martedì 16 aprile 2024

Commento

 

          

            Un amico invisibile




5 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

UN AMICO INVISIBILE
Nota illustrativa della storia di Gionata

“Tornato nel salone d’ingresso, il visitatore avrebbe individuato, davanti alla sola finestra da cui penetrava la poca luce che rischiarava l’impasse, seduto al tavolo, un individuo anziano avvolto in una veste da camera, il quale, per tanto che il visitatore avesse sbirciato sopra le sue spalle, stava scrivendo quello che ci accingeremo a leggere, e che talora il Narratore riassumerà, per non tediare troppo il Lettore.
Né si attenda il Lettore che il Narratore gli riveli che si sarebbe stupito nel riconoscere nel personaggio qualcuno già nominato in precedenza, perché questo racconto (iniziando proprio ora) nessuno vi è stato mai nominato prima, e lo stesso Narratore non sa ancora chi sia il misterioso scrivente , proponendosi di apprenderlo (in una con il Lettore) mentre entrambi curiosano intrusivi e seguono i segni che la penna di colui sta vergando su quelle carte.”
È la fine del primo capitolo del romanzo di Umberto Eco: “Il cimitero di Praga” (2010).
Viene descritto l’interno di una bottega di rigattiere, in cui si introduce un visitatore, che poi sale al piano superiore, un salone e una stanza attigua. E poi tornato nel salone, scorge un anziano scrittore, nell’atto di scrivere il romanzo.
L’autore del testo (Eco), nei panni del visitatore, introduce il Lettore ed egli stesso, come Narratore, quali spettatori nella storia da raccontare. La motivazione è una ricerca della propria personalità, diciamo così, e non altro, per non sviare il nostro discorso sul tema, consistente nella illustrazione della storia di Gionata. Per non lasciare in sospeso quanto detto prima, aggiungo che nel risvolto di copertina del romanzo di Eco, si legge “può accadere che l’unico personaggio inventato di questa storia sia il più vero di tutti.” Diciamo che Gionata è un personaggio vero, alla stessa guisa di quello di “Il cimitero di Praga”, ossia l’autore, come sempre accade.
La prima considerazione è che l’età di Gionata lettore non corrisponde a quella di Gionata personaggio dell’autore L’anonimo di Malta, come dire che l’età dell’autore, che è anche lettore della propria opera, è sempre disallineata rispetto all’età (il tempo) del suo personaggio. Infatti, nella storia di Gionata, come si evidenzia, non si riesce mai a cogliere il “tempo”, l’attimo presente tra una storia di vita e una storia narrata, pur sempre nella stessa realtà fittizia della narrazione.
Comunque, al di là di riflessioni sull’arte in genere e l’arte letteraria in particolare, qui vogliamo dare un ordine razionale alle composizioni e scomposizioni di piani di lettura di un testo, ossia il libro di Diego Benevoluto, autore di “Scendendo la scala del destino”, di cui peraltro non abbiamo traccia della trama, in verità ne abbiamo una esile: il risvolto di copertina. E quando, nella lettura, Lafleur tenta di rintracciare un particolare della storia, in quello sdoppiamento tra un Gionata vero e un Gionata fittizio, e sfogliando sommariamente il libro, quasi volerne comprendere la trama, assomiglia ad un uomo (il filosofo?) e agli sforzi intellettuali che compie, quando tenta di uscire dal proprio tempo, l’età della Storia, in cui si trova a vivere, per risalire al suo paradigma, il modello astratto di Storia, il Destino di tutte le storie.

Silvio Minieri ha detto...

Intanto, per cominciare, domandiamoci: chi è Diego Benevoluto? È il fratello di Eloisa Benevoluto. Ma no! Possiamo confrontare con il pezzo antologico “Il labirinto di vetro”, un estratto dell’uomo differito, libro terzo: “I barbieri invisibili”.
“Io sono nella biblioteca di Ponte: una fortezza a picco sul mare. E nelle sala lettura, ora leggo "Il labirinto di vetro" di Eloisa Benevoluto, la congiunta di Diego, l'autore di "Scendendo la scala del destino", il libro dove si citano i testi immaginari: "Nella profondità dello specchio" e "Il labirinto di vetro". Ed ecco: Livia! Chi è Livia, mi domando d'un tratto, sorpreso. Livia? È un personaggio del libro di Diego Benevoluto, intitolato: "Scendendo la scala del destino".
Perché, domandiamoci, invece di tracciare brevi schizzi di ognuna delle storie, quella di Gionata e quella di Livia, non le ho compiutamente raccontate, segnandone solo il destino? Il racconto di Gionata è il racconto della fine della sua giornata, la sua vita, ed accenti di questo passaggio dell’esistenza si trovano in un’altra mia opera: “Morte di un professore di zoologia”. Ma soprattutto “Gionata” è il pretesto, almeno si rivela tale, per esprimere alcune riflessioni sul pensiero di Nietzsche su Platone e la storia della filosofia, tratte da letture mie dell’epoca: “Il crepuscolo degli idoli.”
“Come il “mondo vero” finì per diventare una favola. Storia di un errore.” È il titolo di un indice in 6 punti, che tracciano la storia della filosofia (errore, non verità).
“1. Il mondo vero raggiungibile per il saggio, il pio, il virtuoso, – egli vive in esso, egli è esso. (La più antica forma dell’idea, relativamente intelligente, semplice, convincente. Riscrittura della proposizione «io, Platone, sono la verità».)
2. Il mondo vero, per adesso irraggiungibile, ma promesso per il saggio, il pio, il virtuoso («per il peccatore che fa penitenza»). (Progresso dell’idea: essa diventa più sottile, più capziosa, più inafferrabile, – diventa donna, diventa cristiana…)
3. Il mondo vero, irraggiungibile, indimostrabile, impromettibile, ma già in quanto pensato una consolazione, un obbligo, un imperativo. (L’antico sole in fondo, ma nella nebbia e scepsi; l’idea divenuta sublime, pallida, nordica, königsberghiana.)
4. Il mondo vero – irraggiungibile? Comunque non raggiunto. E in quanto non raggiunto anche sconosciuto. Perciò nemmeno consolante, salvifico, vincolante: a che cosa potrebbe vincolare qualcosa di sconosciuto?… (Grigio mattino. Primo sbadiglio della ragione. Canto del gallo del positivismo.)
5. Il “mondo vero” – un’idea che non è più utile a nulla, nemmeno più vincolante, – un’idea divenuta inutile, superflua, quindi un’idea confutata: eliminiamola! (Giorno chiaro; prima colazione; ritorno del buon senso e della gioiosa serenità; vergogna di Platone; confusione indiavolata di tutti gli spiriti liberi.)
6. Abbiamo eliminato il mondo vero: quale mondo resta? forse quello apparente?… Ma no! con il mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente! (Mezzogiorno; momento delle ombre più corte; fine dell’errore più lungo; punto più alto dell’umanità; INCIPIT ZARATHUSTRA.)”

Silvio Minieri ha detto...

L’Idea, il mondo vero di Platone, attraverso il cristianesimo, Kant e il positivismo, scompare. Dio è morto ovvero il mondo platonico-cristiano ereditato dalla civiltà dell’Ottocento non esiste più. Fine dell’errore, Nietzsche, culmine del nichilismo.
Non potevo imbonire il lettore, inserendo un testo di questo tipo nella storia di Gionata, un settuagenario, un pensionato, seduto su una panchina, che legge un libro, quello dell’anonimo di Malta, dove si parla di Gionata, un personaggio che sembra quasi riflettere la storia del lettore, un gioco degli specchi e degli specchietti, come nel finale di “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcìa Màrquez.
“Aureliano non era mai stato così lucido in nessun atto della sua vita come quando dimenticò i suoi morti e il dolore dei suoi morti, e tornò a sbarrare le porte e le finestre con le crociere di Fernanda per non lasciarsi turbare da alcuna tentazione del mondo, perché allora sapeva che nelle pergamene di Melquíades era scritto il suo destino. Le trovò intatte, tra le piante preistoriche e le pozze fumanti e gli insetti luminosi che avevano bandito dalla stanza ogni vestigio del passaggio degli uomini sulla terra, e non ebbe la serenità di portarle alla luce, ma in quel luogo stesso, in piedi, senza la minima difficoltà, come se fossero state scritte in spagnolo sotto lo splendore accecante del mezzogiorno, come a decifrarle a voce alta. Era la storia della famiglia, scritta da Melquiades perfino nei suoi particolari più triviali, con cent'anni di anticipo. L'aveva redatta in sanscrito, che era la sua lingua materna, e aveva cifrato i versi pari con la chiave privata dell'imperatore Augusto, e quelli dispari con chiavi militari lacedemoni. La protezione finale, che Aureliano cominciava a intravedere quando si era lasciato confondere dall'amore di Amaranta Ursula, si basava sul fatto che Melquíades non aveva ordinato i fatti nel tempo convenzionale degli uomini, ma che aveva concentrato un secolo di episodi quotidiani, di modo che tutti coesistessero in un istante. Affascinato dalla scoperta, Aureliano lesse ad alta voce, senza salti, le encicliche cantate che lo stesso Melquíades aveva fatto ascoltare ad Arcadio, e che erano in realtà le predizioni della sua esecuzione, e trovò annunziata la nascita della donna più bella del mondo che stava salendo al cielo in corpo e anima, e conobbe l'origine di due gemelli postumi che rinunciavano a decifrare le pergamene, non soltanto per incapacità e incostanza, ma perché i loro tentativi erano prematuri. A questo punto, impaziente di conoscere la propria origine, Aureliano passò oltre. Allora cominciò il vento, tiepido, incipiente, pieno di voci del passato, di mormorii di gerani antichi, di sospiri di delusioni anteriori alle nostalgie più tenaci. Non se ne accorse perché in quel momento stava scoprendo i primi indizi del suo essere, in un nonno concupiscente che si lasciava trascinare dalla frivolezza attraverso un altipiano allucinato, in cerca di una donna bella che non lo avrebbe fatto felice. Aureliano lo riconobbe, incalzò i sentieri occulti della sua discendenza, e trovò l'istante del suo stesso concepimento tra gli scorpioni e le farfalle gialle di un bagno crepuscolare, dove un avventizio saziava la sua lussuria con una donna che gli si dava per ribellione. Era così assorto, che non sentì nemmeno il secondo assalto del vento, la cui potenza ciclonica strappò dai cardini le porte e le finestre, svelse il tetto dell'ala orientale e sradicò le fondamenta.

Silvio Minieri ha detto...

Soltanto allora scoprì che Amaranta Ursula non era sua sorella, ma sua zia, e che Francis Drake aveva assaltato Riohacha soltanto perché loro potessero cercarsi per i labirinti più intricati del sangue, fino a generare l'animale mitologico che avrebbe posto termine alla stirpe. Macondo era già un pauroso vortice di polvere e macerie, centrifugato dalla collera dell'uragano biblico, quando Aureliano saltò undici pagine per non perder tempo con fatti fin troppo noti, e cominciò a decifrare l'istante che stava vivendo, e lo decifrava a mano a mano che lo viveva, profetizzando sé stesso nell'atto di decifrare l'ultima pagina delle pergamene, come se si stesse vedendo in uno specchio parlante. Allora saltò oltre per precorrere le predizioni e appurare la data e le circostanze della sua morte. Tuttavia, prima di arrivare al verso finale, aveva già compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, perché era previsto che la città degli specchi (o degli specchietti) sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell'istante in cui Aureliano Babilonia avesse terminato di decifrare le pergamene, e che tutto quello che vi era scritto era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent'anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.”
Gionata non stava leggendo le encicliche cantate, che Melquiades aveva redatto in sanscrito, cifrando i versi pari con la chiave privata dell'imperatore Augusto e quelli dispari con chiavi militari lacedemoni. Lo specchio parlante era l’anonimo di Malta, autore del libro intitolato: “Riflessi d’oro nell’acqua”. E l’immagine della pallida luce del sole appena velato da nubi, riflessa nella pozzanghera, era l’immagine della sua vita che si avviava nei colori sfumati dell’autunno al suo destino finale.
Ma il mondo di Gionata non è il mondo vero, né quello apparente, il pensionato settuagenario Gionata è soltanto il protagonista di una storia narrata da Benevoluto, un libro che Lafleur legge in solitudine, nella sua camera di albergo, nel silenzio della notte. E che accade? “Improvvisi e violenti colpi alla porta mi destarono dall'estasi della lettura. Mi volsi verso il buio della porta. Il cuore cominciò a battere violentemente, mentre sentivo scendere il sangue dalla testa. Ero paralizzato dalla sorpresa! Soprattutto per la violenza dei colpi. […] Ma chi era stato? E perché, al di là della sorpresa, avevo avuto paura? Quasi fossi stato colto nella flagranza di un'attività illecita, contraria alle buone norme del vivere civile, come per esempio fare un rumore infernale in ore notturne, mentre tutti riposano. Pensai al gran baccano degli spiriti liberi di nietzscheana invenzione e repressi un riso isterico prorompente nel petto.”
Di quei violenti colpi alla porta, un segnale (irreale?) inconscio, sarà data convincente spiegazione nel seguito della storia di Lafleur, dov’è plasticamente descritto il baccano “indiavolato” degli spiriti liberi, nel finale dei “Barbieri invisibili”. E il turbamento che quella scena “infernale” provoca, sebbene con un finale purificatorio e liberatorio, rispecchia senz’altro il nietzschiano rossore di vergogna attribuito a Platone. Io credo, infatti, che le gote infiammate non siano quelle di Platone, ma quelle di Nietzsche, se pensiamo al baccano indiavolato che il filosofo scatenò, in casa dei coniugi Fino, dove alloggiava a Torino, la notte in cui la sua pazzia divenne manifesta.

Silvio Minieri ha detto...

Ma forse sono uscito fuori tema, il “baccano” appartiene a Lafleur, non conviene a Gionata, al quale meglio si addice l’amico invisibile, l’anonimo di Malta, e il suo gioco dello specchio, in cui si riflette l’impossibile momento presente del Gionata fittizio rispetto al Gionata vero, inverato da una verità fittizia, l’arte letteraria dell’anonimo di Malta, un giuoco delle maschere dietro cui chi si nasconde? Io? Io chi? Il grande burattinaio o il burattino, “una prodigiosa marionetta realizzata dalla divinità per gioco o per uno scopo serio, questo non lo sappiamo”. E siamo finiti di nuovo a Platone, il nostro (mio) magico oriente, all’inizio dell’occidente. E quindi?
L’affannoso andare avanti e indietro tra le pagine del testo di Diego Benevoluto, uno psicanalista e verosimilmente anche filosofo (una mia maschera, seppure velleitaria? No, no, no!): “Scendendo la scala del destino” (una discesa nell’inconscio), ebbene l’errare di Lafleur alla ricerca del bandolo della matassa, il montaliano (“I limoni”) “anello che non tiene”, sul versante psicanalitico, non è più una ricerca razionale, ma un vano tentativo di ritrovare il suo Io smarrito, nello sconosciuto paradigma del mondo, il vasto e incessante Universo, di cui parla Borges (“L’aleph”) e da cui si separa Beatriz Viterbo. Cioè no, è il vasto e incessante Universo a separarsi da Beatriz.
“L’incandescente mattina di febbraio in cui Beatriz Viterbo morì, dopo un’imperiosa agonia che non si abbandonò un solo istante al sentimentalismo né al timore, notai che le armature di ferro di Plaza Constitucion avevano cambiato non so quale avviso di sigarette; il fatto mi dolse, perché compresi che l’incessante e vasto universo già si separava da lei e che quel mutamento era il primo di una serie infinita.”
Il libro di Diego Benevoluto è composto di 27 capitoli numerati, ma non titolati: dove si trova la storia di Gionata? In una pagina dove Gionata legge che Gionata (una sua immagine) legge un libro. Quale? “Riflessi d’oro nell’acqua”, un libro diviso in due parti, come scopre sfogliandolo le pagine il fittizio Gionata vero, dove [nella prima delle tre parti, in cui è divisa la seconda parte,] legge la storia del Gionata protagonista di quella storia raccontata. Quale storia? La storia di Gionata. Ah, ecco! Un mortale? La storia di Gionata è la storia di un essere mortale, che peraltro è riuscito ad arrivare all’età della pensione (complimenti!), ma fa capolino l’anonimo di Malta. No! Ehi, anonimo! Te ne vuoi andare? Eh, no! Io sono il tuo amico invisibile, il daimon. Chi? Mi hai scelto nel prato delle anime (Platone, “Repubblica”, Libro X), ricordi? No, ho bevuto l’acqua del Lete, il fiume dell’oblio. Ah! Ma, insomma, chi è Gionata? Sei tu, il lettore, non l’hai ancora capito? No, io voglio sapere di Alice. Ah, ho capito! Non sei Gionata, sei Lafleur. Certo! Lafleur, attento! Io sono l’uomo differito. Ah, ecco!

ALICE
Sì, bisogna parlare di Alice, a cui riferiamo Lafleur, non Gionata. Ma non sono persone diverse (maschere) di un unico vero io? No, no, poi ti spiego la storia dell’io, adesso parliamo di Alice. Va bene.
(Segue)