domenica 7 aprile 2024

Filosofia

                                             

        Un principio di libertà



11 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

UN PRINCIPIO DI LIBERTÀ
Commento al saggio di Karl Marx: “Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro”.

GLI ATOMI DI EPICURO
Nel terzo capitolo della seconda parte della sua tesi di dottorato: “Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro” (Laterza, 2023), Karl Marx affronta il problema della materialità degli atomi, nella distinzione tra άτομoι ἀρχαὶ e ἄτομα στοιχεία. Egli cita un passo del saggio del filosofo e astronomo Johann Konrad Schaubach sui concetti astronomici di Epicuro: “Epicuro ha fatto con Aristotele una distinzione tra principi (άτομoι ἀρχαὶ, Diogene Laerzio, X, 41) ed elementi (ἄτομα στοιχεία, Diog. Laert., X, 86). I primi sono gli atomi conoscibili con l’intelletto e non occupano spazio. Essi si chiamano atomi non perché siano i corpi più piccoli, ma perché non possono essere divisi nello spazio. In base a queste idee, si dovrebbe pensare che Epicuro non abbia attribuito agli atomi delle qualità che si riferiscono allo spazio. Senonché nella Lettera ad Erodoto (Diog. Laert., X, 44, 54) egli attribuisce agli atomi non solo pesantezza, ma anche grandezza e forma… Io considero dunque come appartenenti alla seconda specie questi atomi, che sono sì derivati dai primi, ma tuttavia vengono da capo concepiti come particelle elementari dei corpi.”
Con la sua particolare acribia, Marx prende in esame il testo originale di Epicuro, che Schaubach cita da Diogene Laerzio, per commentare il contenuto: “Οἶον, ὅτι τò πᾶν, σῶμα καὶ ἀναφὴς φύσις ἐστίν: ἤ ὅτι ἄτομα στοιχεία, καὶ πάντα τὰ τοιαῦτα […]. [Per esempio, che l’universo è corpo e natura impalpabile; o che vi siano elementi indivisibili, e cose di questo genere.] Epicuro insegna qui a Pitocle, al quale scrive, che la dottrina delle meteore si distingue da tutte quelle altre dottrine fisiche, secondo cui, per esempio, tutto è corpo e vuoto e ci sono elementi indivisibili. Come si vede, non c’è qui assolutamente alcun motivo per supporre che si parli di una specie secondaria di atomi. Forse sembra che la disgiunzione tra τò πᾶν, σῶμα καὶ ἀναφὴς φύσις ἐστίν e ὅτι ἄτομα στοιχεία ponga una differenza tra σῶμα e ἄτομα στοιχεία, in cui si potrebbe dire che σῶμα designi gli atomi del primo tipo, in contrasto con gli ἄτομα στοιχεία. Ma questo non è il caso assolutamente di pensare.”

Silvio Minieri ha detto...

Per chiarire meglio il discorso, riprendiamo il testo della “Lettera a Pitocle” di Epicuro, tramandata interamente da Diogene Laerzio. In essa l’argomento trattato è quale metodo debba seguirsi nello studio dei fenomeni celesti, περὶ μετεώρων γνώσεως, espressione che Marx traduce letteralmente die Lehre von den Meteoren, la dottrina delle meteore. In verità, se vogliamo dare uno sguardo d’insieme agli argomenti (meteorologia e astronomia) trattati nella Lettera, possiamo dare a “meteore” un senso più ampio di quello attuale, specificamente astronomico, di frammento di asteroide o altro corpo vagante nel cosmo, e intenderlo nel suo senso etimologico μετά, “oltre” e “ἀείρω”, “aria”, quindi "in alto in aria”, “in alto nel cielo”, ovvero “fenomeni celesti". Comunque il senso della Lettera a Pitocle è racchiuso in sintesi nell’incipit: il non avere paura dei fenomeni celesti. Ed è questo il motivo per cui Epicuro ne dà, per ognuno di essi, un’interpretazione strettamente materialistica, slegata da qualsiasi intervento divino. “Anzitutto bisogna esser persuasi che dalla conoscenza dei fenomeni celesti, in qualsiasi modo se ne tratti, o unitamente ad altre dottrine o separatamente, non può derivare altro scopo, se non la tranquillità (ἀταραξίαν, atarassia) e la sicurezza (πίστιν) dell’anima, ciò che del resto è pure lo scopo di ogni altra ricerca.” E quindi, nel seguito della lettera, tratta di mondi (κόσμος), astri, nubi, pioggia, tuoni, fulmini, cicloni, turbini, trombe marine, terremoti, grandine, neve, rugiada, brina, ghiaccio, arcobaleno, alone, comete, moti delle stelle, stelle cadenti, pronostici del tempo. Abbiamo voluto fare l’elenco dei fenomeni naturali trattati da Epicuro, perché non possiamo fare a meno di pensare come essi, e anche tutta la dottrina epicurea, abbiano influenzato l’ispirazione del grande poeta latino, Tito Lucrezio Caro, nel suo capolavoro: “De rerum natura”. Nel poema, egli non fa altro che esprimere in versi poetici la dottrina atomistica di Epicuro: “L’opera originale di un genio, per la completezza con la quale il poeta ha assimilato il pensiero del suo maestro, trasformandolo in un appassionato commento personale sul proprio tempo.” [1]

[1] Benjamin Farrington (1891-1974), irlandese, professore di Letteratura latina e greca, “Lucretius” (1965).

Silvio Minieri ha detto...

Tornando a Marx, seguiamolo nella sua analisi critica del testo epicureo: “Nel termine σῶμα sono perciò compresi tanto gli atomi quanto i corpi composti. Così, ad esempio, nella “Lettera ad Erodoto” si dice: τὸ πᾶν ἐστι σώματα … εἰ δὲ μὴ ἦν ὃ κενὸν καὶ χώραν καὶ ἀναφῆ φύσιν ὀνομάζομεν …τῶν σωμάτων τὰ μέν ἐστι συγκρίσεις, τὰ δ᾽ ἐξ ὧν αἱ συγκρίσεις πεποίηνται: ταῦτα δέ ἐστιν ἄτομα καὶ ἀμετάβλητα… ὥστε τὰς ἀρχὰς ἀτόμους ἀναγκαῖον εἶναι σωμάτων φύσεις. “L’universo è corpo… se non ci fosse ciò che chiamiamo vuoto e spazio e natura impalpabile… dei corpi gli uni sono aggregazioni, altri invece sono quei corpi da cui risultano le aggregazioni. E questi sono indivisibili e immutabili… perciò è necessario che i princìpi siano nature indivisibili dei corpi”. Nel passo sopra riportato Epicuro parla dunque prima del corporeo in genere quale si distingue dal vuoto, poi del corporeo particolare, cioè degli atomi.” Qui, l’interpretazione di Marx sembra avere guadagnato il principio materialistico degli atomi, in contrapposizione all’interpretazione di Schaubach, che lascia intravedere un principio idealistico, esclusivo dell’intelletto, negli άτομoι ἀρχαὶ.
Marx non nega la distinzione tra άτομoι ἀρχαὶ e ἄτομα στοιχεία, ma la riconduce all’unitarietà della dottrina atomistica, quella propria di Democrito ed Epicuro, che ammetteva l’esistenza dei soli atomi. “Tuttavia io non nego del tutto tale distinzione, nego solo che ci siano due specie fisse di atomi. Si tratta piuttosto di determinazioni differenti di una sola e medesima specie.”
Quello che è sotteso a tale affermazione è la confutazione dell’idealismo dominante nelle Università tedesche, dovuto all’insegnamento di Hegel, all’epoca del giovane Marx. Egli, infatti, applicherà in seguito il metodo dialettico di Hegel in riferimento alle forze che muovono la Storia, però non attività ideale dello Spirito assoluto, ma semplicemente opera delle azioni umane, il materialismo storico.
E in verità la dottrina di Democrito, e quella di Epicuro, si mantengono all’interno della tradizione filosofica naturalista, i presocratici. Questi investigavano sulla Natura, perì physeos, credendosi scienziati, senza sapere di essere filosofi, perché si interrogavano sull’origine (orizein, orizzonte) di tutte le cose. Era stato Platone a creare quella distinzione tra mondo sensibile e monde ideale, poi ripresa in epoca moderna da Cartesio, res cogitans e res extensa, e che aveva condotto dopo Kant all’idealismo tedesco, in particolare quello hegeliano, con l’affermazione della sola Idea assoluta, protagonista della Storia come attività esclusiva dello Spirito.
Marx coglie però una differenza essenziale tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, ed è proprio questo il tema della sua dissertazione di laurea: “Il fatto però che Epicuro comprenda ed oggettivi la contraddizione in questa sua massima acutezza, e quindi distingua l’atomo come στοιχεῖον, quando esso diventa base del fenomeno, dall’atomo come ἀρχὴ, quando esso esiste nel vuoto, costituisce la sua differenza filosofica da Democrito, il quale oggettiva solo il primo momento. È questa la stessa differenza che separa Epicuro da Democrito nel mondo dell’essenza, nel regno degli atomi e del vuoto. Ma poiché soltanto l’atomo dotato di qualità è compiuto, ed il mondo fenomenico può derivare solo dall’atomo compiuto ed estraniato dal suo concetto, Epicuro esprime ciò dicendo che solo l’atomo dotato di qualità diventa στοιχεῖον, ovvero che solo l’ἄτομον στοιχεῖον è dotato di qualità.”
Per capire però che cosa intenda Marx per l’atomo epicureo dotato di qualità (ἄτομον στοιχεῖον), dobbiamo prima rifarci al pensiero di Hegel, ed alla distinzione che egli fa nella “Scienza della Logica” tra essenza ed esistenza, ripresa ed applicata da Marx nel contesto della filosofia e del linguaggio di Epicuro.

Silvio Minieri ha detto...

ESSENZA ED ESISTENZA
“L’essenza è il concetto come concetto posto; nell’essenza le determinazioni sono soltanto relative, non sono ancora come assolutamente in sé riflesse; perciò, il concetto non è ancora come per sé. L’essenza, in quanto essere che si media con sé attraverso la negatività, è relazione a sé stessa, soltanto in quanto è in relazione ad altro; un altro però che non è immediatamente come essente, ma come posto e mediato. – L’essere non è svanito, ma in primo luogo, l’essenza come relazione semplice a sé stessa è essere; d’altro lato però, l’essere nella sua determinazione di essere immediato, è deposto soltanto ad essere negativo, ad apparenza. – L’essenza, quindi, è l’essere come apparire in sé stesso.” Così Hegel nella Seconda Sezione della “Logica”, sotto il titolo: “La dottrina dell’essenza”.
Diamo qui soltanto pochi cenni schematici sulla costruzione dell’intero sistema di pensiero di Hegel, al fine di individuare il luogo di quelle sue definizioni, che hanno avuto un riflesso sul linguaggio di Marx, e da cui si differenziano però in relazione al loro significato in maniera sostanziale.
Scrive Hegel nella Introduzione alla sua opera, in cui suddivide la scienza in tre parti, secondo quel metodo triadico della sua dialettica, che costituisce il tratto distintivo del suo pensiero, sempre mantenuto nella sfera dell’Idea (Dio, Spirito): La scienza si divide in tre parti: 1, Logica, scienza dell’Idea in sé e per sé; 2, Filosofia della natura, come scienza dell’Idea nella sua alterità; 3, Filosofia dello Spirito, come scienza dell’Idea che rientra in sé dalla sua alterità.
In questa visione idealistica, il mondo fenomenico, quello che appariva come esterno all’Io-penso di Kant, viene completamente assorbito nell’Idea. E una tale visione idealistica, Marx rovescia nella realtà del materialismo, pur mantenendone il metodo dialettico. In tale prospettiva, perde qualsiasi concretezza la formula hegeliana: “Tutto ciò che è razionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale.” Questa formula, per Hegel, esclude dalla realtà effettiva tutto quello che è irrazionale, al contrario di altri per i quali un tale elemento costituisce il vero fondamento della realtà. [2]

[2] “Per aver messo sotto accusa la realtà e i suoi fondamenti, Marx, Nietzsche e Freud si sono guadagnati da Ricoeur l’etichetta di «maestri del sospetto». L’espressione «maestri del sospetto» è una ripresa dell’appunto «scuola del sospetto» elaborato da Nietzsche in “Umano troppo umano”. Ricoeur coglie un’affinità tra i tre pensatori. Sono loro, d’altronde, a smascherare gli inganni e gli idoli della tradizione per liberare l’uomo dai falsi miti e riporlo dinanzi alla sua autentica natura umana. […] Nella dialettica servo-padrone, Marx compie una simile operazione, svelando i meccanismi che stanno a fondamento del sistema capitalistico e contestando la verità del sistema stesso. Ne viene fuori uno scenario in cui è ribaltata la relazione tra il servo (il proletario) e il padrone (il capitalista). Il servo diviene ‘padrone del padrone’. È lui, attraverso il suo lavoro e sudore, a muovere il sistema. Il padrone si fa ‘servo del servo’ dal momento che ha bisogno di forza lavoro per accrescere il proprio potere. Per Marx è dunque necessario prendere coscienza di questo cambiamento di prospettiva.”
https://ritirifilosofici.it/marx-nietzsche-e-freud-i-penetratori-degli-infingimenti.

Silvio Minieri ha detto...

In tal modo, si può intendere il linguaggio filosofico di Marx, quando prende a prestito da Hegel le categorie dell’essenza e dell’esistenza. Per quest’ultimo l’essenza è il fondamento dell’esistenza, nel senso che l’essenza è il concetto puro (tesi) che si manifesta nel fenomeno (antitesi), il mondo fenomenico, poi assorbito nella “sintesi” della realtà effettiva: “l’unità divenuta immediata dell’essenza e dell’esistenza, dell’interno e dell’esterno”. Questa distinzione dei due momenti della realtà effettiva, nel linguaggio hegeliano, rimane pur sempre nella sfera dell’Idea, il pensiero puro, il divino che governa il mondo. In Marx, si attua il contrario, spostando il movimento dialettico della realtà della Storia dalla sfera del mondo divino a quella del mondo umano, che finisce questo per riassorbire l’altro, inteso come una sovrastruttura, una proiezione idealizzata dalla mente umana, priva della qualità dell’esistenza.
Si può capire allora, come sulla base di tali convincimenti, già radicati nella coscienza del giovane Marx, egli intenda la differenza tra l’essenza dell’atomo considerato come principio (ἀρχὴ) e l’esistenza degli atomi, quali elementi materiali (ἄτομα στοιχεία).
In tale prospettiva, possiamo meglio comprendere l’affermazione di Marx, secondo cui, nella distinzione dei due momenti, è l’atomo compiuto, l’atomo dotato di qualità, quello che si trova alla base del mondo fenomenico.
Se Democrito, per Marx, coglie solo il primo momento, quello dell’atomo στοιχεῖον, come dire l’elemento materiale, Epicuro invece riesce a distinguere l’elemento materiale (στοιχεῖον) dell’atomo da quello del principio (ἀρχὴ) esistente nel vuoto, vale a dire nel mondo dell’essenza, “nel regno degli atomi e del vuoto”. In tal senso se Democrito è il semplice fisico o naturalista, noi diciamo scienziato, quello che investiga sulle cose sensibili, Epicuro invece, pur investigando nel suo “Perì Physeos” sulle cose naturali, quelle del “De Rerum Natura” di Lucrezio, non è soltanto un fisico, ma anche un filosofo, distinguendo il principio (concettuale) dall’elemento materiale. Ora, dobbiamo vedere come arrivi Marx ad evidenziare questa differenza filosofica tra Democrito ed Epicuro, e quali sono i riflessi di questa differenziazione della dottrina di Epicuro, che si preoccupa più del lato morale, quello pratico dell’azione, rispetto a quello teorico della spiegazione scientifica. Infatti, come abbiamo visto, egli spiega i fenomeni celesti, le meteore, con nessun “altro scopo, se non la tranquillità e la sicurezza dell’anima, ciò che del resto è pure lo scopo dii ogni altra ricerca”. L’intento della sua filosofia era quello di liberare gli uomini dalla paura degli dèi e della vita dopo la morte, dalla morte, dal dolore fisico, dalla mancanza del piacere, con “quei ragionamenti che sono guida a vita felice”. “L’indagine sulla natura non si deve infatti compiere secondo vani enunciati e legiferazioni, ma secondo i dati offerti dai fenomeni stessi. Poiché la vita nostra non ha ormai bisogno di irragionevolezza o di vuote congetture, ma di tranquillità e di fiducia. E senza dubbio si ottiene l’assoluta tranquillità spirituale su tutti quei problemi che si risolvono, secondo il metodo delle spiegazioni molteplici, in accordo con i fenomeni, quando rispetto a essi si conservano le spiegazioni probabili, secondo quanto è giusto.” (“Lettera a Pitocle”, 87)
Come si vede, quella di Epicuro era una preoccupazione principalmente pratica, rispetto ad una ricerca teorica, che rischia di finire nel mito. Nella dottrina fisica atomistica, egli si differenzia da Democrito, per l’introduzione nella caduta degli atomi del clinamen, l’impercettibile deviazione dalla linea retta. È il punto nodale colto da Marx all’inizio della seconda parte della sua tesi di dottorato.

Silvio Minieri ha detto...

LA DECLINAZIONE DELL’ATOMO
“Epicuro ammette un triplice movimento degli atomi nel vuoto. Il primo è quello della caduta in linea retta, il secondo si origina per il fatto che l’atomo devia dalla linea retta, e il terzo è dato dalla repulsione dei molti atomi. La teoria del primo e dell’ultimo movimento è comune a Democrito ed Epicuro. La declinazione dell’atomo differenzia quest’ultimo dall’altro.”
L’osservazione di Marx della differenza tra Democrito ed Epicuro è in linea con la tradizione della storia della filosofia, ma abbisogna di un parziale aggiornamento, in riferimento alla caduta rettilinea degli atomi, nell’ambito della dottrina democritea, in quanto la sua osservazione, sebbene sostanzialmente pertinente, è per necessità troppo schematica. In verità la “correzione” di Epicuro, la declinazione degli atomi nel loro cadere (accadere), il “clinamen”, come lo definisce Lucrezio, è generalmente accolta dagli studiosi, ed anche da Marx, quale supporto all’introduzione di un elemento di libero arbitrio, in relazione al determinismo di Democrito. La teoria degli atomi di Epicuro, il suo insegnamento dottrinario sulla Natura non si limitava a spiegare i fenomeni, ma era legata ad uno scopo pratico. “Vano – diceva Epicuro – è il discorso di quei filosofi che non sanno curare le umane passioni; infatti, come l’arte medica non è di alcun giovamento, se non ci libera dalle malattie dei corpi, così non è di alcun giovamento, se non ci libera dalla malattia dell’anima.” E ancora: “Se non fossimo turbati dal pensiero delle cose celesti e della morte e dal non conoscere i limiti dei dolori e dei desideri, non avremmo bisogno di una scienza della Natura.”
Sulla teoria ascritta a Democrito della caduta rettilinea degli atomi, indicata da Marx, sembra sia stato Epicuro, introducendo la variazione dalla linea retta, a presupporre questo esclusivo movimento di caduta degli atomi nel suo predecessore, a cui si era ispirato per la sua costruzione filosofica. Stando alle fonti, Democrito, la cui opera non sembra distinguersi da quella del suo predecessore Leucippo, tanto da indurre Aristotele a considerare comune la loro dottrina degli atomi, parla di un vortice originario che genera casualmente il costituirsi dei mondi. Egli sostiene, ma sarebbe meglio dire entrambi, Leucippo e Democrito, sostengono che esistono soltanto gli atomi e il vuoto, una contrapposizione tra essere e non essere, una tesi questa dovuta alla critica dell’eleatismo sostenitore dell’unicità e immobilità dell’Essere. La causa prima del movimento atomico è il vuoto, in quanto gli atomi, non trovando resistenza, si spandono in tutte le direzioni, formando degli aggregati e degli ammassi, che muovendosi di moto circolare, creano una nube vorticosa. Questa viene sottoposta a un vaglio, che in modo del tutto meccanico unisce gli atomi simili ed espelle i dissimili, rendendo stabili combinazioni e dando inizio alla distinzione tra atomi pesanti e leggeri. I primi per gravità tendono al centro, gli altri più leggeri si disperdono in periferia, determinando le prime configurazioni della realtà. Questo moto degli atomi è dovuto a leggi meccaniche, prive di qualsiasi causa finalistica, in quanto gli atomi ai distinguono tra loro soltanto per differenze quantitative, vale a dire per figura, ordine, posizione. Viene quindi esclusa qualsiasi differenza qualitativa, sebbene Aristotele osservi che una tale differenza si trova alla base del sistema di Democrito, che distingue tra il vuoto o il rado e il solido, non riuscendo quindi a costruire un modello squisitamente geometrico.

Silvio Minieri ha detto...

Sulla teoria della declinazione degli atomi, Marx cita le critiche di Cicerone: “Epicuro ritiene che gli atomi sono tratti in basso dal loro peso in linea retta, e che questo movimento è quello naturale di tutti i corpi. Ma poi apparve evidente che se tutti gli atomi fossero tratti dall’alto in basso, nessuno di essi potrebbe mai incontrarne un altro. Perciò quel brav’uomo ricorse a una bugia. Egli disse che l’atomo devia di pochissimo, il che peraltro è assolutamente impossibile.” (Cicerone, “De finibus bonorum et malorum”, I,6)
Marx coglie una contraddizione nella critica di Cicerone: “Epicuro ammetterebbe la declinazione degli atomi una volta per spiegare la repulsione, un’altra per spiegare la libertà. Ma se gli atomi non si incontrano senza declinazione, allora quest’ultima è superflua per spiegare la libertà, perché il contrario della libertà, come apprendiamo da Lucrezio [3], comincia solo con il deterministico e forzato degli animi. Se invece gli atomi si incontrano senza declinazione, allora quest’ultima è superflua per spiegare la repulsione.” Questa contraddizione viene ricondotta ad una concezione troppo superficiale della declinazione, fatta da Cicerone, al contrario di quella di Lucrezio, “il solo – dice Marx – tra tutti gli antichi ad aver compreso la fisica epicurea”, in cui “si trova un’esposizione più profonda.”
Segue quindi il ragionamento di Marx, che lo porterà alla conclusione, di cui abbiamo accennato all’inizio della differenza tra l’atomo, inteso a sé stante, come principio, dall’atomo determinato, realmente esistente.
Il nodo da sciogliere è quello di spiegare come si concilia con il determinismo fisico, ossia la concatenazione delle cause, quella libertà dell’atomo rilevata nella deviazione dalla linea retta. “Cicerone e parecchi tra gli antichi, secondo Plutarco, biasimano il fatto che la declinazione dell’atomo avvenga senza causa, e a un fisico, dice Cicerone, non può capitare nulla di più vergognoso.” (Op. cit., ivi)
L’obiezione di Marx è quella secondo la logica comune: “Una causa fisica, quale la vuole Cicerone, ricondurrebbe la declinazione nella catena del determinismo, da cui appunto essa dovrebbe emancipare.” E quindi aggiunge il suo pensiero: “E poi l’atomo, prima di essere posto nella determinazione della declinazione, non è ancora per niente completo.” Questa osservazione è quella che gli consente di stabilire la differenza tra il pensiero di Democrito e quello di Epicuro: un principio di libertà.
La domanda inespressa è quella relativa alla causa: quale principio anima il movimento degli atomi? L’interrogativo a cui senza esplicitarlo Marx risponde è quello che si pone ogni filosofia. Egli subito rifiuta ogni principio spiritualistico, una causa esterna alla materia, e lo fa liquidando un autore francese, che cita in proposito: “Se infine Bayle (“Dictionaire critique de la philosophie” voce “Epicuro), appoggiandosi all’autorità di Agostino, secondo cui Democrito avrebbe attribuito agli atomi un principio spirituale – un’autorità che del resto, dato il contrasto con Aristotele e gli altri antichi, è del tutto priva di importanza – rimprovera ad Epicuro di avere inventato la declinazione al posto di quel principio spirituale, allora va detto al contrario che con l’anima degli atomi si è guadagnata solo una parola, mentre nella declinazione è raffigurata la vera anima dell’atomo, il concetto di individualità astratta.” E Marx osserva come Epicuro abbia dato della declinazione una raffigurazione non sensibile (astratta): “né in un luogo, né in un istante determinato”.

[3] “Infine, se sempre ogni moto si connette con l’altro, / e il nuovo sorge sempre dal vecchio in modo determinato, / […] da dove deriva, ti chiedo, questa libera volontà, staccata dal fato.” (“De rerum natura”, II, 251 segg.)

Silvio Minieri ha detto...

Il discorso è logico, ci esprimiamo con un pleonasma, essendo ogni discorso (logos), secondo il significato della parola, un’espressione razionale, una ratio, una ragione. Se consideriamo un accadimento isolato dal contesto in cui accade, non possiamo fare a meno di considerare come esso contiene in sé stesso la sua ragione. Scrive in proposito, il filosofo Emanuele Severino, riflettendo sul termine “automa”: “Automa proviene dall’antica parola greca autòmaton, che significa “ciò che si muove ed agisce da sé, di proprio impulso, spontaneo. […] È così accentuato, in questa parola, il senso di non aver bisogno di nient’altro che di sé, per accadere ed esistere, che autòmaton significa addirittura il caso, ossia ciò che cade sulla terra, senza provenire da alcuna regione, dove l’occhio di un dio o di un mortale possa prefigurarlo, prima del suo accadere. L’autòmaton [il caso] è cioè l’assolutamente imprevedibile. Si tratta della imprevedibilità stessa della vita.” (“La Strada”, 1983)
Quello che abbiamo espresso con le parole del filosofo Severino è un tema tipico della filosofia, originario, come osserva lo stesso Severino citando Aristotele: “All’inizio della Metafisica, Aristotele dice che gli uomini hanno incominciato a filosofare mossi dalla meraviglia [4] : “a quel modo che quanto avviene nei giochi di prestigio sembra un autòmaton a coloro che ancora non ne conoscono la causa.”
È chiaro ad Aristotele e quelli prima di lui, i Naturalisti, i Presocratici, si interrogarono su quanto accade, ne cercarono l’origine, la causa, dando inizio alla filosofia. E bisogna osservare, come già detto, che l’atomismo di Democrito, il pluralismo originario, gli atomi solidi, indivisibili ed eterni, sorge in contrapposizione al monismo eleatico dell’Essere immobile, immutabile, eterno, che negava la molteplicità e il movimento. E sono proprio questi due ultimi principi quelli alla base del pluralismo di Leucippo e Democrito, che dichiararono solo l’esistenza, l’essere di questi infiniti microcosmi, che spaziando nel vuoto del non essere e incontrandosi a caso, in maniera imprevedibile, danno origine ai mondi, senz’altra ragione che quella quantitativa. Per Anassagora, invece, anche lui pluralista, i semi dell’Universo, che Aristotele [5] chiama omeomerie, contengono già quella varietà qualitativa necessaria al loro sviluppo, essendo il loro fiorire come regolato da una Intelligenza (Nous) ordinatrice.
Per mantenersi all’interno di uno schema strettamente materialista, e dare coerenza al sistema di Epicuro, la deviazione dell’atomo (clinamen), il giovane Marx ricorre alla distinzione della “Logica” hegeliana, già da noi ricordata, tra essenza ed esistenza, che riflette quel dualismo tra sensibile ed intellegibile, inaugurato da Platone nella storia del pensiero. Marx sviluppa inoltre il discorso, con il riferirsi a sé dell’atomo nella sua immediatezza, dando luogo al movimento dialettico dell’autocoscienza.

Silvio Minieri ha detto...

[4] Allo stesso modo, prima di Aristotele, aveva detto Platone: “L'essere pieno di meraviglia è proprio del filosofo. Così, il principio della filosofia non è altro che questo, e chi ha detto che Iride è figlia di Taumante ["thaumazein" = meravigliarsi] non mi pare abbia sbagliato genealogia.” [Platone, Teeteto, 155d]

[5] Quando, all’inizio della “Metafisica”, Aristotele passa in rapida rassegna il pensiero dei suoi predecessori (in questo rivelandosi il primo vero e proprio autore della Storia della filosofia), esprime un giudizio di particolare apprezzamento nei confronti di Anassagora: “Chi disse che, come negli animali, anche nella natura c’è un’Intelligenza quale causa dell’ordine e dell’armonica distribuzione di ogni cosa, sembrò il solo filosofo assennato, e al suo paragone, i suoi predecessori sembrano dei ciarlatani.” Ma più avanti corregge questo giudizio forse un po' troppo generoso: “Lo stesso Anassagora, in effetti, nella costituzione dell’Universo, si serve dell’Intelligenza come di un deus ex machina (artificio) e solo quando si trova in difficoltà nel dare ragione della necessità di qualche cosa trae in scena l’Intelligenza, per il resto invece come causa delle cose che avvengono pone rutto, tranne l’Intelligenza.”

Silvio Minieri ha detto...

LA LIBERTÀ DELL’ATOMO
“Come il punto è soppresso nella linea, così ogni corpo che cade è soppresso nella linea retta che esso descrive. Qui non ha affatto importanza la sua qualità specifica. Una mela, nel cadere, descrive una linea verticale, tanto quanto un pezzo di ferro. Ogni corpo, in quanto venga concepito nel movimento della caduta, non è dunque niente altro che un punto che si muove, e più precisamente un punto non autonomo, che in un certo determinato modo di essere – la linea retta che esso descrive – perde la sua individualità.” Qui la solidità (materialità) dell’atomo non è ancora presente, osserva Marx, il punto si perde nella linea. “Se si rappresenta il vuoto come vuoto spaziale, l’atomo è la negazione immediata dello spazio astratto, dunque è un punto spaziale.” Marx sta dicendo, anche se non lo dice, che se rappresentiamo il nulla come vuoto spaziale, l’atomo è la negazione immediata del nulla, dunque è un punto spaziale, in termini hegeliani, una determinazione dell’essere.
È questo il movimento dialettico, in cui Marx salva la contraddizione, tra quello che dovrebbe essere l’atomo, cadere in linea retta, e quello che realmente accade, la declinazione della linea retta. “Poiché [l’atomo] si muove nel dominio dell’essere immediato, tutte le determinazioni sono immediate. Le determinazioni opposte vengono dunque opposte le une alle altre come realtà immediate. Ma l’esistenza relativa che si contrappone all’atomo, il modo di essere che esso deve negare, è la linea retta. La negazione immediata di questo movimento è un altro movimento, cioè, a rappresentare anch’esso spazialmente, la declinazione dalla linea retta.” In altre parole, al modello astratto della caduta verticale degli atomi (quello ascritto forse in maniera arbitraria a Democrito, in quanto assertore di un processo di caduta – in verità accadimenti – di atomi, in maniera rigida e determinata, senza una causa, afinalistico, appunto a caso, secondo il verso dantesco “Democrito che il mondo a caso pone”) si oppone quello della caduta in autonomia dell’atomo determinato. Marx fa l’esempio dei corpi celesti, pensati come corpi in assoluta autonomia, che si muovono non secondo linee rette, ma oblique.

Silvio Minieri ha detto...

“Se dunque con il movimento dell’atomo in linea retta, Epicuro ne rappresenta la materialità, con la declinazione dalla linea retta, ne ha realizzato la determinazione formale.” Ritroviamo qui, in Marx, la distinzione aristotelica tra materia e forma, la prima non determinata in atto, ma solo in potenza, la seconda determinata in atto. Possiamo dire che l’atomo compiuto di Marx, altro non è che l’atomo in atto, quello concretamente determinato, in opposizione al modello ideale astratto dell’atomo in caduta verticale. Quindi scrive: “E queste opposte determinazioni [in potenza e in atto] vengono rappresentate come momenti immediatamente opposti.” E conclude: “Lucrezio ha dunque ragione di affermare che la declinazione infrange i fati foedera [decreti del fato], e poiché egli applica subito ciò alla coscienza, si può dire dell’atomo che la declinazione è quel qualcosa nel suo petto che può opporsi e resistere.
Lucrezio si domandava retoricamente da dove deriva questa libera volontà staccata dal fato, quindi spiegava: “se… gli atomi declinando non danno al movimento / un qualche inizio che rompa i decreti del fato, / affinché una causa non segua l’altra all’infinito.” (“De rerum natura”, II, 253 segg.) E il geniale poeta latino, il più profondo conoscitore e seguace della dottrina del suo maestro Epicuro, così concludeva: “C’è nel nostro petto / un qualcosa che può opporsi e resistere.”
Lucrezio faceva riferimento a quella che una certa filosofia moderna definisce come l’intelligenza del cuore (Hillman), quella che è la sorgente della conoscenza e delle azioni umane. È un principio di libertà, che sottrae la vita umana a ogni determinismo del mondo naturale, e alla legge di causalità che ne determina gli eventi. Ed è questo principio che distingue la filosofia di Epicuro da quella di Democrito, la differenza colta da Marx in Epicuro, che nella declinazione degli atomi ha indicato il principio della libertà degli uomini, sottratto ad ogni decreto divino.