rovina di nessuno, canta senza retorica il paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, le pianure e le betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i piccoli ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra, è stato bello difendere questa terra, bello amare la nostra patria (Milena Jesenskà)
Copenaghen
Bruxelles Louiza
“Dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una prodigiosa marionetta realizzata dalla divinità, per gioco o per uno scopo serio, questo non lo sappiamo." (Platone, Leggi, 1, 644e)
2 commenti:
LUNA BLANCA DE FEBRERO
A Ignacia Álvarez de Luján
Luna blanca de febrero
Voces de la tarde sombras en el parque
Sonidos ilusorios de memoria vana
Luna en la oscuridad discreta brillante
En vacíos oscuros caminas en silencio
Noche húmeda y profunda
Luna íntima necesaria
A primera hora del amanecer
En el cielo oscuro y brillante
Luna blanca brillante
Luces del parque en el jardín oscuro
El escape de las sombras persigue la mañana
Casas de terracota esmaltada en rojo
Rojo brillante de las fachadas
El sol sale a la segunda hora
Rojo ladrillo de los edificios
En el alto azul claro y límpido
Luna plateada transparente
Luz del día radiante
Luna desvanecida entre nubes blancas
Su huella no descifrada ha desaparecido
Fernando Pérez de Palacio
Buenos Aires, 30 de febrero de 2025
LUNA BIANCA DI FEBBRAIO
a Ignacia Álvarez de Luján
Luna bianca di febbraio
Voci di sera ombre nel parco
Suoni illusori di vana memoria
Luna nel buio discreta brillante
In vuoti oscuri passi in silenzio
Umida notte profonda
Luna intima necessaria
Alla prima hora dell’alba
Nel cielo scuro splendente
luminosa Luna bianca
Luci del parco nel buio giardino
Fuga di ombre insegue il mattino
Rosso smaltato il cotto di case
Rosso acceso delle facciate
Sorge il sole all’hora seconda
Rosso mattone dei caseggiati
Nell’alto terso limpido azzurro
Luna argentea trasparente
Irraggiante luce del giorno
Luna sbiadita tra nuvole bianche
Svanita l’impronta sua indecifrata
Fernando Pérez de Palacio
Buenos Aires, 30 febbraio 2025
Traduzione italiana a cura di Mariella Savarani
PREGHIERA ALLA LUNA
Iside ineffabile, Tu che percorri
gli eterni sentieri del silenzio
e che dall'infinita lontananza
della Tua insondabile giovinezza
vegli sul riposo delle nostre notti mortali,
volgi il Tuo imperscrutabile sguardo
all'irrequietudine dei miei affanni,
per placare l'orrore della mia solitudine!
Salvami dal vuoto
di questa disperazione senza fine,
sciogliendomi dall'angoscia della colpa
e sollevandomi dalla caduta,
ed accoglimi nella Tua luce divina,
Tu che da sempre
Ti muovi al di sopra di ogni abisso,
donde eternamente vai!
Divina Selene, discendente di Eurimone,
la Dea del Tutto, che all'inizio
si avvolse nuda col Vento del Nord
e depose nel grembo dell'Oscurità
l'Uovo d'argento, da cui schiudendosi
nacque Fanete, l'ermafrodito dalle ali d'oro,
che diede origine all'Universo e a Tutte le Cose,
orfica Luna, io Ti prego
dalla mia condizione mortale,
abbracciato all'umida Terra,
di sollevarmi fino a Te,
alla tua uranica bellezza.
Tu, gelida Luna, che nel corso
del Tuo cammino perenne
governi dall'alto
della Tua suprema indifferenza
tutte le cose mortali,
specchiate nell'imperturbabilità
del Tuo volto misterioso,
ascolta il sospiro del mio essere
nudo avvinghiato alle viscere
della Grande Madre.
Non allontanare
il Tuo olimpico sguardo,
nella notte profonda,
dal battito del mio cuore mortale,
che invoca il Tuo divino conforto
ed implora, Luna splendente,
la consolazione
della Tua inaccostabile giovinezza.
Affondato nel ventre molle
della Terra Madre,
su cui inorridito giaccio madarós [1]
madido, inzuppato d'umore materno
nel lordo connubio con la materia,
che insudicia l'umana bassezza
della mia condizione,
io Ti prego di sollevarmi
fino alle irraggiungibili altezze
del Tuo intatto splendore.
Il silenzio della Luna,
che passa tra le nuvole,
rivelando l'indifferenza
del volto imperscrutabile,
chiude la mia preghiera.
Lafleur, Briançon, 30 febbraio 2005
[1] “Oltre al simbolismo del vaso, che come il grembo materno contiene l’oscurità primitiva, il cielo notturno generatore, la forza ctonia (Terra, Khtón), capace di dare alla luce, la Grande madre viene rappresentata anche come albero della vita, che saldamente piantato con le sue radici nella terra che lo nutre, s’innalza verso l’alto, e con i suoi rami e le sue foglie, genera quell’ombra protettiva, dove la materia vivente trova il suo rifugio. Non a caso la parola madera (legno) ha parentele con “madre”, “materia”, a cui pure si connette il greco madarós (umido, inzuppato) e il latino madidus (madido, bagnato). (Umberto Galimberti, “Le origini del pensiero greco”, “Storia del pensiero occidentale”, Volume I, Curcio Editore, Roma.
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