sabato 9 marzo 2024

Narrativa

 

         L'uomo differito (I)




22 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

N. d. B.
Pubblico una edizione riveduta, in sette libri, ripartiti in quattro volumi di “L’uomo differito”, un capitolo al giorno. Il primo numero rappresenta il libro, il secondo il capitolo.

Silvio Minieri ha detto...

IL VIANDANTE NELLA NOTTE

INTRODUZIONE
Il testo qui pubblicato deve considerarsi come la prima parte di un’opera composta di sette libri, intitolata “L’uomo differito”, nel cui tessuto narrativo si svolge la storia di Lafleur, un personaggio abbastanza inconsueto ed inverosimile, che ama definirsi un esperto in scienze della psiche, le cui avventure rivelano non soltanto una certa stravaganza del carattere, ma anche tratti esistenziali indubbiamente fantasiosi e irreali.
Nei primi tre libri, raccolti in questo volume: “Nel profondo dell’azzurro”, “Il viandante nella notte”, “Metaxy”, il protagonista Lafleur appare intento alla rievocazione del destino di Anna Reggiani, una giovane donna tragicamente scomparsa dieci anni prima, la cui vicenda si riallaccia alla storia criminale dell’uomo camuffato, narrata in un romanzo scritto da un giornalista, che visse da testimone gli eventi di una stagione di delitti in una verosimile località mediterranea, in Puglia. Nel frattempo, nel corso dei suoi spostamenti tra Roma e Torino, Lafleur finisce per essere sospettato di un omicidio passionale.
Questo il filo scoperto della storia, di cui non si dice altro, per non togliere ad essa la sua naturale suspense; ma dell’esistenza di un’altra trama più sotterranea si comincia però ad avere il sospetto, andando avanti nella lettura del testo, grazie a degli improvvisi e balenanti spiragli, che già si annunciano in alcune immagini di luce crepuscolare di “Il viandante nella notte”, il libro principale di questo primo volume dell’opera, a cui presta il titolo, dove viene delineato anche un primo significativo profilo del suo enigmatico protagonista.

Silvio Minieri ha detto...

LIBRO PRIMO

NEL PROFONDO DELL'AZZURRO

“L’antico con struggente nostalgia lo vediamo
avvolto nel profondo dell’azzurro”
Novalis, Inni della Notte, VI

CAPITOLO 1
“Questo inno non è un canto rivolto contro qualcosa, ‘Kde domov muj’ (‘Dov’è la mia patria?’) non auspica la rovina di nessuno, si augura solo che continuiamo a esistere. Non è un inno di guerra, canta senza retorica il paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, i campi e le pianure, le betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i folti cespugli profumati e i piccoli ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra… E’ stato bello difendere questa terra, bello amare la nostra patria…”
Dulce et decorum est pro patria mori.
Ho tradotto nella romanità il pensiero dell’amica di Kafka, che Anna Reggiani aveva annotato a penna, con elegante calligrafia su quel foglio di quaderno. Più sotto a mano era riportata l’altra citazione di Milena Jesenskà, tratta dalla biografia della Buber Newmann:
“So che almeno tu non mi dimenticherai. Per merito tuo posso continuare a vivere. Tu dirai agli uomini chi ero, sarai il mio giudice clemente…”
Ho infilato il foglio in tasca e sono uscito. Con l’autobus sono giunto vicino alla Sinagoga. Alcune persone sono in attesa del mezzo pubblico, sotto una pensilina. Mi sono incamminato sul lungotevere ed attraverso lo stretto ponte ho raggiunto l’isola tiberina. Le strade sono poco frequentate, nel pomeriggio di questa domenica che declina verso sera. Ho sceso i gradini di pietra. In fondo attende una sposa, con il lungo strascico bianco dell’abito nuziale. Accanto vi è un fotografo, il marito ed altre due persone, probabilmente i testimoni.
Sono sbucato sull’ampia spianata, l’acqua verdastra scorre schiumando sulla pietra. Guardo verso il ponte Garibaldi, il sole è un disco rosso nel cielo imbrunito. Nell’angolo sotto l’arcata, una giovane coppia fissa il fiume. Anch’io rimango a guardare l’acqua che scorre.
“So che almeno tu non mi dimenticherai. Per merito tuo posso continuare a vivere. Tu dirai agli uomini chi ero…” Ha lasciato questo messaggio Anna Reggiani nei suoi appunti.
Compio un breve giro dell’isolotto. Nello spiazzo erboso una coppia di giovani dalla pelle scura è seduta a conversare. Risalgo sul ponte. Un turista asiatico sta fotografando un gabbiano, nell’attimo in cui il volatile spicca il volo dal parapetto, saettando in basso a filo radente sull’acqua. Stride assieme ad altri gabbiani, che volteggiano sul fiume.
Mi allontano voltando le spalle al tramonto.

Silvio Minieri ha detto...

Sono un collaboratore della “Pulchra Service”, una ditta di cosmesi; offro mie consulenze di psicologia. In verità non ho un rapporto fisso d’impiego ed in questo senso non sono un lavoratore subordinato, ma un lavoratore autonomo. Posso dire che per conto della “Pulchra” devo condurre uno studio sul perché del suicidio femminile e rispondere al quesito se una determinante essenziale in questo gesto estremo sia la perdita del fascino ovvero di quella componente del fascino, senza cui ne va del fascino stesso, la bellezza che è la bellezza femminile. Questo compito mi è stato affidato dal giovane presidente della “Pulchra”, con cui ho avuto un colloquio diretto. Voglio spiegare che per ottenere il colloquio con Serontini, ho dovuto superare prove preliminari selettive. Nel corso del colloquio il giovane presidente dava per scontato che una componente essenziale del suicidio femminile risiede nella perdita della bellezza, che è la dote principale del fascino femminile, la grazia. Non l’ho contraddetto, ma gli ho fatto osservare come allora non dovrebbe essere mai capitato che una donna bella si sia mai suicidata.
“Sì, certo,” mi ha risposto “non è mai accaduto che una donna bella si sia mai suicidata.”
“Infatti” ho replicato “la Marlove non si è suicidata.”
Serontini mi ha guardato e senza scomporsi, con un leggero sorriso ha replicato: “Lei è assunto, ha dato la risposta giusta, per me. Credo che la sua consulenza contribuirà ad aumentare il volume di vendite ed il fatturato della nostra azienda.”
Può uno studio del genere incrementare le vendite di prodotti di cosmesi ed aumentare il fatturato dell’azienda della “Pulchra Service”? Sono scettico, ma ho accettato l’offerta.
Dopo il colloquio, sono andato a rileggermi alcuni passi del mio saggio universitario: “La componente estetica nel suicidio femminile”. E’ un lavoro che oggi giudico un po’ grezzo e compilativi ed in più parti didascalico. Parlo prima dell’aspetto fisico della morte, poi dell’aspetto psicologico di fronte a questa situazione e quindi dell’atto del suicidio e delle sue possibili motivazioni. Nella seconda parte mi dilungo sui problemi metafisici dell’estetica parlando di bellezza e di arte.
Ho chiuso il testo ed ho alzato il capo, guardando oltre i vetri della finestra. Poi ho telefonato ad Artieri e gli ho chiesto di compiermi una ricerca sui casi di suicidio femminile, nelle cronache di dieci anni prima. L’altro giorno scorrevo la rassegna stampa, che Artieri mi ha diligentemente preparato e poi inviato. E da Chantal il mio interesse si è spostato sul caso di Anna Reggiani.

Silvio Minieri ha detto...

Le cronache davano notizia di una giovane donna travolta da un treno in arrivo alla stazione principale di Roma, la notte del 4 dicembre. I resoconti dei giornali riferivano i fatto inquadrandolo come suicidio o disgrazia. Nei giorni seguenti la notizia fu ripresa da poche testate: l’inchiesta giudiziaria aveva archiviato il caso come suicidio, tenendo conto delle testimonianze del ferroviere Borracini e del macchinista del diretto Milano-Roma. Dalla lettura di questi ultimi quotidiani avevo ricavato dei particolari sulla vita romana della donna, risalendo a Corradini ed alla rivista "Presenza Donna". Corradini Elio mi ha raccontato della vita da giornalista condotta da Anna Reggiani e del carattere chiuso della donna da lui conosciuta a Rocca Peligna: "Quando venne in montagna a Rocca Peligna, su invito di mio padre, cercammo d'inserirla nel nostro giro di conoscenze ed amicizie, ma con scarsi risultati, anzi senza nessun risultato. Era malata di malinconia."
"Depressione?" ho interrogato. "Forse" mi ha risposto. Prima di congedarmi, mi ha regalato i numeri della rivista, in cui apparivano gli scritti della giornalista scomparsa e mi ha parlato di Olga Petrovna, l'amica di lei. Mi ha anche consegnato dei fogli contenenti appunti scritti a penna dalla Reggiani, forse materia di riflessione per un articolo mai pubblicato.
Anna Reggiani: se giro per le strade del centro di Roma, mi sembra di vederla. La giovane chiude la porta della casa ed esce in via della Croce A piedi raggiunge piazza di Spagna. Dà uno sguardo a Trinità dei Monti, poi si avvia verso la fermata della metro. Indossa un lungo soprabito nero, che le lascia libere soltanto le caviglie e mette in risalto lo snello profilo della sua figura. Passa davanti al mercatino allestito dagli extracomunitari in vicolo del Bottino, quindi s'infila nella galleria, raggiungendo la scala mobile. Sale sul convoglio sotterraneo già affollato e scende subito alla seconda fermata, “Repubblica”. Oltrepassa l'agenzia di viaggi, sotto il porticato di destra, dando le spalle alle Naiadi, quindi entra nel portone e con l'ascensore sale al terzo piano. Apre con la chiave la porta dell'appartamento, su cui è distinguibile la targa in ottone, recante la scritta: “Presenza Donna – Gruppo Cosmesi S.p.A.”
All'inizio del suo soggiorno romano, mi aveva raccontato Corradini, l'ex ufficiale di polizia era andato ad abitare da Olga Petrovna, la sua datrice di lavoro, un'ucraina naturalizzata italiana di circa sessant'anni. Mi sembra di vederle: escono a tarda sera dal laboratorio di taglio e cucito e percorrono via delle Croce, per sbucare in piazza di Spagna. Olga Petrovna, alta e magra, in un elegante completo di giacca e pantaloni, scarpe basse e cappello tipo borsalino, fuma uno dei suoi sottili sigari e cammina sotto braccio alla sua giovane amica. Poi tornano indietro verso via del Corso e piazza del Parlamento, prima di recarsi di nuovo in piazza di Spagna a prendere la linea A della metro.

Silvio Minieri ha detto...

CAPITOLO 2
Ho aperto gli occhi. Sono leggermente stordito dalla luce e dal calore del sole. Mi alzo in piedi e, dopo avere attraversato il breve tratto di spiaggia, mi avvicino alla riva del mare, che questa domenica mattina è molto calmo. L'acqua è fredda, ma refrigerante. Lentamente mi inoltro, immergendomi fino alla cintola. Una signora quarantenne, piena e formosa, con un costume bianco ad un pezzo, allarga le braccia attorno al figlio, un bambino di sette otto anni, che tenta di nuotare, ma a stento si mantiene a galla ed annaspa, sollevando continui spruzzi e ridendo gaiamente. La madre lo guarda protettiva e sorride, muovendoglisi accanto. Dopo una breve rinfrescante nuotata, esco dall'acqua e torno al mio asciugamani sulla spiaggia. Prendo un giornale dalla borsa ed i fogli contenuti nella busta gialla, consegnatami dal cameriere del caffè "dei Fiori" ieri sera.
Rileggo il testo di un primo foglio. È un passo del libro quarto della "Metafisica", stampato con i caratteri della videoscrittura. Quale interesse lega la Petrovna ad Aristotele? Mi pongo la domanda e sollevo lo sguardo sulla spiaggia. Una giovane signora in costume a due pezzi arancione cerca di mantenere in piedi un bambino di uno due anni, che muove alcuni passi sulla sabbia, reggendosi con incerto equilibrio. Sia la madre che il piccolo hanno la pelle bianchissima. Un extra-comunitario dalla pelle nerissima bracca la donna, cercando di venderle un palloncino. Segue il bimbo ed aggancia al polso del piccolo il filo che regge il palloncino. La madre si schermisce e volta le spalle al nero, chinandosi verso il bimbo.
Prendo un secondo foglio ed abbasso lo sguardo sul testo. E' ancora il quarto libro della "Metafisica". Alzo la sguardo. La signora col costume arancione, stando in piedi, si è piegata a cercare in una borsa posata sulla sabbia. Il palloncino, sfuggito al piccolo, rotola verso il fondo della spiaggia, sospinto da leggeri colpi di vento. Il venditore insegue il palloncino, la giovane madre, osservando la scena, smette di trafficare accanto alla borsa.
Di nuovo abbasso lo sguardo e continuo a leggere il testo. “Costui è il filosofo” mi ripeto l’asserzione ultima letta e guardo la giovane madre in due pezzi arancione. La donna ha in mano il borsellino e dà alcune banconote all'extra-comunitario. E' stata raggiunta da altri familiari adulti. Con un piede mantiene il palloncino fermo contro la borsa, per evitare che il leggero soffio del vento lo allontani. La contrattazione sembra terminata. In disparte il bimbo gioca con una paletta nella sabbia, indifferente all'acquisto un po' forzato del palloncino per lui.
Nel primo passo del quarto libro della "Metafisica", che ho appena letto prima degli altri due, vi è la dimostrazione di come Aristotele sia stato il primo vero e proprio sistematico studioso della storia della filosofia. Nel secondo è compendiata la definizione della metafisica. Nel terzo vengono individuati la figura ed il compito del filosofo. E nel quarto? Non ho ancora letto il quarto passo. È sul foglio, a cui non ho ancora dato un'occhiata, il terzo dei tre degli appunti, smarriti ieri dalla Petrovna e verosimilmente a me destinati. Ed allora ho preso il terzo foglio. Il passo è la continuazione del precedente: "E il principio più sicuro di tutti è quello intorno al quale è impossibile cadere in errore…”

Silvio Minieri ha detto...

Qual è questo principio? Guardo in direzione del gruppo della donna in due pezzi arancione, ma non riesco più a scorgerla. Il venditore di palloncini si è allontanato. Non c'è nemmeno più il bambino che gioca sulla spiaggia e neppure il palloncino. Spingo oltre lo sguardo in direzione delle docce e delle cabine e verso il bar, dove si assembrano più bagnanti, ma non riesco a distinguerne bene le fisionomie. Qual è il principio più noto e non ipotetico, quello che è il più sicuro di tutti? Il principio in base al quale è impossibile che ad una stessa cosa appartenga e, nello stesso tempo e per lo stesso riguardo, non appartenga la medesima cosa.
Mi guardo intorno sulla spiaggia. Dove sono finiti la madre col costume arancione ed il suo pargolino? Lancio un'occhiata scettica sulla spiaggia, poi guardo verso il mare. In acqua vi sono ora più bagnanti. Ripongo i fogli, infilandoli nel giornale piegato in quattro. Metto tutto in borsa, mi alzo e vado verso riva.
L'ultimo passo, tratto dal quarto libro della "Metafisica", concerneva dunque il principio di non contraddizione. Perché la Petrovna conservava in una busta gialla dei fogli con passi significativi del pensiero di Aristotele?
Mi tuffo nell’acqua, al primo impatto gelida, poi comincio a nuotare e, dopo le prime bracciate, già il fresco delle onde diventa gradevole. Continuo sul dorso, mi fermo con le braccia spalancate, per tenermi a galla e guardo soddisfatto il cielo azzurro. Poi mi giro e comincio a nuotare a stile libero, uscendo dalla cerchia dei bagnanti. Quando sono abbastanza lontano, mi fermo e mi giro verso la spiaggia, che posso scorgere per ampio tratto. Sulla mia sinistra osservo il profilo azzurro del Monte Circeo. Il sole si avvicina al suo punto più alto: deve essere quasi mezzogiorno. Con rapide bracciate riguadagno la riva ed esco dall'acqua, per una breve sosta al sole ed una veloce frizione della pelle sotto la doccia. Torno al mio asciugamani e lentamente raduno e raccolgo i miei oggetti, che infilo nella borsa, bagnando leggermente i fogli della Petrovna.
Osservo alcune coppie di bagnanti che passeggiano lungo la riva del mare e decido d'imitarli, per finire di asciugarmi, prima di lasciare la spiaggia. Procedo dando le spalle al Monte Circeo, in direzione di Terracina, quindi mi fermo per tornare indietro e guardo verso la breve passeggiata di scogli in mare. Sull'estremo una scaletta aiuta i bagnanti a scendere in acqua. Attorno si affannano bambini, che si tuffano dagli ultimi gradini e subito risalgono. Comincio a tornare indietro, avendo di fronte il promontorio, che prende il nome dalla Maga Circe. Incrocio una coppia di giovani: lui è alto, gigantesco, atletico; lei è bassina, con un bikini blu, prosperosa. La ragazza mi lancia uno sguardo di sfuggita. Che cosa ha portato ad accoppiarsi quei due?

Silvio Minieri ha detto...

Aristotele è filosofo. Chi è il filosofo? Colui che possiede la conoscenza degli esseri in quanto esseri, ebbene costui è il filosofo. E gli esseri in quanto esseri? Gli esseri in quanto esseri sono oggetto di scienza. Quale scienza? Quella che sta oltre la Fisica, Meta-fisica.
Sono giunto all’altezza della borsa, lascio la riva e vado a raccoglierla. Ormai sono asciutto, anche se il costume è ancora umido. Lascio la spiaggia e costeggio il muretto lungo la strada, ancora al sole. Sono entrato in una zona d'ombra e respiro l'odore dei pini, ombrosi. Al fresco cammino meglio. Nella strada si vedono pochi villeggianti, poi compaiono due vispi giovincelli, che trasportano in due un canotto di gomma. Passano alcune ragazze in costume. Ridono, scherzano, sono giovani, anzi molto giovani. Esco dalla zona d'ombra. Sotto il sole l'aria è infuocata. Avrei dovuto calzare un cappello.
Anna Reggiani ed Aristotele. Gli appunti sono di Anna Reggiani e da lei sono finiti alla sua amica, Olga Petrovna. Ma come e perché? Per ricordo. Per ricordo della defunta. Ho letto i suoi articoli sulla rivista 'Presenza Donna' di quell'anno ottantasei. Sanno di filosofia, di letteratura mitteleuropea e di attualità femminile. Devo approfondire. Ma chi era Anna Reggiani?
Sono giunto nello spiazzo tutto all'ombra dei pini. Mi fermo. Respiro l'odore del mare, di cui avverto ancora il sapore salmastro sulla pelle, sebbene risciacquata sotto la doccia. Mi siedo su un bordo del recinto in legno dello spiazzo ed osservo lo scarso movimento di villeggianti. Un anziano uomo è uscito dal retro dell'albergo in pietra grigia, sito di fronte al mare. Ha pantaloni lunghi grigi e camicia bianca con maniche lunghe e sulla testa un cappello di paglia. Guarda in aria e si dirige a testa in su verso la zona d'ombra dei pini. Non so che cosa guardi, perché non vedo voli di uccelli tra i rami su in alto. Forse tende l'orecchio ed ascolta lui solo richiami canori d'invisibili stormi. Indosso maglietta e pantaloncini e mi siedo su una panchina sotto l'ombra dei pini.
Guardo verso l'alto: le fronde degli alberi coprono il cielo. Guardo a lungo i rami su in alto. Poi decido di muovermi, mi alzo dalla panchina ed abbandono lo spiazzo, tornando verso il mare. Mi fermo ad osservare gli ombrelloni bianchi e blu sulla spiaggia. Molti sono chiusi, i bagnanti si sono diradati, perché gran parte dei frequentatori dello stabilimento balneare si è ritirata per la pausa di mezzogiorno. Nel cielo il sole è a picco, l'afa è mitigata dalla brezza di mare nella stagione che si avvia verso la canicola. Guardo il mare. Il vento, che spira leggero, ha increspato le onde, allungando la risacca sulla riva. La spiaggia ormai è vuota. Sento un rumore di piatti e stoviglie, che proviene dalla terrazza del ristorante.
Mi avvio in quella direzione e prendo posto ad un tavolino. Guardo il mare. Allargo l'orizzonte del mio sguardo lungo tutta la costa nella luce meridiana e splendida del Circeo. Le onde increspano appena la superficie azzurra dell'acqua. Spaghetti con le vongole, aragoste, mazzancolle, triglie e gamberetti, vino bianco freddo del promontorio, gelato, anguria fresca: questo è il menù invitante, questi i sapori mediterranei. La sala aperta del ristorante sembra animarsi. Riconosco un noto giovane presentatore televisivo, che si muove tra i tavolini, in cerca di un posto. È in compagnia di una giovane donna indossante un pareo.

Silvio Minieri ha detto...

Ho bevuto il caffé e pagato il conto. Ho affittato anche un ombrellone ed una sedia sdraio ed ora vado in spiaggia. Ho aperto l'ombrellone e mi distendo sulla sdraio. Fa caldo ed ho tolto la maglietta. Una nuvola passa nel cielo e copre il sole, soffi di vento sollevano granelli di sabbia. Torna il sole. Contemplo l'azzurra superficie ondulata del mare.
Avverto un certo pomeridiano torpore e nel caldo assolato della spiaggia, mentre qualche colpo di vento lascia sbattere i merletti dell'ombrellone, chiudo gli occhi di fronte al mare, dove all'orizzonte, quando la luce è tersa, si può riconoscere il profilo dell'isola di Ponza.
Palme mosse dal vento, acqua verde trasparente del mare, fondali corallini, spiaggia bianca, alberi di cocco, paesaggio tropicale. Lento cullare... nell'amaca? Strane folate di fresco, ma soprattutto la polpa bianca del cocco.
Quasi un grido lontano inascoltato ed apro gli occhi. Odo voci e sento animazione in spiaggia. Folate di vento. Il sole è scomparso dietro le nuvole. Chiudo di nuovo gli occhi, ma sono sveglio. Mi risistemo sulla sdraio, dove mi ero abbandonato nel sonno del pomeriggio. Ad un'estremità della riva il venditore di cocco fresco si allontana con i cestini invitando all'acquisto del frutto tropicale.
Il sole è stato coperto dalle nuvole. I colpi del vento fanno sbattere i teli degli ombrelloni. Sulla riva del mare le onde si sollevano in cavalloni. Veli di sabbia si muovono rapidamente, creando strisce ondulate sulla rena piatta. La repentina scomparsa del sole e le folate di vento m'inducono ad infilare la maglietta. Pochi i frequentatori pomeridiani. Una radio trasmette senza sosta la cronaca di avvenimenti politici di questi giorni, densi d'incognite: i carri armati sono scesi nelle strade del più grande paese del mondo.
Mi alzo dalla sedia sdraio e mi dirigo verso la zona della piscina, dove si sente una maggiore animazione: si odono voci, risa e scherzi nell'acqua. Una ragazza con un costume a due pezzi rosso avanza sulla striscia di cemento nella mia direzione. Guardo la piccola bandiera dello stabilimento, che sventola in cima al pennone. La radio continua a trasmettere i commenti politici senza interruzione. Raggiungo il bordo della piscina. E' riapparso il sole.
Bambini giocano nella piscina per piccoli. Il più grandicello respinge col piede in acqua l'altro più piccolo, che protesta vivacemente. E' tornato il sole e quest'angolo della spiaggia è più riparato. Sento caldo e tolgo la maglietta. Poi mi tuffo nella piscina grande e compio alcune vasche a nuoto. Sul trampolino a pelo d'acqua un grasso signore di mezza età mostra alla nipote ragazzina come tuffarsi. Ridono entrambi. L'uomo si tuffa. La bambina lo imita.

Silvio Minieri ha detto...

Il signore di mezza età è risalito sul trampolino, sorride in maniera sincera, la piccola lo guarda e lo invita a tuffarsi. Rimango seduto a bordo vasca. Il sole si è inclinato sull'orizzonte.
Torno verso la sedia sdraio e l'ombrellone. La radio continua a trasmettere le cronache politiche. La voce del cronista trasmette in continuazione. Le nuvole coprono il sole. Di nuovo soffia la brezza dal mare. Rari frequentatori sono rimasti in spiaggia. Rimetto maglietta e calzoncini. Andrò su in paese.
Ora sono fermo al centro del vecchio abitato. Guardo la piazza. Da una casa ad un piano esce una donna, discende i due gradini ed è in strada. Mantiene un piatto ripieno coperto da un tovagliolo di stoffa color celeste. Gira l'angolo e scompare. Passo sotto un arco e, risalendo per un pezzo la statale, raggiungo uno spiazzo ordinato a "caffé" con tavolini bianchi, allineati e contornati da sedie bianche. Vado ad affacciarmi sul belvedere, per conquistare con un colpo d'occhio il panorama fantastico: la macchia mediterranea degradante verso il mare, tra cui si confonde il bianco di case e ville sparse lungo il pendio, fino a raggiungere il mare dallo splendido colore turchese punteggiato dal bianco di vele sparse.
Sono tornato a sedermi al tavolino ed ordino un gelato: una coppa di crema e cioccolato. E mentre gusto il gelato, vedo giungere una donna presumibilmente americana, accompagnata da due giovani. Corre ad affacciarsi al belvedere, per godersi l'affascinante spettacolo del mare del Circeo. Poi l’americana (ma perché americana e non inglese?) si volta verso i tavolini del caffé e guarda oltre verso il promontorio azzurro. Ammira il paesaggio: la luce estiva del giorno è diminuita, perché il sole è ormai calato oltre l'orizzonte. La giovane si muove incerta, torna a guardare il panorama del mare, infine si stacca dalla balaustrata del belvedere e torna indietro, sempre seguita dai suoi due giovani accompagnatori.
La giovane turista non si ferma in questo piccolo angolo di paradiso balneare mediterraneo. Si aggira tra i tavolini e si allontana, inseguendo nuove mete, forse perché costretta dalla limitatezza del suo tempo di vacanza a girovagare per potere tutto ammirare.
Io ho finito di consumare il gelato ed ora guardo la luce del giorno che sminuisce.
Sono calate le ombre della sera e si sono accese le luci bianche dei lampioncini tutt'intorno e si vedono le luci in basso sulla costa. Forse è ora di andare.
Tiro fuori i fogli, che erano contenuti nella busta così fortunosamente recuperata al “Caffé dei Fiori" in via Frattina, sul luogo di quell'incontro stranamente terminato prima del suo inizio e contemplo i caratteri della videoscrittura degli appunti sul pensiero di Aristotele stilati dalla defunta Anna Reggiani ed in possesso di Olga Petrovna. Ora mi sembra chiaro: quella donna ha voluto trasmettere con un sotterfugio quelle carte ad uno sconosciuto che desiderava incontrarla.
Perché? Si è voluta forse liberare di un peso? Oppure mi trasmette un messaggio? Che cosa significa quell'anomalo passaggio di fogli contenenti riflessioni sulla Metafisica? Vi è un senso occulto da svelare in questo accadimento o è un caso privo di ogni recondito significato da decifrare? Mi alzo dal tavolino ed abbandono il caffé. La mia giornata al mare è finita.

Silvio Minieri ha detto...

Capitolo 3

Ho rivisto Olga Petrovna, diverse settimane dopo, al caffé "La fontana luminosa", al Gianicolo. Questa volta sono arrivato prima io ed in anticipo di oltre una decina di minuti sull'orario dell'appuntamento.
La donna è arrivata con più di un quarto d'ora di ritardo, per cui io ho aspettato una mezz'ora circa da solo. Sebbene siano le sei e mezzo del pomeriggio, fa caldo a Roma in questo scorcio d'agosto. L'aria è umida ed afosa. Ho già quasi finito la granita di caffé. Imbrunisce, ma ancora non brillano luci nel vasto panorama della capitale, di cui si gode una meravigliosa vista quassù.
E' giunta di sorpresa. Mi ha toccato leggermente una spalla. Mi sono alzato, voltandomi verso di lei e l'ho salutata, abbozzando un baciamano.
La donna si è seduta accanto a me, ma abbastanza di fronte, perché potessi osservarla. Ha accavallato le gambe. E' vestita elegantemente con pantaloni e giacca bianchi. Ha una collana dorata attorno al collo ed orecchini d'oro. E' a capo scoperto. I capelli, verosimilmente tinti, sono neri. E' molto calma e mi sembra completamente a suo agio.
Guardo verso il cameriere lontano tra i tavolini e gli faccio un cenno con la mano.
Olga Petrovna guarda il panorama, poi si volta verso di me, mi guarda e comincia a parlare. Si scusa per la fretta con cui mi ha congedato la volta scorsa, ma dice che erano venuti a trovarla improvvisamente da Kiev alcuni lontani parenti, che non vedeva da decenni, ed altri suoi connazionali, stravolgendole orari ed abitudini e rendendole problematici gli impegni presi. Ripartiti gli ospiti, lei era finalmente libera.
Adesso tace.
Approfitto della pausa di silenzio sopravvenuta, per tirare fuori il foglio di quaderno, con l'appunto vergato a mano da Anna Reggiani ('Kde domov muj'), di cui le avevo detto per telefono e glielo consegno.
Osservando il mio gesto, si ricorda improvvisamente e ponendo mano alla sua borsa, estrae alcuni fogli, già piegati in due, che distende a mio beneficio e che poi mi porge.
Nel perfezionare lo scambio di carte, do un'occhiata alle fotocopie ricevute, poi le ripiego ed alzo lo sguardo su di lei. Evito di parlare degli appunti di Aristotele, visto che non sembra volerne fare cenno.
Dopo una pausa di silenzio, la donna comincia a parlare di Anna Reggiani. Mi racconta di come l'abbia conosciuta, avendo posto un'inserzione sul giornale, per la ricerca di un'assistente nella conduzione del suo laboratorio di taglio e cucito. Era molto brava, un'artista del tessuto. Mentre parla, lo sguardo di Olga Petrovna si vela di malinconia:

Silvio Minieri ha detto...

"Abbiamo passato insieme tutti quei pomeriggi d'inverno nel laboratorio, quando le lavoranti "staccavano" per il pranzo, prima d'intraprendere il turno serale. Vi fu pure un periodo di crisi, durante il quale la sera il laboratorio rimaneva inattivo.
Anna mi raccontava tutto di sé, meglio mi affidava tutta intera se stessa, la sua personalità di donna, sola e fragile. In quell'inverno, non abbiamo mai smesso di parlarci. Mi raccontava di Ponte, della sua vita da bambina, dei suoi studi trascorsi, del padre, della madre, del suo arruolamento in polizia, del suo matrimonio subito infelice e dei suoi amori, degli uomini.
Ha trovato in me una grande comprensione, che ricambiava il suo immenso affetto. Io ero interessata a tutto di Anna. Lei generosamente si offriva ed io ero enormemente grata del dono di sé, con cui mi gratificava."
Olga Petrovna si ferma.
Si avvicina il cameriere e raccoglie le nostre ordinazioni. Quando si allontana, Olga Petrovna riprende a parlare:
"Mi parlava anche dei fatti e degli avvenimenti, che aveva vissuto come ufficiale della Polizia Nazionale, soprattutto dell'estate ultima trascorsa a Ponte e della vicenda criminosa dell'uomo camuffato, di Brizi e Lisi..."
"Lisi?" interrogo, interrompendola.
"Sì, Eugenio Lisi" dice lei "oggi direttore di 'Il Quotidiano di Torino' in quella città, allora cronista di 'Teledauna' a Ponte."
Lei si è interrotta.
"Eugenio Lisi" dico io, più che altro per tenere vivo il discorso.
Olga Petrovna tace e mi fissa con i suoi occhi scuri, che mettono in risalto il pallore del viso.
"E' stato l'amante di Anna" dice poi tutto d'un fiato.
Il cameriere ha portato le bevande fredde. Afferro il mio calice e guardo il panorama. Bevo un sorso dell'orzata.
La luce morente del crepuscolo sta cedendo alla sera. Lumi scintillano un po' ovunque in basso. Ormai nel giardino del caffé non si distinguono bene le sagome sedute ai tavolini più lontani dal nostro. Poi si accendono i lampioni e l'ambiente intorno diventa più chiaro e distinto nella sera, anche il gioco delle ombre riflesse sulla ghiaia.
Olga Petrovna mi imita e sorseggia la sua bevanda al succo di limone.
"Ha detto anche un altro nome... " intervengo.
La donna mi guarda, cercando di capire attraverso la mia espressione i motivi della mia curiosità.
"Sì, Brizi" risponde e depone il suo bicchiere sul tavolino.
"L'ultimo amore di Anna, a Ponte" aggiunge e mi spia in volto. "Comunque" prosegue "se vuole saperne di più sulla vicenda dell'uomo camuffato, Lisi n'è il soggetto meglio informato."

Silvio Minieri ha detto...

Il suo atteggiamento mostra diffidenza, appena mascherata da indifferenza ed allora, per eliminare il disagio, dico:
"Mi parli ancora di Anna!"
La Petrovna s'illumina, irradiando un sentimento di fierezza e felicità.
"Era una donna unica in generosità: sebbene nella sventura, era in grado di ispirare fiducia e amore. Noi due siamo state felici. E' stato molto bello. Poi, sul finire di quell'inverno, cominciò ad allontanarsi da me. Frequentò sempre più Corradini, il direttore di una rivista femminile, le assenze si moltiplicarono ed un po' alla volta il nostro legame si allentò... "
"Non lavorava più con lei?"
"Ma il nostro non era un legame di lavoro!" esclama, guardandomi con un'espressione tesa.
Io mostro di non capire.
Lei aumenta la contrazione del volto.
"Era un legame diverso!" insiste in maniera sempre più impacciata. Compie una pausa, ha un'espressione sofferente. "Era un legame d'amore!" sbotta infine.
Non mi guarda in viso, mentre continua a raccontarsi con sforzo evidente: "Io ed Anna ci amavamo! Eravamo amanti!"
Finalmente la Petrovna si era confessata. Ora poteva parlare con più agio. Ma la sua espressione mutò repentinamente, forse inseguendo con il ricordo lo svolgersi infelice della sua storia. L'ombra di una pena comparve sul suo volto."
"Quando l'ha vista l'ultima volta?"
L'improvviso e contenuto silenzio della donna seduta di fronte a me, tradendone le emozioni, pure mascherate dalla compostezza della persona, esprimeva meglio di ogni altro atteggiamento il tormento di quella creatura.
"Se Anna mi avesse seguito, non sarebbe andata a finire così. Lei era un fuoco che ardeva e la sua fiamma dava calore e vita a tutto quanto intorno a sé, ma ero io l'olio che alimentava la combustione di quella fiamma. Senza il mio olio, il fuoco ha cominciato a perdere le sue faville, la fiamma si è andata affievolendo, perdendo le sue vampe ed il calore ha finito per disperdersi nel freddo e nel vuoto attorno a lei, che era il centro irradiante della passione della vita.
Non ho potuto tenerla presso di me. Addirittura è andata via con quei Corradini in montagna. Sapevo che il suo fuoco si era spento ed ero disperata. Anna si è allontanata definitivamente ed io ho smarrito la strada per giungere a lei. Adesso è morta."
L'osservazione finale della mia interlocutrice mi diede la sensazione che, per lei, a dieci anni di distanza, quella morte non si era ancora del tutto compiuta. In realtà, per Olga Petrovna, Anna Reggiani non aveva mai smesso di morire. Il presente per lei era continuamente legato a quel passato. Era come se la sua amica fosse morta il giorno prima.
"Quando seppe... "
"Subito" disse risoluta.

Silvio Minieri ha detto...

Restammo in silenzio diversi minuti. Io guardavo il panorama scintillante di luci e mi voltavo appena intorno, per guardare il gioco d'ombre riflesso sulla ghiaia dal chiarore dei lampioni. La donna accanto a me continuava a guardare nella mia direzione. Infine mi girai verso di lei e mi accorsi che aveva pianto. Il volto era bagnato di lacrime. Allora finalmente si asciugò il viso e continuò a guardarmi, attendendo un mio cenno per parlare.
"Ho letto gli articoli di Anna Reggiani su "Presenza Donna": mi sembrano ricchi di spunti di riflessione, di contemplazione, di filosofia della bellezza e dell'amore."
Mi sorpresi a riflettere che le ultime parole le avevo pronunciate, senza averle veramente pensate, ma quasi per adattarmi a quella storia, per armonizzarmi con l'unione di quei due spiriti.
La Petrovna si era ripresa ed aveva assunto un'aria più rassegnata: "Oh, Anna, si è sempre confrontata con la filosofia, sin da piccola, derivandole questo amore dal padre."
Continuò a parlare con animo sgombro da turbamenti, le parole sgorgavano via leggere. Rievocando l'infanzia dell'amica, sembrava tornare bambina anche lei. Raccontava piccoli episodi dei primi anni della fanciullezza di Anna Reggiani a Ponte, sorridendo a quei ricordi, come ne aveva sicuramente sorriso con la giovane compagna di lavoro, quando essa doveva averglieli confidati in quei pomeriggi e quelle sere d'inverno nel laboratorio deserto, le due donne sole ed amiche.
Riferiva espressioni e modi di dire dialettali di Ponte, così come li aveva a lei pronunciati la ragazza dauna, ridendo in anticipo del bizzarro effetto, che la sua imitazione potesse provocare nell'ascoltatore. La luce ed i colori di quella provincia del mezzogiorno, l'allegria mediterranea, la solarità meridiana del mare e del cielo, i profumi di mandorli e ulivi sembravano averla pervasa ed avvolta in un incanto di festa e di giovinezza.
Anna era figlia di una donna di antiche generazioni di Ponte e di un professore emiliano, andato a stabilirsi in quel comune, perché incaricato dell'insegnamento di lettere e filosofia al locale liceo. Dall'unione in matrimonio tra i due, oltre alla bambina, erano venuti al mondo anche due maschi, che dopo essere cresciuti avevano abbandonato Ponte.
Poi il padre era stato trasferito a Napoli, dove già prima si recava spesso, perché membro dell'Accademia di Filosofia. Il distacco aveva incrinato il rapporto fra i due genitori, che alla fine si erano legalmente separati, perché il padre aveva allacciato rapporti con un'altra donna. L'uomo portava spesso con sé la bambina, quando nei primi tempi si recava a Napoli, presso l'Accademia di Filosofia, dove la introduceva ai convegni di studio, per non lasciarla sola.
Ecco dov'era nato l'interesse per la filosofia di Anna Reggiani, che poi si era arruolata nella Polizia Nazionale. Aveva sposato un suo subordinato, vedovo e padre di due bambini piccolissimi, ma l'unione non era stata felice. Anna era uno spirito generoso e non poteva riservare il suo ardore per una persona soltanto. Da questa sua passione nasceva l'irrequietezza in amore, da Lisi a Brizi.
Nel caffé si era presentato tra i tavolini un suonatore di violino. Intonò una melodia dolcissima. Olga Petrovna tacque e rimase ad ascoltare in silenzio la musica, che ammaliava il cuore e rapiva l'anima. Io avrei voluto che il suono dolcissimo e struggente non finisse mai.

Silvio Minieri ha detto...

CAPITOLO 4
Provo a ripetere uno degli itinerari di Anna Reggiani per Roma. Scendo per via Nazionale, guardo le vetrine dei negozi, giungo in piazza Venezia, proseguo per Torre Argentina e poi continuo per corso Vittorio Emanuele. Pur camminando lentamente, sono arrivato all'altezza del Lungotevere. Sono le tre del pomeriggio. Entro in un caffé e prendo posto ad un tavolino del piano superiore, di fronte all'ampia vetrata, da cui si può osservare il ponte sul fiume. Ordino una spremuta d'arancia e rimango contemplare, fra le sculture sul ponte, la statua di marmo, sita sulla colonna di destra e raffigurante un angelo, il braccio levato in alto a sostenere una corona d'alloro.
Rievoco la vacanza d’inverno trascorsa dalla giovane a Rocca Peligna. Giulio, il figlio di Corradini, l'aveva introdotta in una compagnia di suoi giovani amici, ma quella comitiva pure festosa e sincera non era riuscita a scuoterla dalla sua ipocondria. La mattina delle Ceneri i Corradini erano andati via, ma lei si era voluta trattenere ancora qualche giorno. Erano rimasti pochi villeggianti. Il freddo aveva mantenuto intatto lo strato bianco dell'ultima nevicata, conferendo al paesaggio il tipico aspetto invernale di montagna. Anna Reggiani era andata fino a Pian delle Canestre, dove un campo di pattinaggio all'aperto, quasi un terrazzo naturale, dominava dall'alto il paese imbiancato di neve, che si arrampicava sulla valle di sotto. Un bambino di sette od otto anni cercava di pattinare, ma scivolava continuamente sul ghiaccio, ogni volta sorretto dal padre. Sulla pista non c'era nessun altro. Rimase a guardare le evoluzioni del piccolo. Poi discese per le stradine imbiancate di Canestre, il paese era deserto, il ghiaccio scintillava sui rami degli alberi riflettendo le luci della sera.
Rimetto a fuoco la statua dell'angelo illuminata dai raggi del sole pomeridiano. Guardo all'interno del locale, che mi appare buio, bevo un sorso d'aranciata. Oltre alle abitudini romane di Anna Reggiani, Olga Petrovna mi ha anche raccontato di quel viaggio fatto a Napoli dalla sua amica, dopo aver ritirato al Ministero dell’Interno alcuni documenti su Brizi.
Mi sembra di vederla. Sale sul treno, entra nello scompartimento vuoto e lo chiude, tirando la maniglia della porta di vetro verso di sé, si siede vicino al finestrino. Il treno parte, esce dalla tettoia di Termini e dopo aver percorso l’abitato sud della città, comincia a correre nella campagna. La giovane estrae dalla borsa alcuni fogli: sono le fotocopie di una piccola rassegna stampa, riferita all'anno 1963. Gli articoli riguardano tutti la stessa notizia di cronaca, ricavata da diverse testate nazionali: l'attentato al circolo delle Forze Alleate Mediterranee a Napoli. Sembrava essere stato opera del terrorismo internazionale antimperialista e non del terrorismo arabo. Era ricercato infatti un individuo con fattezze asiatiche, notato la mattina con una borsa nelle vicinanze dell'edificio. L'esplosione, avvenuta alle cinque del pomeriggio sul lungomare Caracciolo aveva provocato la morte di tre persone ed il ferimento di circa altre venti: tra i feriti nessun militare del circolo, a quell'ora poco frequentato. Lo scoppio aveva gravemente danneggiato la facciata del palazzo, mandando in frantumi tutti i vetri delle finestre nelle vicinanze e distruggendo il portone d'ingresso ed alcune autovetture parcheggiate lì davanti. La data del quotidiano del mattino di Napoli è quella del 9 maggio. Si possono leggere i nominativi dei morti: un ambulante, Amedeo Pezzullo, 56 anni, e due passanti, Laura Di Giovanni, di anni 32 e la figlia Gigliola Brizi, di anni 8. Il quotidiano riporta anche una fotografia dell'edificio colpito. La giovane solleva lo sguardo dalle carte e guarda fuori dal finestrino: il treno corre veloce attraverso la campagna.

Silvio Minieri ha detto...

Scendendo verso sud il paesaggio sembra mutare, ad un tratto il treno rallenta. Passano alcune case, sul pendio si raccoglie l'abitato di un paese e sullo sfondo si può osservare la distesa azzurra del mare. La viaggiatrice contempla incantata la trasparenza azzurrina dell'aria sfumata nella limpidità del cielo, avvolgente lo specchio lucente dell'azzurro del mare. Rivede Ponte, l'estate dell'anno prima, i colori perduti, la luce mediterranea e viene colta da un sentimento d'intensa nostalgia. Si presenta l'immagine della sua casa da bambina nel vecchio abitato di Punta del Gargano: si è svegliata nel pomeriggio avanzato nella stanza della casa in campagna. Fuori, la zia cerca di zittire i suoi piccoli cugini e dice ad uno di essi: "tu parle quande pisce la pecra". Risa e chiasso e poi silenzio ed ancora la zia: "vide! i mucche e i capre! i pecre!" "I galline!" fa eco una voce infantile. La bambina Anna Reggiani corre a piedi nudi sulla spiaggia e sugli scogli, saltando sulla roccia resa spugnosa dal mare.
Il treno si ferma e lei continua a contemplare l'incanto di luce azzurrina del mare ed i tenui colori sfumati nell'azzurro dell'aria e del cielo di quel tiepidissimo dicembre. Abbandonate le brume e la nebbia, il freddo e la notte, quando il cavaliere del Nord era giunto per la prima volta su queste sponde del Mediterraneo, doveva avere trattenuto il respiro di fronte allo spettacolo, che si presentava al suo sguardo, superiore ad ogni sua possibilità di meraviglia. Quando il treno riparte ed il paesaggio muta, scomparendo il mare e tornando la campagna e le colline, svanisce il ricordo e viene smarrito l'incanto.
Intanto nello scompartimento si è introdotta una donna: le due viaggiatrici si salutano con un cenno. Non più giovane, l'anziana signora che indossa un soprabito, lo toglie e lo ripone con cura sulla reticella metallica. Poi si siede accanto alla porta, restando con il cappello calzato. Estrae un libro dalla borsa, infila gli occhiali e si mette a leggere. Anna Reggiani dà ancora un'occhiata distratta alla compagna di viaggio, poi guarda fuori dal finestrino e fissa di nuovo il paesaggio che continua a scorrere, infine distoglie lo sguardo e chiude gli occhi.
Quando il treno comincia a rallentare e cominciano a sfilare le case della periferia di Napoli, con i panni appesi ai balconi, la donna col cappello accende una radiolina e mentre il treno inizia il suo ingresso in stazione, si sente una voce femminile che canta, accompagnata dalla musica; poi la musica termina e la voce della cantante tace: il treno si ferma di botto.

Silvio Minieri ha detto...

Anna Reggiani scende e si avvia sotto la pensilina, cammina assorta nei suoi pensieri, si ritrova nella stazione sotterranea della metropolitana, sale automaticamente sul vagone e prende posto a sedere. Quando il convoglio ferroviario parte, alza gli occhi e le sembra d'intravedere, in mezzo ad una piccola folla, la compagna dell'ultimo tratto di viaggio: ha improvvisamente messo a fuoco lo sguardo penetrante lanciato dai due occhi celeste chiaro. Scende alla stazione di Mergellina, attraversa la strada e si dirige verso le palme di viale Elena, infine giunge sul lungomare. L'aria della mattina di dicembre è più che tiepida: dopo aver camminato per un lungo tratto, sente caldo; nel cielo, a tratti coperto, diradandosi qualche nube, è tornato a splendere il sole. Anna Reggiani però non si toglie il lungo soprabito scuro, che le scende fino alle caviglie, rendendo più snella la sua figura slanciata e sottile alla vita.
Giunge infine dinanzi al Comando Alleato, dove si ferma ad osservare la facciata dell'edificio, su cui si può scorgere il leggero rilievo quadrangolare di una fila di sei colonne. Rigature verticali rappresentano le scanalature delle colonne, terminanti in alto con capitello corinzio e sormontate di traverso dalla cornice cordata dell'architrave. Al di sopra si legge la scritta, incisa su pietra: Anno Domini MCMXII. A lato del portone d'ingresso, nell'occasione chiuso, su una targa in marmo, è incisa in caratteri rossicci la sigla del Comando Alleato del Sud Europa. Un venditore di palloncini, che regge i numerosi grappoli di sfere di plastica multicolori, legati attorno alla cintura e sospesi nell'aria fin oltre la sua testa, si è incamminato in direzione del viale d'ingresso della Villa Comunale, ancora non molto affollata in quella domenica mattina.
Anna Reggiani preme il pulsante del semaforo pedonale ed attende che il traffico di automobili si fermi, per potere attraversare la strada. Giunta dall'altra parte si appoggia col bacino e col busto alle barre metalliche parallele, che si alternano col parapetto in pietra e rimane a fissare il mare. In quelle acque i raggi del sole tramontano, a Marina di Ponte il sole sorge dal mare ed al pomeriggio, quando si nuota verso il largo, i raggi dorati colpiscono il bagnante solo se si volta a galleggiare sulla schiena, con gli occhi chiusi per non essere abbagliato. Sulla barriera di scogli, un uomo a piedi nudi e con i pantaloni arrotolati alla caviglia procede incerto, scrutando tra le pietre e curvandosi per meglio osservare ed eventualmente raccogliere frutti di mare. Anna Reggiani si gira verso destra e posa in alto lo sguardo sulla collina di Posillipo, poi volta le spalle e si allontana in direzione di Santa Lucia.
Cammina a lungo, giunge alla stazione di una funicolare, con cui sale al Vomero, dove in breve raggiunge una villa, la Floridiana. Attraversa lo spazio aperto del cancello d'ingresso e s'inoltra nel viale, che percorre fino in fondo allo spiazzo, dove si siede su una delle panchine libere. "Adriana, guarda come nuoto!" grida il bambino salito in piedi sulla panchina, mulina le braccia ed ha la testa sporta in avanti. La sorella più grande è distratta e guarda altrove. Seduti su un'altra panchina, due giovani ridono e scherzano. "Non ti ho dato il permesso di toccarmi" dice lei piccata. "Tu mi piaci" risponde lui ed allunga le mani. Anna Reggiani si alza, si affaccia sul belvedere: si vedono i tetti e le terrazze delle case degradanti sul pendio della collina; immediatamente sotto e vicina allo sguardo è la terrazza deserta di una casa; alcune sedie bianche sono sistemate attorno ad un tavolino dello stesso colore e in un angolo è accostata una piccola bicicletta; sullo sfondo il mare azzurro cupo appare agitato. Si alza una improvvisa spirale il vento, che solleva a tratti la polvere da terra, lasciandola turbinare nell'aria, mentre nel cielo il sole appare e scompare tra le nuvole.

Silvio Minieri ha detto...

L'altro rassicurante le cinge le spalle con il braccio ed appoggia una mano sulla sua spalla, con lieve pressione. Poi si discosta e, passando tra le sedie, si avvia verso la signora dagli occhi celesti. Ma nel compiere il gesto, incespica e fa ruzzolare una sedia, provocando un piccolo fracasso. I cinque in cattedra guardano verso il giovane ed Anna Reggiani, che si è alzata per andarsene.
"Signorina, la prego! Non fate chiasso! C'i interrompete!" esclama, rimproverandola, il conduttore del dibattito. "Non sono stata io!" mormora Anna Reggiani, lei stessa stupita di quanto dice, e torna a sedersi, seguita dallo sguardo dell'altro. Poi questi, preso atto della riacquistata compostezza del consesso, restituisce la parola al suo vicino.
Allora il presidente prende la parola: "Colleghi esimi, in conclusione nell' 'Eutifrone' Socrate incontra l'indovino del demo di Prospalta al Portico del Re, residenza ufficiale dell'arconte, che decideva sui preliminari di processi a cittadini ateniesi accusati d'empietà. Lì Eutifrone si è recato per sporgere accusa di omicidio contro il padre e, interrogato da Socrate, risponde di ritenere giusta e santa la sua azione. Ma Socrate mette in forse, con la sua dialettica negativa, le convinzioni di Eutifrone, demolendo le forme della vecchia religione degli dèi, che anche loro disputano del giusto e dell'ingiusto, riflettendo in merito le umani contese. Che cosa dunque il Sacro?"
Nel sentir porre l'interrogativo, Anna Reggiani ha modo di riflettere che quello è il titolo del convegno ed infatti, alle spalle dei partecipanti, campeggia la scritta:
"Che cosa è il Sacro?"
Il presidente riprende: "Il Sacro. Alla fine, Eutifrone elude la domanda." Anche lui prende il testo e legge:
" - Invece vedo che sei sicuro di sapere ciò che è santo e ciò che non è. Dimmelo, dunque, mio ottimo Eutifrone, e non celarmi quel che tu pensi che sia.
- Un'altra volta, Socrate; ora ho fretta e devo andar via."
Solleva la testa dal libro e pone la domanda:
"Ma possiamo noi eludere la domanda? Possiamo noi lasciare insoluto il dubbio socratico?"
Il presidente restituisce la parola all'oratore ultimo, che ha fatto cenno di voler intervenire e che ora si alza in piedi e legge un passo del dialogo platonico in questione:
"Ebbene, Socrate, a me pare che la santità e la pietà siano quella parte della giustizia che ha per oggetto la cura degli dèi..."
"… quella parte della giustizia? ..." interviene a sottolineare il presidente in tono dubitativo, mentre l'altro si risiede. Nessuno risponde.
Il giovane commesso è entrato reggendo un vassoio, su cui sono posate una teiera, una zuccheriera, una tazza, un bicchiere di vetro, un piattino con limone e cucchiaino ed altro piattino con biscotti. Si avvicina alla signora con i capelli rosso rame e serve il tè.

Silvio Minieri ha detto...

"Dove la parola del pensiero viene meno, soccorre il pensiero poetante:
- E tu onore di pianti, Ettore, avrai
ove fia santo e lacrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà sulle sciagure umane."
Con la citazione del Foscolo, il presidente chiude il convegno e toglie la seduta. I convenuti si ritirano per una porta laterale. Anna Reggiani rimane a guardare la donna con i capelli rosso rame, che rovescia la testa all'indietro, bevendo il tè, mentre il commesso assiste in piedi accanto a lei; poi si alza ed abbandona l'aula, uscendo da una porta del fondo.
Sono andati tutti via ed Anna Reggiani è rimasta sola, allora si alza e si avvia nel corridoio, dove sente il bisbiglio di alcune voci dietro la porta, davanti a cui sta passando. Si ferma e cautamente, si piega ad origliare. Una voce sussurra: "A seguito di questo colloquio, pare che Eutifrone abbia ritirato l'accusa contro il padre, secondo quanto testimonia Diogene Laerzio."
La voce si spegne. Ora è silenzio. Anna Reggiani si rialza e prosegue, gira l'angolo del corridoio e viene attirata da un respiro che sente filtrare attraverso un'altra porta. Si avvicina. Il respiro diventa più distinto. Accosta l'orecchio alla porta. Il respiro è affannoso. Lei impugna la maniglia e poi spalanca di colpo la porta. L'uomo che ansima, agitandosi su una donna distesa sotto di sé, si volta di scatto e la guarda in viso. Anna Reggiani riesce a scorgere anche il viso della donna. Rimane un istante attonita di fronte a quella scena e poi fugge via. Scende di corsa le scale ed è fuori dal tempietto greco, di cui si volta a guardare sbigottita il peristilio, prima di rifugiarsi nel boschetto circostante.
Ha l'affanno per la corsa, ma è giunta ai margini del boschetto fino ad un angolo appartato del belvedere. La luce del giorno è crepuscolare. L'uomo in livrea l'invita ad entrare nel grande ascensore vetrato. Anna Reggiani s'infila dentro. Le porte si chiudono e l'ascensore discende dalla collina fino in riva al mare. La cabina di vetro si ferma, le porte si aprono, lei scende e cammina a lungo. Affretta il passo, ma è inseguita da quell'ansimare e da quel volto. L'uomo che si è voltato a guardarla è Ermanno Brizi. La donna distesa sotto di lui era lei stessa. Ha paura. Fugge.
E' giunta nei pressi di piazza Plebiscito. Nella luce della sera passa una giovane somala, che la fissa in volto.
In un vicolo poco illuminato un bambino sta accovacciato vicino ad un muro. Un donna grassa esce da una porta e grida: "Eilà eilà ... cheffà... vienaccà... vailà oilà…!"
Anna Reggiani ha raggiunto la marina. Due giovani dalla pelle olivastra e con capelli e baffi neri si fronteggiano a distanza. In maniera alternata, uno dei due si abbassa, piegandosi sulle gambe, proprio mentre l'altro si rialza e viceversa. Dialogano gridando:
"Tacalatù, macalì? Tacalatù, macalì?"
"Tacalatù! Tacalatù!"
"Macalì! Macalì!"

Silvio Minieri ha detto...

Anna Reggiani continua per ore a vagare per le strade. Ha male ai piedi per il lungo camminare. Infine imbocca il rettifilo e si avvia in direzione di piazza Garibaldi. Ha la gola secca e si ferma davanti ad un chiosco, dove ordina e beve un spremuta di arance. Poi raggiunge la stazione centrale, dove sale sull'ultimo treno della sera diretto da Napoli a Roma. Entra nello scompartimento. Il suo posto vicino al finestrino è occupato da un'anziana signora bassa e grassottella. Risponde in spagnolo. Usa spesso i termini "donde", "mañana" e "señora". Seduto di fronte a lei vi è un uomo molto anziano, presumibilmente il marito, che viene zittito dalla moglie, allorché tenta d'intromettersi nel discorso. Infine Anna Reggiani si sistema nel posto accanto al corridoio. Chiude la porta vetrata dello scompartimento, si toglie a metà le scarpe e si massaggia brevemente i piedi pesti e doloranti. Allunga le gambe e si distende.
Il treno parte. La signora grassottella le domanda dove è diretta. Lei risponde che deve scendere a Roma. L'altra sospira e spiega che il suo viaggio è molto più lungo fino in Spagna a Santander, almeno così capisce Anna Reggiani. Dopo un po’ la donna chiude gli occhi, per prendere sonno. Anche lei chiude gli occhi. Sopraggiunge il volto di Brizi ed il suo respiro affannoso. Poi Anna Reggiani si addormenta.
Una mano le sfiora il viso, poi le dà un leggero colpo alla guancia. Lei apre gli occhi e scorge il volto del ferroviere: "Il treno deve andare in deposito, signora: deve scendere." Anna Reggiani si scuote, raccoglie la borsa, con un po' di fatica s'infila meglio le scarpe; poi scende dal treno e si avvia lentamente sulla banchina deserta, percorrendola fino in capo al binario. Quindi, invece di proseguire verso l'atrio della stazione, si gira su sé stessa e torna lentamente indietro, giungendo fino all'estremo limite, dove ha termine la pensilina.
In quel tratto buio finisce la pavimentazione della banchina ed inizia la massicciata. Anna Reggiani è immobile ed ha lo sguardo perduto nel vuoto davanti a sé. Non vede il buio, vede la scogliera sul mare di Marina di Ponte, in una giornata di sole, falba. "Anna!", le grida felice e sorridente la mamma seduta sugli scogli. "Vieni! Vedi, papà è tornato!" Anche il padre sorride, accanto alla madre. Lei si toglie gli zoccoli e saltando audacemente sugli scogli, comincia a correre incontro ai suoi genitori.
Il ferroviere Borracini, prima di smontare dal suo turno di servizio, deve compiere un'ultima operazione. Alle zero e quarantadue è previsto l'arrivo del rapido da Milano sul binario dodici e gli tocca andare ad agganciare la motrice alla carrozza di fondo del diretto giunto da Napoli, in modo da liberare il binario d'arrivo. Guarda l'orologio: è mezzanotte e venti. Borracini è contento. Nella mattinata si è recato al Ministero dei Trasporti, in piazza della Croce Rossa, dove è riuscito a conferire con un funzionario dell'Azienda Ferrovie. Il funzionario gli ha assicurato che la tanto desiderata promozione è finalmente arrivata, con una decorrenza tale da permettergli l'incameramento di una cifra ragguardevole di arretrati. Finalmente può realizzare il progetto di aiutare la figlia ad arredare casa, una volta sposata.

Silvio Minieri ha detto...

Mentre nell'atrio, in prossimità delle banchine dei binari d'arrivo, cammina in direzione del carrello, da cui deve raccogliere la lampada, per poi dirigersi al binario dodici, ha distrattamente notato una figura femminile, avvolta in un soprabito scuro lungo fino alla caviglia, che lentamente sta giungendo in fondo al binario. Ora torna indietro ed imbocca la banchina del binario dodici, guarda di nuovo l'orologio. Sono le dodici e venticinque: in un paio di minuti arriverà alla motrice e per le dodici e trenta avrà compiuto l'operazione di completamento manuale di aggancio della motrice alla carrozza di fondo del Roma-Napoli. Mentre avanza lungo il binario, guarda in fondo, dove gli sembra di vedere una figura vestita di scuro, ma non riesce a distinguere bene, perché in quel punto termina l'illuminazione ed inizia la zona buia.
L'immagine della figura vestita di scuro sfuma nella sua coscienza, in cui è presente e prevale il pensiero della sua promozione, comunicatagli negli uffici del Ministero. Aguzza lo sguardo, ma non discerne nulla. Giunge in fondo al binario. Guarda in direzione del buio, alza la lampada, per vedere meglio, ma non riesce ancora a distinguere nulla. Allora si affretta per compiere la sua operazione; poi ha un attimo di esitazione. Infine si dirige verso il telefonino ed esegue la comunicazione di servizio.
Il convoglio sfila prima lentamente e poi in accelerazione, liberando il binario. Sono le dodici e trentacinque. Borracini può lasciare il posto ed andarsi a cambiare, per smontare dal servizio. Se non si cambia, come è invece solito fare, può raggiungere casa prima dell'una. Abita in uno di quei caseggiati, non molto lontani dalla stazione e facilmente raggiungibili a piedi.
Ma un'inquietudine sottile lo trattiene in fondo a quel binario. Tra qualche minuto giungerà il rapido da Milano ed automaticamente sarà semaforo verde per l'ingresso in stazione. Borracini guarda verso l'oscurità quasi fosse in attesa di un segnale. Silenzio. Infine si decide a scendere dalla banchina, per fare qualche passo sulla massicciata, onde scrutare meglio nel buio. E nel mettere il piede sui sassi, inciampa e scivola, ma riesce a non cadere del tutto, appoggiando la mano sinistra sul pavimento della banchina. Poi riprende l'equilibrio e si china a guardare, abbassando la lampada, che stringe nella destra. Sono due scarpe da donna con i tacchi alti: le prende e le appoggia allineate sotto l'ultima colonna della pensilina. Quindi deciso si avvia lungo la massicciata.
Ha percorso duecento metri, quando, al chiarore delle luci al neon dell'illuminazione pubblica della strada che costeggia il deposito dei treni, ha la visione di una donna vestita con un lungo abito scuro, che avanza nel buio della notte. Borracini alza la lampada ed illumina un viso, che appare pallidissimo: l'espressione della giovane donna è stravolta, lo sguardo è sbarrato nel vuoto. Colpita in viso dalla luce della lampada, la donna sembra riscuotersi ed ora fissa negli occhi Borracini. Lo sguardo della donna è allucinato. Il ferroviere ha un attimo di smarrimento, ma l'altra con scatto improvviso si volta e comincia a correre agilmente sulla massicciata a piedi nudi. Borracini prima esita, poi comincia ad inseguirla, correndo anche lui ed iniziando a gridare di spostarsi, perché sta arrivando il treno.

Silvio Minieri ha detto...

Poco prima Anna Reggiani ha visto svanire l'immagine della scogliera di Marina di Ponte e si è ritrovata ferma sulla banchina di fronte ai binari della stazione ferroviaria di Santa Maria di Fovea. Osserva il convoglio muoversi e vede sfilare in successione davanti a sé i vagoni del treno. Il padre, affacciato al finestrino di una carrozza, le ha gridato che la prossima volta la porterà via con sé. Lei si è staccata dalla madre, che si è tenuta a distanza, ed ha cominciato a correre nella stessa direzione del treno. "Papà, papà!", grida. Il treno si allontana e scompare. Anna torna indietro lentamente. Intorno a sé è il buio. Ma all'improvviso è colpita da una luce violenta. Alza lo sguardo davanti a sé e scorge uno sconosciuto in divisa, che emerge dal buio. Dove si trova? Che cosa è accaduto?
Anna Reggiani volta le spalle e comincia a correre, per sfuggire a quella luce, che sembra averle rivelato un vuoto orrore dentro di sé. Corre, corre disperatamente. Uno scalpiccio alle sue spalle sempre più insistente e poi quelle grida le rivelano che qualcuno la insegue. Corre ed accelera, corre a perdifiato e non sente le trafitture ai piedi. Ma ode un fischio, poi un rumore crescente e sempre più assordante; quindi, una minacciosa sagoma scura, ingrandendosi in un baleno, incombe ed un fascio di luce la investe. Allunga le braccia davanti a sé, protendendo il capo ed il busto in avanti, per proteggersi da quel pericolo imminente, che con acuto stridore di ferraglia la sovrasta ed abbaglia.
Anche il ferroviere Borracini ha sentito il fischio del treno, che col semaforo verde prosegue la corsa per entrare in stazione. Vede distintamente davanti a sé la donna in soprabito scuro correre, investita dal fascio di luce dei fanali del locomotore sopraggiungente. La figura scura si piega in avanti, mentre lui sente l'acuto rumore metallico dell'improvvisa lunghissima frenata sulle rotaie. Non basta. Un urto, un colpo fortissimo ed irresistibile e la donna è violentemente sbalzata in avanti. Borracini si lancia di fianco e rotola sulla massicciata, mentre la motrice e le carrozze del treno gli sfilano a lato e si vanno a fermare in un assordante stridore.
Nella sciagura di quell’istante, l’angelo divino è sceso accanto al corpo riverso della giovane donna dalla vita spezzata e ha trascinato via con sé in un battito d’ali lo spirito perenne di lei nell’azzurro notturno del cielo, nell’infinito più distante dal tempo caduco.