LA CHIARITÀ DELLA NOTTE POSTILLA A “NELLA CONFUSA SERA”
“Chiara è la notte e senza vento” Giacomo Leopardi
La notte sopraggiunge con la morte del sole, noi oggi diciamo con il tramonto del sole. La luce del giorno splendente a mezzogiorno si va lentamente attenuando e diventa dorata quando il sole si inclina sull’orizzonte (“Era già l'ora che volge il disio / ai navicanti e 'ntenerisce il core”), poi lentamente scompare (“Ed è subito sera”). È la sera della stagione della vita: “Forse perché della fatal quïete / tu sei l’immago”. Alla luce grigia del crepuscolo è succeduta quella azzurrina della sera, poi la chiarità della notte: “Dolce e chiara è la notte e senza vento, e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti posa la luna, e di lontan rivela serena ogni montagna. O donna mia…” In epigrafe, avevamo citato l’endecasillabo iniziale della lirica “La sera del di dì festa”, omettendo l’aggettivo “dolce”. Ci aveva colpito la cancellatura del manoscritto: “Come” era stato vergato e sostituito da “Dolce”. L’aggettivo suonava più romantico dell’avverbio alla sensibilità musicale del poeta? Certamente. Non solo la variazione musicale però, anche la sostituzione verbale risulta sostanziale, una diversa affezione dell’anima a dirla in linguaggio aristotelico. E quale sentimento è intervenuto nell’anima del poeta? La dolcezza. Che cosa è questa dolcezza? Quella stessa del verso che completa la terzina dantesca citata: “Lo dì c'han detto ai dolci amici addio.” Dante canta l’addio e l’esilio dagli affetti più cari. Leopardi canta la quiete della notte alla luce della luna nel sereno del paesaggio montano e degli orti, che intenerisce il cuore. “O donna mia”: ecco l’amore ignorato e la disperazione per una Natura matrigna, che gli nega l’amore e rende infelice i suoi giovani anni: “Intanto io chieggo quanto a viver mi resti, e qui per terra mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi in così verde etate!” E poi ecco, la fuga dei giorni e il cadere del tutto nel nulla e nell’oblio: “Ecco è fuggito il dì festivo, ed al festivo il giorno volgar succede, e se ne porta il tempo ogni umano accidente.” Resta il canto, la consolazione della poesia, il momento dell’incanto della notte chiara e senza vento. Viene da ricordare Manzoni, il passo dell’ottavo capitolo dei “Promessi Sposi” della fuga di Lucia, quello che precede il canto lirico dell’Addio monti: "Non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano e sarebbe parso immobile se non fosse stato il tremolare e l'ondeggiar leggiero della luna, che vi si specchiava da mezzo in cielo" Ed anche qui ricorre il dantesco addio nostalgico ai “dolci amici”, in quella che è una vera e proprio lirica, inserita nel testo: “Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!” È il momento del distacco e dell’esilio, il canto del rimpianto e della nostalgia.
‘Kde domov muj’? ‘Dov’è la mia patria?’ Non è un inno di guerra, non auspica la rovina di nessuno, canta senza retorica il paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, le pianure e le betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i piccoli ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra, è stato bello difendere questa terra, bello amare la nostra patria (Milena Jesenskà)
Copenaghen
Bruxelles Louiza
“Dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una prodigiosa marionetta realizzata dalla divinità, per gioco o per uno scopo serio, questo non lo sappiamo." (Platone, Leggi, 1, 644e)
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LA CHIARITÀ DELLA NOTTE
POSTILLA A “NELLA CONFUSA SERA”
“Chiara è la notte e senza vento”
Giacomo Leopardi
La notte sopraggiunge con la morte del sole, noi oggi diciamo con il tramonto del sole. La luce del giorno splendente a mezzogiorno si va lentamente attenuando e diventa dorata quando il sole si inclina sull’orizzonte (“Era già l'ora che volge il disio / ai navicanti e 'ntenerisce il core”), poi lentamente scompare (“Ed è subito sera”). È la sera della stagione della vita: “Forse perché della fatal quïete / tu sei l’immago”. Alla luce grigia del crepuscolo è succeduta quella azzurrina della sera, poi la chiarità della notte: “Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna. O donna mia…”
In epigrafe, avevamo citato l’endecasillabo iniziale della lirica “La sera del di dì festa”, omettendo l’aggettivo “dolce”. Ci aveva colpito la cancellatura del manoscritto: “Come” era stato vergato e sostituito da “Dolce”. L’aggettivo suonava più romantico dell’avverbio alla sensibilità musicale del poeta? Certamente. Non solo la variazione musicale però, anche la sostituzione verbale risulta sostanziale, una diversa affezione dell’anima a dirla in linguaggio aristotelico. E quale sentimento è intervenuto nell’anima del poeta? La dolcezza. Che cosa è questa dolcezza? Quella stessa del verso che completa la terzina dantesca citata: “Lo dì c'han detto ai dolci amici addio.” Dante canta l’addio e l’esilio dagli affetti più cari. Leopardi canta la quiete della notte alla luce della luna nel sereno del paesaggio montano e degli orti, che intenerisce il cuore. “O donna mia”: ecco l’amore ignorato e la disperazione per una Natura matrigna, che gli nega l’amore e rende infelice i suoi giovani anni:
“Intanto io chieggo
quanto a viver mi resti, e qui per terra
mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
in così verde etate!”
E poi ecco, la fuga dei giorni e il cadere del tutto nel nulla e nell’oblio:
“Ecco è fuggito
il dì festivo, ed al festivo il giorno
volgar succede, e se ne porta il tempo
ogni umano accidente.”
Resta il canto, la consolazione della poesia, il momento dell’incanto della notte chiara e senza vento. Viene da ricordare Manzoni, il passo dell’ottavo capitolo dei “Promessi Sposi” della fuga di Lucia, quello che precede il canto lirico dell’Addio monti:
"Non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano e sarebbe parso immobile se non fosse stato il tremolare e l'ondeggiar leggiero della luna, che vi si specchiava da mezzo in cielo" Ed anche qui ricorre il dantesco addio nostalgico ai “dolci amici”, in quella che è una vera e proprio lirica, inserita nel testo:
“Addio, monti sorgenti dall'acque,
ed elevati al cielo; cime inuguali,
note a chi è cresciuto tra voi,
e impresse nella sua mente,
non meno che lo sia l'aspetto
de' suoi più familiari; torrenti,
de' quali distingue lo scroscio,
come il suono delle voci domestiche;
ville sparse e biancheggianti sul pendìo,
come branchi di pecore pascenti; addio!
Quanto è tristo il passo di chi,
cresciuto tra voi, se ne allontana!”
È il momento del distacco e dell’esilio, il canto del rimpianto e della nostalgia.
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