domenica 24 agosto 2025

Filosofia

         

          

                                            Intentio



5 commenti:

Silvio Minieri ha detto...

LA FENOMENOLOGIA
Che cosa è la fenomenologia? Un nuovo (o antico?) modo di filosofare? Riprendiamo alcune nozioni di questa nuova dottrina dalla “Introduzione” di Anna Donise al saggio di Husserl del 1916: “Fenomenologia e Psicologia”, ed. ital. 1987.
“La fenomenologia è la scienza della riflessione immanente, è scienza della struttura stessa della coscienza. Fondamentale è la differenza tra la “natura”, che è oggetto delle scienze della natura, e il fenomeno, che invece è oggetto della fenomenologia.” La definizione può apparire tautologica, se non abbiamo nozione di che cosa intenda Husserl per fenomeno. “Comunemente, riferendoci alla realtà, parliamo di fenomeni naturali. Il “fenomeno” di cui parlano le scienze della natura non deve essere inteso come “apparenza” o “percezione ingannevole”: esse intendono come fenomeno l’oggetto dell’esperienza normale.” Fenomeno, nel senso della fenomenologia, è l’oggetto dell’esperienza quotidiana, per esempio le differenti “visioni”, i fenomeni, che abbiamo di un tavolo, girandovi intorno. Fenomeni sono però anche funzioni cognitive più elevate come le relazioni predicative, per es. tra x e y, dove la relazione è il fenomeno. Ma oltre al fenomeno, un altro concetto fondamentale va introdotto nella fenomenologia: la coscienza.
Avevamo detto che “La fenomenologia è la scienza della riflessione immanente, è scienza della struttura stessa della coscienza.” Adesso vediamo che cosa s’intende per “coscienza”. Per Husserl, la coscienza è sempre e comunque coscienza di qualcosa, ed entra qui in gioco il concetto di “intenzionalità”, un modo di essere della coscienza, che determina il carattere stesso dell’esistenza: il trascendere-verso-la realtà.
Husserl aveva ripreso il concetto di intenzionalità da Brentano, che a sua volta si era riferito alla “intentio” della filosofia scolastica. E qui dobbiamo compiere una breve digressione sulla tradizione dei commentari arabi ad Aristotele in epoca medievale.


INTENTIO
Il termine Intentio viene usato nella filosofia medievale con diverse accezioni e sfumature di significato che solo in parte derivano dall’etimologia latina del termine, ma che si accostarono alla parola nel corso dei secoli, specialmente all’interno del processo di ampliamento del vocabolario filosofico che comportarono le traduzioni dall’arabo, sempre più numerose a partire dal XII sec. Nel latino classico Intentio significa originariamente tensione, sforzo, in senso figurato applicazione, attenzione, ed inoltre proposito, intenzione, volontà. Etimologicamente il termine indica un movimento dinamico, un tendere verso, che si esplicita in due sensi, che corrispondono ai due principali ambiti d’uso della parola: tendere verso un’azione, cioè intenzione intesa come volontà (uso nella teoria etica) e tendere verso un qualcosa da comprendere, cioè intenzione come contenuto della conoscenza (uso nella teoria Logica e Gnoseologica).

Silvio Minieri ha detto...

INTENZIONE E INTENZIONALITÀ
nella Teoria della Conoscenza e nella Logica.

L’uso logico del termine Intenzione nella filosofia medievale è influenzato direttamente dalla tradizione neoplatonica araba e deriva dal modo in cui i commentari arabi ad Aristotele vennero tradotti in latino. Intentio nel senso di concetto è il modo in cui viene reso in latino il termine arabo ma‘qûl con cui Alfarabi nel suo commento al “De Interpretazione” traduce il greco noema; chi studia l’arte logica deve poi considerare questo concetto da due punti di vista, da una parte nelle sue relazioni con le cose esteriori reali e dall’altra con le parole. Intentio viene usato anche per tradurre il termine arabo ma‘nâ che in Avicenna assume diversi significati (forse traducendo il greco eidos): il senso di una proposizione o il significato di un termine; la rappresentazione sensibile com’è colta dal senso interno (la facoltà estimativa) e soprattutto la forma intelligibile, cioè il concetto come semplice rappresentazione mentale. In Averroè intentio ricopre un campo semantico ancora più vasto, che va dal significato di una parola, alla considerazione formale di un concetto, alla causa, la ragione su cui si basa una teoria (sembra quasi stare per il greco logos) ed infine all’oggetto della conoscenza in tutti i gradi del processo conoscitivo. Tutte queste varie accezioni di intentio negli autori arabi influenzarono la ricezione e l’uso latino del termine che venne ad indicare primariamente il contenuto di un atto conoscitivo. All’interno della teoria logica in senso stretto, il termine intentio svolse un ruolo cruciale, non solo per la problematica del rapporto fra intelletto e res, le cose reali, ma addirittura nel determinare lo status stesso dell’arte logica nel contesto delle discipline scolastiche. Seguendo le traduzioni latine di Alfarabi e Avicenna i logici medievali distinguono dunque fra primae intentiones, ovvero i concetti delle realtà esterne, degli enti reali, e secundae intentiones, cioè i concetti generali a cui gli altri concetti si riferiscono, sovrapponendo questa nuova distinzione a quella, proveniente dalla grammatica, fra nomina rerum e nomina nominum. In questa concezione, le secundae intentiones sono assimilabili agli universali logici e quindi prendere una posizione sullo statuto ontologico o il valore delle seconde intenzioni equivale a prendere parte al dibattito sugli universali, ad affrontare cioè una delle questioni che stanno al centro della teoria logica medievale. La distinzione fra prima e seconda intenzione è fondamentale per comprendere lo sviluppo della logica dal XIII al XIV sec., per capire come si passi da un concetto di logica come scienza del significato dei termini (scientia sermocinalis) ad una logica come scientia rationalis, metalinguistica, capace di andare al di là del contenuto significativo del linguaggio: questo processo parte proprio dalla definizione di secundae intentiones che abbiamo appena dato, definendo a sua volta l’arte logica come scienza delle seconde intenzioni, cioè come scienza di entità epistemologiche. Alberto Magno riprodusse e diffuse la distinzione fra prima e secunda intentio, che ritroviamo in Tommaso d’Aquino e che divenne poi usuale nella filosofia del XIII sec. Il filosofo catalano Raimondo Lullo rielaborò in modo originale i concetti di prima e seconda intenzione, probabilmente influenzato da altri testi arabi quali l’enciclopedia dei Fratelli della Purezza, e li utilizzò all’interno del suo progetto di ristrutturazione del sapere, per dimostrare la superiorità della sua Arte, che si propone come scienza delle prime intenzioni, capace di arrivare a conoscere la realtà delle cose, sulla logica aristotelica tradizionale. (EB)
http://www3.unisi.it/ricerca/prog/fil-med-online/temi/htm/intenzione.htm

Silvio Minieri ha detto...

L’OGGETTO COSCIENZIALE
Alla luce di quanto appreso, grazie all’aiuto dell’estensore della Nota di cui sopra, possiamo ora meglio capire che cosa sia il fenomeno nell’ambito della fenomenologia di Husserl. Esso presenta due aspetti nell’interiorità della coscienza: soggettivo (noesi) e oggettivo (noema), a cui corrisponde la cosa esteriore alla coscienza, il dato reale.
Il riferimento del fenomeno husserliano nell’immanenza della coscienza è al “cogito” di Cartesio, in cui però non è stata distinto il “cogitare” dal “cogitato”, l’atto del pensare dal contenuto del pensiero. Si tratta, per questo secondo aspetto oggettivo della coscienza, di quel contenuto di un atto conoscitivo, che la filosofia medievale aveva definito con il termine “intentio”. Ora, se per Husserl, la coscienza è sempre coscienza di “qualcosa”, ossia coscienza intenzionale, l’oggetto immanente ad essa (noema), simmetrico rispetto all’atto soggettivo (noesi) è l’oggetto coscienziale.
E siamo giunti alla fine della nostra breve dissertazione sulla fenomenologia, scienza della coscienza, senz’affatto esaurire il tema, che richiede un diverso sforzo cognitivo e una migliore attenzione sugli aspetti dottrinari, per un possibile discorso di maggiore consistenza e più esaustivo. Ma non era questo il nostro scopo.
Noi volevamo solo commentare il sogno da sveglio del gesto di sollevare alle labbra una tazzina di caffè, un invito in direzione di una figura femminile in ombra, e darne un’interpretazione non psicologica, ma fenomenologica: Fenomenologia della tazzina di caffè. Qui però si renda necessaria un’osservazione, che sposta il discorso dalla fenomenologia di Husserl all’analisi esistenziale di Heidegger, e quindi al nuovo approccio dello psichiatra svizzero Ludwig Binswanger nell’interpretazione dei sogni, che costituisce il secondo tema quello del “sogno” – dopo “il diavolo” e prima della “dottrina dell’anima” – del discorso scaturito dal commento al racconto “Il sangue e la fiamma” (post 2 luglio 2025). In breve, possiamo dire che nel sogno non viene rappresentata la realizzazione di un desiderio, con la rimozione di materiale inconscio che impediva il ricordo, secondo l’interpretazione di Freud, ma il coinvolgimento stesso di tutta l’esistenza del soggetto sognante, il suo esistenziale essere nel mondo.
Spiegheremo meglio, nelle linee generali, tutto questo processo interpretativo del mondo dei sogni, quando passeremo a illustrare il secondo dei nostri tre temi indicati, ora soffermiamoci sull’oggetto coscienziale della tazzina di caffè del mio sogno da sveglio, da appena sveglio, quindi un quasi sogno, una continuazione da sveglio dei sogni che si fanno all’alba, quando il sonno diventa leggero, prima di svegliarsi.

Silvio Minieri ha detto...

Non si trattava freudianamente di avere realizzato nel sogno un desiderio, l’invito rivolto all’ombra femminile di andare a prendere un caffè insieme, ma nel coinvolgimento di tutta la mia esistenza, un atto estetico, nella mia arte del sognare o quasi, corrispondente alla definizione che ne dà Benedetto Croce: “In ogni accento di poeta, in ogni creatura della sua fantasia, c’è tutto l’umano destino, tutte le speranze, le illusioni, i dolori e le gioie, le grandezze e le miserie umane , il dramma intero del reale, che diviene e cresce in perpetuo su sé stesso, soffrendo e gioiendo.” (“Breviario di Estetica”, Adelphi, 2005)
Questo coinvolgimento esistenziale totale lo ritroviamo in quella espressione del Manzoni, che avevamo detto, ci era “sovvenuta” – “venuta su” dal cuore, il registro dei ricordi: “Tutta la sua anima era nell'orecchio". Si riferisce al momento in cui Renzo, nel cap. 36 de "I Promessi Sposi", ascolta la voce di Lucia che gli giunge da una capanna nel lazzaretto di Milano, ritrovandola dopo la separazione dovuta alla peste. In quel preciso istante, tutta la sua attenzione e il suo essere sono rivolti al sentirla, con la respirazione sospesa e il cuore che batte forte. IA.
Infine, vogliamo sottolineare un parallelo borgesiano, di cui parleremo trattando il tema del sogno: l’identificazione dell’atto di scrivere con quello del sognare e l’atto di vivere con quello del sognare.

Silvio Minieri ha detto...

IMMAGINE
Abu Nasr Muhammad al-Farabi (Wasiy, 870 - Damasco, 950) Filosofo musulmano. Discepolo del nestoriano Ibn Haylan a Baghdad e grande conoscitore di lingue, è inseparabile dalla scuola di traduttori di Baghdad. Al-Farabi tentò con determinazione di armonizzare i sistemi di Platone e Aristotele (Libro dell'Accordo tra due saggi), che considerava fondamentalmente coerenti e differivano solo nell'espressione e nel metodo. Commentò anche la logica e la metafisica aristoteliche, in cui introdusse la distinzione tra essenza ed esistenza; considerò la filosofia greca come la chiave per risolvere i problemi posti dai teologi musulmani. In politica (Sul governo delle città e La città ideale), sostenne lo stato confessionale. Al-Farabi approfondi anche il tema (radicato in Aristotele e sollevato da Al-Kindi) dei vari tipi di intelletto, ma sempre con uno schema di visione del mondo gerarchico, di chiare radici neoplatoniche.