martedì 28 maggio 2024

Commento

 

         

          Un incauto tuffo



1 commento:

Silvio Minieri ha detto...

UN INCAUTO TUFFO
Ho scritto il divertissement “Faccia di gesso” per distrarmi da Nietzsche, in quanto il pensiero nietzschiano, a noi giunto attraverso i suoi scritti, quando mi accosto ad esso, mi fa schizzare via come se mi fossi avvicinato e per distrazione avessi toccato un “ferro incandescente” (l’immagine è junghiana). Infatti stavo proprio scrivendo un commento in proposito, e quando si è trattato di riprendere la stesura del mio testo, dopo una sospensione, lo sguardo mi è scivolato su un’espressione aritmetica in elaborazione, che avevo annotato a margine della pagina come promemoria per un piccolo studio successivo sulla materia. Allora, approfittando dell’occasione, mi sono allontanato dal “ferro incandescente” e mi sono tuffato a pesce sull’aritmetica hindu, finendo dalla padella nella brace, quella dei numeri impossibili, di cui poi parliamo.
Ora, vorrei brevemente commentare “Faccia di gesso”, subito chiarendo che tale espressione, ripresa dallo “Zarathustra” può essere commentata, e tenterò di farlo in seguito, in maniera seria, senza intenti parodistici, e quindi può essere commentata anche con questi ultimi intenti, come ho fatto con il mio divertissement, che ora commento (un commento critico a commento di un testo umoristico).
Il tratto iniziale è indubbiamente, come subito si capisce, una parodia al capitolo dello “Zarathustra, relativo all’episodio del funambolo, che scavalcato con un “salto” dal tipo arlecchinesco cade dalla corda tesa e muore, un “tuffo” mortale, a cui quello mio “incauto” in un certo senso assomiglia, nella sua figurazione di “superamento” con un “salto”, e non di un semplice superamento meno fulmineo. Per quanto riguarda la messa in scena degli acusmatici e dei matematici dell’Accademia di geometria di Teeteto II, essa è stata operata con personaggi di una storia pregressa da me narrata (“I numeri glaciali”), che qui superiamo con un balzo, riuscendo a non cadere.
Le interferenze della voce dissonante, che emerge in superficie dal fondo della narrazione, è una ripresa di quelle scene abituali nei talk show televisivi, dove più voci dissonanti si accavallano, e il conduttore si affanna a regolarle, dicendo che altrimenti “a casa” non capiscono, invece a casa hanno già da sempre capito quelle “caciare”. Ma l’espediente serve anche a descrivere le scene emergenti dell’inconscio, secondo l’immagine freudiana dei disturbatori, che tentano di entrare nella sala, dove si sta tenendo una tranquilla conferenza, e che vengono respinti fuori, così come accade alla coscienza, quando rimuove ricordi spiacevoli.
Per quanto riguarda Z., controfigura di Zarathustra, viene imitato dal “vociaro”. Questo personaggio rivela di essere Pitagora, pronunciando una battuta ieratica , che è l’adattamento di una simile pronunciata dal folle Johannes, protagonista del film del regista Carl Theodor Dreyer (1889-1968) “Ordet” (“La Parola”) (1955), interprete di una delle tante “figurae Christi” che si incontrano nell’opera del cineasta danese. La battuta pronunciata nel film da Johannes la ripeto a memoria: “Io sono quello stesso che duemila anni fa voi condannaste nel mio stesso nome: io sono Gesù di Nazareth.” Con la vicenda mentale e biografica di Nietzsche siamo in tema. E approfitto di quest’ultimo riferimento, per un commento alla battuta sussurrata da Zarathustra al saltimbanco morente: “L’anima tua morirà prima ancora del tuo corpo: ora non temere più nulla.” La battuta rovescia la dottrina evangelica della sopravvivenza dell’anima dopo la morte, per Nietzsche un sinistro presagio della sua follia.